mercoledì 30 gennaio 2019

Luigi Picchi


OCTAVIUS

Plinio, mi scrivi di pubblicare
i miei versi (come quelli di Marziale,
vanno in giro per l’Impero di bocca
in bocca) e di non contare
su un’edizione postuma.

M’inviti anche a darne pubbliche
letture e a non permettere
che qualcuno se n’appropri.

Ha ragione, ma come foglie
di Sibilla al vento, come polline
per api dorate sono i brevi
miei carmi.

da Antiqua lux, Moretti & Vitali, 2018

lunedì 28 gennaio 2019

Hone Tuwhare



Mi piace il modo
in cui scivoli fuori
dai vestiti
facendo una pausa
tra la cerniera e
un respiro
come se
mettessi il punto
a un movimento: una frase
d’amore. Dio

mi delizia
quando ti muovi con
intenzione: grazia
animale e consapevolezza
dell’urgenza con cui
agenti di
locomozione ci portano
dalla a alla zeta
dal tavolo al letto e
di nuovo
per terra: anca anca

Sì: e amo
il modo in cui le nostre membra
costruiscono
una sovrastruttura
verso un celeste
alloggio: mi delizia

all’infinito

Traduzione di Antonella Sarti Evans


Da “Poesia”, Anno XXXI, Ottobre 2015, n. 341

venerdì 25 gennaio 2019

Nail Chiodo


FROM THE ITALIAN OF GIOVANNI DELLA CASA

O sleep, o of the quiet, humid, shady
night the placid son; o of sickly humans
comfort, sweet oblivion of the inhuman
evils that make life bitter and staid;
succor the heart that now languishes and rest
has not, and these limbs tired and frail
uplift: fly to me o sleep, and your pale
wings spread over me and rest.
Where’s the silence that flees the day and light thereof?
And the soft dreams that follow you
with doubtful vestiges whatever the weather?
Drained, for in vain I call you, and these obscure
and icy shadows vainly flatter. O feathers
bitter to the brim! O nights raw and fewer!


AL SONNO

O sonno, o de la queta, umida, ombrosa
notte placido figlio; o de’ mortali
egri conforto, oblio dolce de’ mali
sì gravi ond’è la vita aspra e noiosa;
soccorri al core omai che langue e posa
non have, e queste membra stanche e frali
solleva: a me ten vola o sonno, e l’ali
tue brune sovra me distendi e posa.
Ov’è ’l silenzio che ’l dì fugge e ’l lume?
e i lievi sogni, che con non secure
vestigia di seguirti han per costume?
Lasso, che ’nvan te chiamo, e queste oscure
e gelide ombre invan lusingo. O piume
d’asprezza colme! o notti acerbe e dure!

mercoledì 23 gennaio 2019

Nail Chiodo


FROM THE ITALIAN OF GIACOMO LEOPARDI

for Katharine Washburn

Always dear to me was this solitary hill
and this hedge which on many sides
excludes all sight of the last horizon.
But sitting and gazing at endless spaces
beyond it, and superhuman
silences, and impenetrable stillness,
in thought I plunge unto where
the heart almost cringes. And as I hear
the wind rustling in this brush, I that
infinite silence, to its voice,
compare: and sense the eternal;
and the dead seasons; and the present,
with sound alive. Thus amid such
immensity does my thought drown
and sweet to me is drifting in this sea.



L’INFINITO
  
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.




lunedì 21 gennaio 2019

Oliverio Girondo


VERSETTI FUNEBRI IN BIANCO VIVO

Bianca d’asfissia bianca
e bianca esangue vita
cui bianco il gelo
in neve scese sulla bianca mano
di bianca apparizione,
mentre bianco terrore
la sua gota imbiancava
da bianca assenza offesa,
cingendone il biancore
d’intatta bianca luna
nel bianco d’un commiato.

Traduzione di Francesco Tarquini

venerdì 18 gennaio 2019

Masha Kaléko


Questa settimana, tre poesie di Masha Kaléko (1907-1975). Tre poesie sullo svanire dell’amore, dopotutto. Tre poesie di un’agghiacciante amarezza (mascherata dal garbo e dall’ironia) che sfiora il cinismo. Tre poesie che trovo terribili, perciò, a loro modo, impareggiabili davvero.



IL GIORNO DOPO

Ci svegliammo. Il sole appariva sporadico
attraverso le strette fessure di grigie persiane.
Facesti un gran sbadiglio. Ammetto francamente:
non era un bel rumore. E mi era chiaro:
i coniugi non ardono d’amore.

Io ero coricata. Tu ti guardavi allo specchio.
Con discrezione eri assorto nel farti la barba.
Stendevi la mano verso la spazzola e la pomata.
Ti guardavo muta. Portavi il sigillo
del marito perfetto.

Come all’istante molte cose mi disturbarono!
– La stanza, tu, i fiori quasi appassiti,
i bicchieri, che ieri sera avevamo vuotato,
gli avanzi della confettura che si era gustata.
… Tutto ciò si vede al mattino con altri occhi.

