NOI, 48
"Sai..." provo a dire, come
parlando con me stesso, "l'Uomo Nuovo,
il Grande Cominciamento
a venire, l'interminabile Avvento
del Mondo Giusto, della Verità,
di un più autentico Noi,
da un certo momento in poi
invece di riscaldarmi
cominciavano a farmi disperare.
Erano come un faro
puntato in faccia
per schiacciarmi contro
il non-ancora dove
passava la mia vita di quasi-umano,
gli anni monchi, la traballante preistoria
di un Domani che non avrei mai visto.
Pensavo: se soltanto in quel Futuro
tutto si compirà, che cos'è, allora,
questo minuto a cui sono inchiodato,
il tempo provvisorio
dove mi agito, esisto,
questo insipido prima che finirà
senza congiungersi al suo dopo?
Là, nel tempo perfetto - puro, immobile -
il grande Frutto, il maestoso Scopo.
Quaggiù, le schegge delle nostre opere,
le nostre ore mai compiute.
Queste giornate, e gli alberi, e questa gente,
e le sere d'estate, le case al sole,
i saluti, le voci giù nella piazza:
polvere, niente?
Morirò. Non vedrò la vita vera.
Ma ecco: un altro pensiero
fermentava da questa disperazione.
Anzi, non un pensiero: una visione.
Meglio: una vista.
Di colpo, ho visto il mondo.
E dentro il mondo, le figure:
un albero, un passante, un capannone.
Ho visto l'ora, il qui che mi teneva
con loro. Senza proclami, senza bandiere,
senza una verità da far valere,
senza un noi a vantarla e a custodirla.
Chiunque. Ognuno. Uno. Come tutti
da sempre, in ogni tempo.
Da allora, sono finalmente solo
- vedi? - di fronte al mondo, a pronunciarlo
come posso, con queste venti parole
che mi sono rimaste. Ora basta.
Di quel che faccio, soltanto io rispondo.
Se parlo, è a nome mio. La mia morte
nessuno può morirla".
da Il Conoscente, Marcos y Marcos, 2019
venerdì 28 giugno 2019
mercoledì 26 giugno 2019
Onofrio Lopez
NEL
SENSO DELLA PARABOLA
1.
L'origine
della parabola
mio
destino presunto
fu
l'apparire d'un orizzonte astratto
al sole
d'un intermezzo d'estate
nella
piazza pretenziosa
dei
loggiati ocra, dei lecci
e dei tigli
di contorno
a un
Arco trionfale
a una
Porta cupa.
2.
La
soglia sconnessa
che
marcò il distacco del prima
dal dopo
l'elessi a varco
abituale
verso passioni
per
molto tempo e oltre ignote
aggrumate
in un fuoco geometrico,
il mio effe-zero.
3.
Una luce
apatica
rendeva
grigie le sagome
di noi
adepti, blu le sere
consumate
mescolando opinioni
risolute,
nere di proclami bui
le
azioni a venire, tinte
comunque
labili per esuli
cresciuti
a pane
e utopie
incompiute.
4.
Certezze
ardite
vergini
di premonizioni
e
inganni salivano
e
scendevano scale in cerca
di
verità tra vinti presunti,
scaldavano
di giorno desideri
di visi
di sguardi di odori,
di notte
di amplessi pensati,
sonando
brani di parole
andanti
allegri.
5.
Fluttuavano
leggere
pulsioni
ataviche
su
continenti galleggianti,
non so
se modelli disumani
o miti o
colpi di vento glaciale
da
piattaforme lontane
dove
bagliori imprevisti
beffavano
i tracciatori di rotte
verso
approdi perduti.
6.
Sulla
mappa apocrifa
delle
città ideali
riaffiorata
da torri
di carte
invecchiate
la
direttrice del tempo
ha
lasciato insolute le incognite
della
linea curva
che
ancora mi appartiene,
concava
in basso
a
raccogliere i riverberi
d'impegni
d'amore bruciati
e d'idee
di rivalsa.
7.
Ora, la
velocità dei sogni
non
accelera più improvvisa
e
residua non muta i resti
dell'ultimo
paradigma.
L'opera
del caso ingravida
il senso
della parabola
che
fluisce, eco quasi muta
di
esordi ed epiloghi,
tramestìo
di messaggi postumi,
ripasso
d'illusioni
diafane
ribelli.
