ELEMOSINA
Mattutina elemosina! Al cancello
un gorgheggio di sole ancora implume,
da un flabello di nuvola. Reclina
nella cassetta l'ala d'una lettera.
Conosco i segni - le nervose piume...
Già sull'angolo - e dunque ho camminato -
se so il foglio a memoria, e tutta rido
mentre la via mi soffia dove vuole.
In me come in un nido
le sue parole usignuole.
(1970)
da Mar Rosso, Il Labirinto, 1997
mercoledì 31 luglio 2019
lunedì 29 luglio 2019
Giacomo Leronni
NELL'ACRE DISERZIONE DEI NOMI
Per Antonio
Queste sere
che la memoria serba come caglio
queste lenzuola
per il corpo fradicio
nell'acre diserzione dei nomi
sono propaggini del caso
nocciolo della condanna.
Brighiamo per la pace
come fanciulli col gesso negli occhi
firmiamo lettere
di creta impudente.
Levi la mano a schermare
il lampo del contatto.
Non indugi oltre:
torna al tramestio del sangue
la tua umile pietra incendiata.
da Scrittura come ciglio, puntoacapo Editrice, 2019
Per Antonio
Queste sere
che la memoria serba come caglio
queste lenzuola
per il corpo fradicio
nell'acre diserzione dei nomi
sono propaggini del caso
nocciolo della condanna.
Brighiamo per la pace
come fanciulli col gesso negli occhi
firmiamo lettere
di creta impudente.
Levi la mano a schermare
il lampo del contatto.
Non indugi oltre:
torna al tramestio del sangue
la tua umile pietra incendiata.
da Scrittura come ciglio, puntoacapo Editrice, 2019
venerdì 26 luglio 2019
Gilberto Sacerdoti
HOPKINS E ADRIATICO
Leggo, ausculto, scruto
dentro lo scritto il rombo
compresso dal poeta
inglese, gesuita.
Lo scritto-scrigno scricchia,
sforzato. Erompe, esplode:
naufragio, sferza, spine,
incudini. In carole.
Traballante, tramortito
lo richiudo: azzurro muto,
dune lisce, sole mite,
mare piatto, qui da me.
Liscio, azzurro, fragile
Adriatico mio amabile,
non a tremare, gemere,
induce il sole, te.
Però, scrigno temibile,
sonetti angloterribili,
per turbini, per grandine
la chiave apre, c'è.
da Vendo vento, Einaudi 2001
Leggo, ausculto, scruto
dentro lo scritto il rombo
compresso dal poeta
inglese, gesuita.
Lo scritto-scrigno scricchia,
sforzato. Erompe, esplode:
naufragio, sferza, spine,
incudini. In carole.
Traballante, tramortito
lo richiudo: azzurro muto,
dune lisce, sole mite,
mare piatto, qui da me.
Liscio, azzurro, fragile
Adriatico mio amabile,
non a tremare, gemere,
induce il sole, te.
Però, scrigno temibile,
sonetti angloterribili,
per turbini, per grandine
la chiave apre, c'è.
da Vendo vento, Einaudi 2001
mercoledì 24 luglio 2019
Rita Iacomino
SCHIELE
Ventotto anni di febbre
per scandagliare la morte in ogni forma.
Ne ha scrutato il respiro marcio negli amplessi
fissata nella solitudine della vedovanza.
Ma l'orfano è già morto
nascere e morire sono la stessa cosa.
Ventotto anni di febbre
per scandagliare la morte in ogni forma.
Ne ha scrutato il respiro marcio negli amplessi
fissata nella solitudine della vedovanza.
Ma l'orfano è già morto
nascere e morire sono la stessa cosa.
È bianca la morte
è un albero
uno scheletro d'inverno,
summa dell'atroce ricognizione.
Non c'è tempo, ci dice, ma solo destino.
da Poemetto tra i denti, Edizioni Progetto Cultura, 2012
lunedì 22 luglio 2019
Emily Dickinson
L’AFFRANTO
“PERCHÉ” DELL’AMORE
L’affranto
“perché” dell’amore
è
tutto quanto l’amore può dire –
fondati
su due sole sillabe,
i
cuori immensi che si spezzano.
Traduzione
di Silvia Bre
da
Questa parola fidata, Einaudi, 2019
venerdì 19 luglio 2019
Giovanna Bemporad
L’ATTESA
È
quasi l’ora e io esco all’aperto.
