SUL CARDELLINO
Per iniziare il giorno, annoto qui
che degli uccelli visti ed ascoltati
quello più mio fra tutti è il cardellino.
Ne dico il nome e mi torna l’infanzia,
vado a ritroso ed eccomi di nuovo
in quella casa bianca con i muri
che s’alzavano in mezzo alla campagna
e nel cuore del mondo e dell’estate.
Vedo me stesso nel mattino d’oro
– all’inizio di un mito promettente –
la prima volta all’ascolto di un canto
da dove viene, da quale creatura
meravigliosa e pura. Ascolta, ascolta,
bambino, e poi avvicinati pian piano
al luogo da cui nasce ininterrotta
la bella musica. Non far rumore.
A poco a poco, a passettini vai
sotto un mandorlo. Eppure guardi in alto
e non vedi che foglie verdi e cielo
azzurro. Ora non muoverti, ma insisti,
osserva attentamente. Insisti. Vedi?
C’è qualcosa, e si muove, su quel ramo.
E lo vedi, lo vedi! È un cardellino.
Lo vedi oggi e l’avrai visto per sempre.
E chi potrà scordarlo? Lo vedesti.
Io continuo a vederlo con chiarezza,
ne copio emozionato sul quaderno
il corpicino abbandonato al canto
e provo a disegnarne anche la grazia,
la mascherina rossa, e la delicatezza
della sua veste bruna che si adorna
di pennellate bianche, gialle e nere.
Canta, canta il cardillo, nel mattino
remoto dell’origine, poi s’alza
in volo e via per l’aria. Ma da allora
vibra al tuo orecchio, al mio, nella profonda
verità il canto di quel giorno, canto
miracoloso.
Traduzione di Francesco Dalessandro
da La certeza, Tusquets Editores, 2005
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