Firenze,
2018-2019
(inedita)
lunedì 24 giugno 2019
Eugenio De Signoribus
(IL
PASSAGGIO DEL DECENNIO)
mai
del tutto tranquilli e mai
del
tutto sazi
siedono
sulle ore spinose della sera
con
punte di piombo nello stomaco
in
cerca d’una disperatamente
erotica
visione
e
una dialettica che non azzeri
il
basso livello d’ossigeno
la
comodità della sedia non annulla
il
disagio della posizione
comunque
si dispongano
il
fumo staziona intorno al cervello
e
copre sugli alti muri
crepe
altrimenti visibili
frullano
le parole
piumicole
in libertà vigilata
a
colpi di saliva si compongono contrasti
per
autodifesa, percezione
di
distanze remote
e
mutazioni presenti
lungo
tutta la linea terra-cielo
dove
s’accumulano reperti per lo più disumani…
in
questo spazio fondo come una vagina
batte
la cicatrice del desiderio
e
prima di rismarrirsi nella nebbia
ancora
del non nato si dolgono
da
case perdute, marka, 1986
venerdì 21 giugno 2019
Francesco Petrarca
SONETTO
CLXXXIX
Passa
la nave mia colma d’oblio
per
aspro mare, a mezza notte, il verno,
enfra
Scilla e Caribdi; et al governo
siede
’l signore, anzi ’l nimico mio;
a
ciascun remo un penser pronto e rio
che
la tempesta e ’l fin par ch’abbi a scherno;
la
vela rompe un vento umido, eterno
di
sospir, di speranze e di desio;
pioggia
di lagrimar, nebbia di sdegni
bagna
e rallenta le già stanche sarte,
che
son d’error con ignoranzia attorto.
Celansi
i duo mei dolci usati segni;
morta
fra l’onde è la ragion e l’arte:
tal
ch’i’ ’ncomincio a desperar del porto.
mercoledì 19 giugno 2019
Juan Ruiz
L’ISOLA NEL TEMPO
A lei – che sa come, che sa
perché
1.
Fu in quell’ora in quell’isola nel tempo,
fu sentendo la tua vita
affidarsi alle mie mani e il tuo corpo
abbandonarsi contro il mio;
fu quando scostai dalla tua fronte
una ciocca di capelli e sorpresi
le dita a meravigliarsi di quel gesto;
fu tenendo il tuo viso contro il mio
e toccando con la fronte la tua fronte,
respirando il tuo respiro;
fu sentendo le tue mani cercarmi
e toccare il mio corpo con strana
imbarazzata confidenza; fu quando
i nostri volti s’incontrarono
e cercandosi – oh ma timide impaurite –
le bocche si trovarono; fu allora
che ti riconobbi, che ti seppi mia,
a dispetto del tempo e di te stessa.
2.
La mia mano salì, mentre il tuo sguardo
ne seguiva il lento volo, fino
all’ombra dei capelli, al silenzio
delle labbra, poi discesa nell’ansia
del seno più lenta si aprì la strada
per golfi e pianure, per l’umida palude
dove scese in suo aiuto la lingua
e il desiderio si sciolse in affanno.
Fosti cieca e pronta, ti apristi
al morso e all’assalto, ti piegasti
all’oscuro riverbero del fuoco
nel tuo sangue, fosti ansimo e febbre.
Così t’abbandonasti, né pudore
né ricordo, all’intimo spasimo che
appaga e cancella, esiliandolo, il dolore.
3.
Quando le dita tracciarono la linea
aguzza dei tuoi fianchi, quando,
brune tortore tremanti, le punte
dei seni al tocco delle labbra
si alzarono in volo, quando il fuoco
pallido del tuo ventre si accese
e arse le morte foglie del pudore,
quando l’ansia fu spasimo, grido
muto, quando dal desiderio
generasti il piacere e le labbra
si schiusero per dirlo, quando l’esangue
fiore del tuo corpo finalmente si aprì
fra petali di febbre io ape assetata
mi posi saziandomi lasciandomi morire…
da Isola del tempo, raccolta inedita di prossima pubblicazione
lunedì 17 giugno 2019
Hermann Hesse
LA LETTERA
Tira un vento dall'ovest,
i tigli gemono tanto,
la luna fa capolino fra i rami
e guarda nella mia stanza.