Dolce
notte! perché dunque mi struggo?
E
come il cielo è purissimo e calmo!
Conduci
al convegno quella ch’io amo,
e
non trapassi inconsumata l’ora,
o
notte.
In solitudine confusa
dimentico
tra me ch’ella è partita
e
al luogo del convegno aspetto sola.
(1943)
mercoledì 17 luglio 2019
Milo De Angelis
DUNQUE, AMICA MIA SEI TU
Dunque, amica mia, sei tu questa gioia senza dio
che giunge a un tenero golfo stamattina
e mi dice al telefono ora so ora so
che dalla fine più violenta
può scaturire questo bene, una spiga
di atomi felici dove nasco
e vedo il chiarore infantile di un sentiero e noi siamo
il frutto di un contrasto magistrale
che prepara giorno dopo giorno la lettera d'amore.
da Incontri e agguati, Mondadori, 2015
Dunque, amica mia, sei tu questa gioia senza dio
che giunge a un tenero golfo stamattina
e mi dice al telefono ora so ora so
che dalla fine più violenta
può scaturire questo bene, una spiga
di atomi felici dove nasco
e vedo il chiarore infantile di un sentiero e noi siamo
il frutto di un contrasto magistrale
che prepara giorno dopo giorno la lettera d'amore.
da Incontri e agguati, Mondadori, 2015
lunedì 15 luglio 2019
Matsuo Bashō
BELLO È ANCHE IO
GIORNO GRIGIO
Bello è anche il giorno grigio
quando il Fuji si nasconde
dietro un velo di pioggia.
Traduzione di
Sergio Fabio Berardini
venerdì 12 luglio 2019
Daniel Samoilovich
Sì, stanno tornando, tornano,
un enigma è l'origine di queste isole
che porta la notte e vengono col sogno.
Qualcosa, diciamo, rimasta irrisolta nel passato,
tuttavia è inutile cercare retrospettivamente
cicatrici o indizi di un'angoscia
nelle cale che copre la risacca,
tra il popolo nero delle iguane
sulla costa catatonica:
l'indagine potrebbe,
come un detective disattento, fabbricare false piste
o contraffare quelle vere. Lo stesso fitto velo
che copre ciò-che-deve-essere copre il passato:
se ne ridono gli dèi della smania eccessiva
che hanno gli uomini di conoscere il futuro;
ma anche peggio che sopportare il loro scherno
è veder passare la ninfa Asterie, la sola
cui è permesso volare verso la propria infanzia.
Laggiù va, sorvola Sullivan Bay,
sono testuggini quelle macchie scure
accoppiate da ore, le va cullando
il mare turbinoso.
Traduzione di Francesco Tarquini
da Las Encantadas, Edizioni Fili d'Aquilone, 2019
mercoledì 10 luglio 2019
Giacomo Leronni
L'AMORE DEGLI ALTRI
a Maria Grazia Beverini Del Santo
Bisogna guardare negli occhi
l'amore impervio degli altri
quando taglia la tua rupe
ed esita prima di mordere
quando pondera i segni
che scalzeranno le tue verità
bisogna guardare con attenzione
nelle lacrime, nelle parole
che scivolano sul bersaglio
come corvi sulla gioia
e si deve essere
perfettamente soli
finalmente soli, irredimibili
prima che le chiavi altrui
forzino nel respiro
ciò che devono forzare
ogni spegnimento
sollecita la luce, ogni morte
moltiplica i fiori nei prati
dischiude altrettanti nomi
nella mente
come quando dispensavi
quel tuo lascito di vento
che nessuna notte estinguerà.
da Scrittura come ciglio, puntoacapo Editrice 2019
a Maria Grazia Beverini Del Santo
Bisogna guardare negli occhi
l'amore impervio degli altri
quando taglia la tua rupe
ed esita prima di mordere
quando pondera i segni
che scalzeranno le tue verità
bisogna guardare con attenzione
nelle lacrime, nelle parole
che scivolano sul bersaglio
come corvi sulla gioia
e si deve essere
perfettamente soli
finalmente soli, irredimibili
prima che le chiavi altrui
forzino nel respiro
ciò che devono forzare
ogni spegnimento
sollecita la luce, ogni morte
moltiplica i fiori nei prati
dischiude altrettanti nomi
nella mente
come quando dispensavi
quel tuo lascito di vento
che nessuna notte estinguerà.
da Scrittura come ciglio, puntoacapo Editrice 2019
lunedì 8 luglio 2019
Alejandra Pizarnik
INCONTRO
Qualcuno entra nel silenzio e mi abbandona.