Durante la colazione non hai parlato. (Occupato con le michette.)
– È igienico, ma non molto bello.
Ho visto la gelatina di frutta sulle tue labbra,
ti ho visto inzuppare nel caffè il pane imburrato –
una cosa che odio con tutte le mie forze!

Mi sono vestita. Hai scrutato le mie gambe.
C’era ancora l’odore del caffè bevuto tempo prima.
Andai alla porta. Il mio lavoro cominciava alle nove.
Avevo un forte presentimento – Ma dissi solo:
“È ormai ora! Devo andare…”.

Traduzione di Gio Batta Bucciol

Da “Poesia”, Anno XXXI, Ottobre 2015, n. 341


mercoledì 16 gennaio 2019

Masha Kaléko


Questa settimana, tre poesie di Masha Kaléko (1907-1975). Tre poesie sullo svanire dell’amore, dopotutto. Tre poesie di un’agghiacciante amarezza (mascherata dal garbo e dall’ironia) che sfiora il cinismo. Tre poesie che trovo terribili, perciò, a loro modo, impareggiabili davvero.



ADDIO

Te ne sei andato. Col treno delle nove e sette.
Non ti ho trattenuto. E ora mi dispiace.
– Di te è rimasto soltanto
qualche foto e la solitudine.

Sento ancora in lontananza fischiare il diretto.
Tra un paio d’ore arriverai a Polzin.
Mi hai lasciata sola nella grande Berlino.
Ora andrò vagando per strade rumorose,

scontenta tornerò poi nella stanza ammobiliata
che per trenta marchi è la mia casa,
attenderò il saluto di una tua lettera
e di sera guarderò talvolta verso la porta.

… Mi rendo conto. Lo so. Mi mancherà
non trovarti alle sei davanti alla stazione.
– A chi dirò quel che è successo nella giornata,
a chi confiderò i fastidi dell’ufficio?

Ora che sei partito, vedo tutto offuscato.
L’avessi sospettato, non ti avrei lasciato andare.
Quel che ci manca sembra sempre bello.
Da cosa dipende… È forse amore?

Come piove oggi! Vien quasi da pensare
che il termometro scenda con l’umore.
La signora Meilich ha chiuso il riscaldamento.
E da qualche parte in casa sbattono le porte.

Ora sto seduta nella mia stanza senza di te
e tutta sola bevo il caffè allungato.
– Lo so: d’ora in poi sarà così, qualche volta.
Molto spesso, forse… Oppure: per sempre.

Traduzione di Gio Batta Bucciol

Da “Poesia”, Anno XXXI, Ottobre 2015, n. 341


lunedì 14 gennaio 2019

Masha Kaléko


Questa settimana, tre poesie di Masha Kaléko (1907-1975). Tre poesie sullo svanire dell’amore, dopotutto. Tre poesie di un’agghiacciante amarezza (mascherata dal garbo e dall’ironia) che sfiora il cinismo. Tre poesie che trovo terribili, perciò, a loro modo, impareggiabili davvero.


AMORE NELLA GRANDE CITTÀ

Ci si conosce così, di sfuggita, da qualche parte,
e prima o poi ci si dà un appuntamento,
qualcosa di indefinito
spinge a non separarsi più.
Durante il secondo gelato al lampone si arriva al “tu”.

Ci si affeziona e nel grigiore dei giorni
Già si profila la luminosità di liete ore serali.
Si condividono ansie quotidiane, seccature
E anche la gioia di aumenti salariali,
… al resto provvede il telefono.

Ci si incontra nel trambusto di vie metropolitane.
Non a casa: nella stanza mobiliata.
– Nel caos del frastuono e dello sfrecciare di auto
– lontani dal cicaleccio di pettegole e malelingue,
si va in due, tranquilli e svagati.

Di tanto in tanto ci si bacia su panchine solitarie
– oppure su un sandolino.
L’erotismo va limitato alla domenica.
… A chi viene in mente di pensare al futuro?
Si parla con pragmatismo e si arrossisce di rado.

Non ci si fa dono di rose e di narcisi
e non si mandano messaggeri in casa.
– Poi, sazi di baci e delle gite di fine settimana,
ci si spedisce con la posta del Reich,
in stile stenografico, una sola parolina: “fine”!

Traduzione di Gio Batta Bucciol


Da “Poesia”, Anno XXXI, Ottobre 2015, n. 341

venerdì 11 gennaio 2019

Eloy Sánchez Rosillo


LA LUCE NON TI RICORDA

La luce entra anche oggi nella stanza
come quel pomeriggio. E non ci vede
di nuovo insieme: tu non sei venuta.
Ma posso ricordarti.
Ti ricordo da solo, in questa stanza
– ora piena di niente – che allora dividemmo.
Le parole, la musica, le risa,
ciò che avvenne in quelle ore tra di noi
continua e vive in me.

Però la luce non ti ricorda.
La luce ama il presente. Torna senza memoria
in questa stanza vuota. E non sa più
che t’avvolse i capelli e brillò nei tuoi occhi,
che insieme alle mie mani minuziose
scese lenta il tuo corpo.

