L’OMBRA DEL CIPRESSO
I
Il cipresso, l’ultimo qui rimasto,
soverchia il mio punto d’osservazione,
ombra scomposta da un vento privato
sul telo bianco che copre una porta-
finestra, barriera a contaminazioni
di alfabeti irrisori, non sempre efficace
a tenere distanti intrusioni non eque.
II
Questo diaframma di opacità ripara
la visione da una luce inguardabile,
mentre ritento la mia vocazione
muta – incombente o necessaria,
chi sa? – di dar peso ai dettagli:
rimedio neurale da tempo incubato
in un me inutilizzato, che esonda.
III
Se il profilo del fusto fosse davvero
puntato all’infinito non avrebbe scopo
il ricorso al gioco rischioso di figurazioni
quasi sempre fittizie. Autentica e terrena,
invece, rimane l’esigenza di un nuovo sillabario
che evolva in testo e illustri gli ossimori
nel decalogo delle sbandierate virtù.
IV
Ora, o in altro momento, se qualcosa
di non risolto traboccasse dal passato,
se affiorassero impulsi primitivi
e gli effetti sonori delle parole, confusi
tra sopraggiunte opzioni digitali,
si perdessero senza scampo nell’amnesia,
l’equazione relativa avrebbe un risultato?
V
Nell'immediato c’è solo l'albero sopravvissuto
intatto con le sue bacche brune, valore
di una variabile che risolva l’operazione;
il medium – se si vuole – che annunci
l’esito favorevole di una pratica
abbandonata, il ritrovamento d’intenzioni
annichilite e qui rianimate.
(inedita)
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