La solitudine non è più sola.
Tu parli come la notte.
Ti annunci come la sete.
Traduzione di Francesco Tentori Montalto
da Poeti ispanoamericani del 900, Edizioni Eri, 1971
Qualcuno entra nel silenzio e mi abbandona.
La solitudine non è più sola.
Tu parli come la notte.
Ti annunci come la sete.
Traduzione di Francesco Tentori Montalto
da Poeti ispanoamericani del 900, Edizioni Eri, 1971
venerdì 5 luglio 2019
Daniel Samoilovich
La notte prima dell'imbarco
Bisogna dormire in questa casa, ci hanno
lasciati qui, con un appuntamento:
al molo, domattina.
Dalla finestra
sulla strada, si vedono alberi, gli stessi
che nel giardino, è facile confondersi,
di dentro, di fuori, lo stesso rosa
dei grandi petali.
Solo un azzurro.............................
................................questo giardino,
..............una strada
una casa
e in quella casa un giardino, forse questo.
Un'àncora i tuoi occhi, accanto ad essi
io sto al sicuro, essi la vera casa
sono,
non queste pareti posticce, verniciate
in fretta proprio prima che arrivassimo
- non separano neppure due sfumature
di rosa,
né un emisfero dall'altro e neanche i cieli,
nemici, dell'orsa e del piccolo carro -.
Non mi riparano, i tuoi occhi, dalla rugiada
e neppure dal tempo,
non potranno evitarmi la morte e tuttavia
sono rifugio certo, talismano,
accanto ad essi io mi credo al sicuro.
O meglio
mi importa meno quel che succede,
e non temo la casa che domani
lasceremo come un po' più tardi
lasceremo
le isole, il respiro, le ossa.
Senza di te
però sarebbe uguale
l'esser già morto,
ed in tal caso il peggio, che sarebbe stato
non conoscerti mai,
vivere in altro secolo, differente dal tuo
su un pianeta
qualunque di un qualunque squallido sole,
o peggio ancora,
incrociarci tu ed io al cinema, in fila,
nella sala
d'attesa all'obitorio, e non capire
che eri tu,
averti lì davanti e come un pessimo artista
non vederti,
questo non è accaduto e tutto ora va bene,
ora
ciò che voglio soltanto è di non sopravviverti.
Magari fosse
la casa di cartone o marmellata,
magari
di cioccolato o marzapane, e arrivasse
a mangiarsela
un orco, e la mangiasse con noi
dentro.
(Non per nulla il fanciullo di Venere
discese in terra armato di arco e frecce,
non trasse con sé pala né squadra
né ridicolmente si portò
bende dall'olimpica dimora,
sedativi, farmaci. Compito suo
è nuocere, non curare, non costruire qualcosa;
se quando ti trafigge tu ti scordi
della morte, questo è solo un effetto
collaterale, al modo stesso in cui
un tizio cui han piantato una pallottola
nella mano o in una spalla o un piede,
certo che perde di colpo ogni memoria
dell'angoscia suicida, immateriale,
che cinque minuti prima lo affliggeva:
quando davvero duole, diviene
banale la paura del futuro;
il venturo domani e qualsiasi
deduzione, qualsiasi pronostico
e qualsiasi
riflessione, che vadano all'inferno:
questa è l'ora
infuriata al tempo stesso che serena
dell'adesso
e nelle macchie gialle, rosse,
dell'adesso, nelle isole un regno
fondato sulla legge del tuo sguardo
cosmo macro
in cui qualunque aspetto del terreno
corrisponde a un cosmo micro:
le montagne i tuoi piedi, le lagune i tuoi occhi,
e perché mai
nell'esperimento geologico infinito
non potrebbe il pianeta
dare vita a una cosa come questa?
Se potesse accadere,
dovrebbe essere qui, comincia qui di nuovo
a ribollire la terra,
nascono di nuovo, tra le crepe del basalto
pallidi
fili
d'erba.