                                            No, la luce
non ricorda d’essere stata qui,
con te, con noi. Giunge, allegra e dorata,
nel luogo in cui bruciò l’altro giorno la vita.
Nel suo silenzio unicamente trova
un uomo che ricorda, ricordandoti:
un uomo triste, un uomo vinto, e solo.

Traduzione di Francesco Dalessandro

da Las cosas como fueron, Tusquets editores, 2018



mercoledì 9 gennaio 2019

Emanuele Franceschetti

NON È COSA DA NULLA, LA SALVEZZA

Non è cosa da nulla, la salvezza.
Appena il calco che l’ombra muta lascia
sui marciapiedi e nelle sale d’attesa.
(Ora sarai tra la foschia e il mattino
a dar noia alle parole
a meritare altri ed altri esuberi silenziosi:
di qua c’è chi fiancheggia l’onda,
benedicendo il buono del mare,
chi teme la castità dei cortili,
chi arde sperando)
Rileggerti è scavare.
I bassi profondi, Genova,
il mondo e poco altro.

da Terre aperte, Italic, 2015

lunedì 7 gennaio 2019

Raffaela Fazio


TRE RISCRITTURE PERSONALI


Il paradosso


Essere un niente, un soffio
eppure esserlo
ad ogni costo.

Per lascito
un’accordatura che invoglia
all’arpeggio.
Ad altri
riesce meglio la nota, la vita

ma non c’è delega
in questo:
cadere, rialzarsi
e soprattutto amare
scordare il resto.


**

Risuscita il profumo da un istante
e da un profilo a distanza 
lo sparo 
d’inattesa somiglianza
che snida chiassose dai rami
le cose che temi o che ami.




***

Amore rimani.
Aiutami
a sceglierti
anche domani.




venerdì 4 gennaio 2019

Thomas Stearns Eliot


IL VIAGGIO DEI RE MAGI

«Abbiamo avuto freddo per strada,
Proprio il peggior tempo dell’anno
Per mettersi in viaggio, e un così lungo viaggio:
Le strade affondate, l’aria cruda,
Giusto il cuore dell’inverno».
E i cammelli piegati sino ai piedi, riottosi,
Accosciati sulla neve in disgelo.
Arrivammo qualche volta a rimpiangere
Le ville estive sui pendii, le logge,
Le fanciulle morbide che offrivano rinfreschi.
E i cammellieri poi che maledicevano e imprecavano
E scappavano via e volevano donne e vino.
E i fuochi di bivacco che languivano, i rifugi che mancavano,
E le città nemiche e i paesi ostili,
I villaggi sudici che vendevano caro:
Giorni difficili abbiamo passato.
E alla fine abbiamo deciso di viaggiare
La notte, dormendo qua e là,
Con voci rintronanti negli orecchi a dirci
Che era tutta una follia.

Poi all’alba giungemmo a una valle mite,
Umida, ai margini delle nevi, odorosa di piante,
Con un canale e un mulino che batteva la tenebra,
E tre alberi contro il cielo basso.
E un vecchio cavallo bianco galoppò via nel prato.
poi giungemmo a una taverna con foglie di vite sull’architrave,
Sei mani entro una porta spalancata giocavano a dadi monete                                                                                               / d’argento,
Piedi calciavano negli otri di vino vuoti.
Ma non avevano informazioni da darci, e proseguimmo
E arrivammo di sera, trovando il luogo
Al momento giusto: c’era, direte, da esser soddisfatti.

Tutto questo, ricordo, fu gran tempo
Addietro, e lo farei di nuovo, ma tieni
Questo a mente,
Questo: fummo spinti per tutta quella strada
Da Nascita o Morte? Vi fu Nascita, è vero,
Ne avemmo la prova, senza dubbio. Avevo veduto nascita e 
                                                                                       / morte,
Ma le avevo pensate diverse; questa Nascita fu
Un’amara e dura pena per noi, come fosse Morte, la nostra
Morte. Tornammo ai nostri luoghi, a questi regni,
Ma a disagio qui nel vecchio ordine,
Con un popolo estraneo stretto ai propri idoli.
Sarei felice di un’altra morte.

Traduzione di Attilio Bertolucci

da Imitazioni, Libri Scheiwiller 1994

mercoledì 2 gennaio 2019

Eloy Sánchez Rosillo


PRIMA CHE FINISCA IL TEMPO

Che non finisca maggio senza dirmi:
«Ecco passare maggio».
Passano questi giorni accanto a noi
che a malapena ne siamo coscienti,
come arrivano e come se ne vanno
con i loro prodigi:
questa luce soave come acqua
dorata che fluisce tra le cose,
e questo sogno d’essere nell’amore,
di respirare indenne nell’allegria.
Che vedano i miei occhi ciò che devono
e la mia lingua dica con fervore:
«Ancora siamo in maggio e la vita è così dolce».

Traduzione di Francesco Dalessandro

da Las cosas como fueron, Tusquets Editores, 2018