Ho scritto una lunga lettera
al mio amore
che mi ha lasciato,
la luna riluceva sul foglio.
Sotto il suo silenzioso chiarore
che passa da riga a riga,
il mio cuore si dimentica piangendo
del sonno, delle preghiere e della luna.
Traduzione di Bruna Maria Dal Lago Veneri
da Poesie d'amore, Newton Compton
Tira un vento dall'ovest,
i tigli gemono tanto,
la luna fa capolino fra i rami
e guarda nella mia stanza.
Ho scritto una lunga lettera
al mio amore
che mi ha lasciato,
la luna riluceva sul foglio.
Sotto il suo silenzioso chiarore
che passa da riga a riga,
il mio cuore si dimentica piangendo
del sonno, delle preghiere e della luna.
Traduzione di Bruna Maria Dal Lago Veneri
da Poesie d'amore, Newton Compton
venerdì 14 giugno 2019
Vito Riviello
QUALITÀ
DI MORTE
Ci
scappa il morto!
Ci
sta scappando
il
morto ci è scappato.
È
fuggito in una morte seria
d’occhi compiti
e
vasi etruschi
fuggendo
dalla morte nemica
di
bossoli nutrita.
Morti
perfettamente uguali
pur nelle distinzioni
ipocrite
dell’orride
devastazioni.
Come
faranno le religioni
a
riconoscere gli accoliti.
Solo
chi li vede non li distingue
in
cadaveri rossi o azzurri.
Da
un morto all’altro stiamo fuggendo
sotto
il manto delle stelle.
Se
dal torbido sogno
mi svegliassi antilope
apprenderei
la virtù dei forti.
da
Assurdo e familiare, Piero Manni, 1997
Parole
per Vito
A sei o sette anni, mi trovai per
la prima volta in mezzo ai preparativi di un funerale. Gli urli e i pianti
intorno a me mi spaventavano molto, perciò mi tenevo aggrappato, tremante, alle
gonne di mia nonna: capivo d’avere a che fare con qualcosa di terribile e ne
avevo paura. Allora, mia nonna, che si accorse del mio spavento, si chinò su di
me, mi sorrise e disse, in dialetto: «Se rii la ècchia scappa». Se ridi, o
sorridi, la vecchia scappa. Chi fosse la vecchia non chiesi. Non aveva importanza.
Ma compresi quel che aveva inteso dirmi: le diedi retta, sorrisi anch’io e
tutta quell’agitazione cominciò ad apparirmi in una luce un po’ ridicola; non
ebbi più paura. Insomma, il riso (l’umorismo, il ridicolo) vince anche la
morte.
Non avevo più pensato alle parole
di mia nonna, fino alla sera in cui lessi la poesia di Vito Riviello riportata qui sopra. Il doppio uso del modo di dire dei primi versi mi divertì e mi sorprese
e risvegliò quel lontano ricordo. La poesia è tratta dalla raccolta intitolata Dagherrotipo del 1978.
Proprio in quegli anni conobbi Vito e quel libro fu il primo suo che lessi. Da allora, leggere la poesia di Riviello mi ha sempre ricordato quella frase. La sua ironia, la sua vena comica e surreale, sono il riso che scaccia la “vecchia”, un esercizio di esorcismo contro… Contro quel che volete, appunto: la paura, la morte, o solo la fatica quotidiana, l’ansia della vita. Non che questo fosse l’intento di Vito, forse, ma io la sua poesia la leggo così. E gliene sarò sempre grato, ricordandolo con particolare affetto nell'imminenza dell'anniversario della sua scomparsa, avvenuta il 18 giugno del 2009, ormai dieci anni fa.
Proprio in quegli anni conobbi Vito e quel libro fu il primo suo che lessi. Da allora, leggere la poesia di Riviello mi ha sempre ricordato quella frase. La sua ironia, la sua vena comica e surreale, sono il riso che scaccia la “vecchia”, un esercizio di esorcismo contro… Contro quel che volete, appunto: la paura, la morte, o solo la fatica quotidiana, l’ansia della vita. Non che questo fosse l’intento di Vito, forse, ma io la sua poesia la leggo così. E gliene sarò sempre grato, ricordandolo con particolare affetto nell'imminenza dell'anniversario della sua scomparsa, avvenuta il 18 giugno del 2009, ormai dieci anni fa.
mercoledì 12 giugno 2019
Franco Fortini
CON UN UNICO GESTO
«La certezza che
ogni scoria
ogni malinconia
ogni male di
vivere
si sono ridotti
alla loro cenere».
Questo esigono e
anch’io
«dalla disciplina
della parola». Ma non è
e lo dimostro qui,
solo questa la verità.
Dico di me e del
male di vivere.
Frugo tra ceneri.
Ma anche volto la testa
e le urla le sento
degli straziati da
uomini cani
che vogliono anche
me
una di queste
notti uccidere.
Indico
con un unico gesto
della mano
sia passione sia
vanità
la celeste forma
della morte
la forma sporca
della malinconia.
da Tulle le
poesie, Oscar Mondadori 2014
lunedì 10 giugno 2019
Emily Dickinson
GUARDA AL TEMPO PASSATO, CON OCCHI BENEVOLI
Guarda al tempo passato, con occhi benevoli -
senza dubbio ha fatto del suo meglio -
Con che dolcezza affonda quel sole tremolante
nell'occidente della natura umana -
Traduzione di Silvia Bre
da Questa parola fidata, Einaudi 2019
Guarda al tempo passato, con occhi benevoli -
senza dubbio ha fatto del suo meglio -
Con che dolcezza affonda quel sole tremolante
nell'occidente della natura umana -
Traduzione di Silvia Bre
da Questa parola fidata, Einaudi 2019
venerdì 7 giugno 2019
Fernando Pessoa
SONETTO
XV
Come un
cattivo adulatore disperato e tremante
Per la
stridente sensazione di amare non riamato,
Con impaurita
brama male comprende, confondendo
Il
desiderio e quello che egli teme di provare
Col mio
occhio interno osservo timoroso di osservare,
E anche
incerto nell’osservare, il valore che
Questo
verso possa avere vagheggiando i pensieri
Che il
mio libro farà nascere nei cuori altrui.
Ma, così
come colui che ama e, amando, spera,
Però,
sperando, teme di aggiungere prova alla prova,
E nella
sua mente va in cerca di possibili prove,
Rifiutando
le vere, per timore della realtà,
Io vivo quotidianamente i sogni di gloria
Solo pensando quello che gli altri pensano
di me.
Traduzione (dall'inglese) di Ugo Serani
da I trentacinque sonetti, Passigli
mercoledì 5 giugno 2019
Umberto Fiori
PROLOGO, 1.
È vero: ci sono giorni
che le vostre parole più care e buone
mi suonano come insulti,
giorni che dal mattino alla sera il sole
splende contro di me
come contro un ritaglio di lamiera:
non mi si parla senza avere
diritto in faccia
il suo abbaglio tremendo. Ci sono volte
che mi trovate là,
fermo, freddo
come l'avanzo nel piatto.
Non vi ascolto, non alzo nemmeno gli occhi.
È che ho la testa piena
di una scena che ho visto
tanti anni fa.
da Il Conoscente, Marcos y Marcos, 2019
lunedì 3 giugno 2019
Francesco Dalessandro
SII
NATURALE
(da Robert
Creeley)
A Laura, per i suoi nove anni -
e per quest'altro compleanno
Sii
naturale come sai
essere,
figlia mia.
Fa’
che il mio nome
sia
nella carne che ti diedi
quando
amai tua madre;
sii
naturale e saggia, come lei
è
la donna ch’è in te, educata
da
una sensuale
moderazione.
Ma non
più
saggia, non più naturale
dei
suoi capelli, degli occhi
che
t’ha dato.
Nessuna
donna mai
sarà
come sarai.
Ricordaci,
tua madre
e
me; ricorda come sei venuta,
come
t’abbiamo attesa.
Sii
naturale e saggia, figlia mia,
come
sai. Lascia a me,
tuo
padre, la retorica; e lascia
che
sia io a parlarne e ti risparmi
quella
sciocca ostentazione.
Non
smettere di amare,
figlia,
non stancarti
di
cercare l’amore in ogni piccola
cosa
di questo mondo.
Lascia
a me, tuo padre,
la
dimenticanza;
a
me cui l’amore sembra ora
una
lontana ricompensa
per
un merito dimenticato.
Figlia,
sii naturale
e
saggia, come sai,
come
voglio che tu sia.
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