Traduzione di Francesco Tarquini
da Las Encantadas, Edizioni Fili d'Aquilone, 2019
Bisogna dormire in questa casa, ci hanno
lasciati qui, con un appuntamento:
al molo, domattina.
Dalla finestra
sulla strada, si vedono alberi, gli stessi
che nel giardino, è facile confondersi,
di dentro, di fuori, lo stesso rosa
dei grandi petali.
Solo un azzurro.............................
................................questo giardino,
..............una strada
una casa
e in quella casa un giardino, forse questo.
Un'àncora i tuoi occhi, accanto ad essi
io sto al sicuro, essi la vera casa
sono,
non queste pareti posticce, verniciate
in fretta proprio prima che arrivassimo
- non separano neppure due sfumature
di rosa,
né un emisfero dall'altro e neanche i cieli,
nemici, dell'orsa e del piccolo carro -.
Non mi riparano, i tuoi occhi, dalla rugiada
e neppure dal tempo,
non potranno evitarmi la morte e tuttavia
sono rifugio certo, talismano,
accanto ad essi io mi credo al sicuro.
O meglio
mi importa meno quel che succede,
e non temo la casa che domani
lasceremo come un po' più tardi
lasceremo
le isole, il respiro, le ossa.
Senza di te
però sarebbe uguale
l'esser già morto,
ed in tal caso il peggio, che sarebbe stato
non conoscerti mai,
vivere in altro secolo, differente dal tuo
su un pianeta
qualunque di un qualunque squallido sole,
o peggio ancora,
incrociarci tu ed io al cinema, in fila,
nella sala
d'attesa all'obitorio, e non capire
che eri tu,
averti lì davanti e come un pessimo artista
non vederti,
questo non è accaduto e tutto ora va bene,
ora
ciò che voglio soltanto è di non sopravviverti.
Magari fosse
la casa di cartone o marmellata,
magari
di cioccolato o marzapane, e arrivasse
a mangiarsela
un orco, e la mangiasse con noi
dentro.
(Non per nulla il fanciullo di Venere
discese in terra armato di arco e frecce,
non trasse con sé pala né squadra
né ridicolmente si portò
bende dall'olimpica dimora,
sedativi, farmaci. Compito suo
è nuocere, non curare, non costruire qualcosa;
se quando ti trafigge tu ti scordi
della morte, questo è solo un effetto
collaterale, al modo stesso in cui
un tizio cui han piantato una pallottola
nella mano o in una spalla o un piede,
certo che perde di colpo ogni memoria
dell'angoscia suicida, immateriale,
che cinque minuti prima lo affliggeva:
quando davvero duole, diviene
banale la paura del futuro;
il venturo domani e qualsiasi
deduzione, qualsiasi pronostico
e qualsiasi
riflessione, che vadano all'inferno:
questa è l'ora
infuriata al tempo stesso che serena
dell'adesso
e nelle macchie gialle, rosse,
dell'adesso, nelle isole un regno
fondato sulla legge del tuo sguardo
cosmo macro
in cui qualunque aspetto del terreno
corrisponde a un cosmo micro:
le montagne i tuoi piedi, le lagune i tuoi occhi,
e perché mai
nell'esperimento geologico infinito
non potrebbe il pianeta
dare vita a una cosa come questa?
Se potesse accadere,
dovrebbe essere qui, comincia qui di nuovo
a ribollire la terra,
nascono di nuovo, tra le crepe del basalto
pallidi
fili
d'erba.
Traduzione di Francesco Tarquini
da Las Encantadas, Edizioni Fili d'Aquilone, 2019
mercoledì 3 luglio 2019
Giuseppe Rosato
CHE ME NE FACCE
CCHIÙ
Che me ne facce cchiù
de stu sframmìche
de vite che me porte ancòre ’n còlle
appeccecàte accòma na sanguètte…
Da che stènghe a lu
mònne anne pe’ anne,
nu mese appress’all’àtre,
jorne a jorne,
lu tempe passe e passe, ma è gne quande
n’ulèsse màje fenì’, e pèzze-pèzze
me se zùppie lu còrje, cosse, vracce,
e la schine, le
lùffe, le custàte…
Ne le sacce
ecche-è che me tê ’ncore
all’impìde. Lu core? No, ca quelle
dda mò che me s’à
morte.
Che me ne faccio
più di questo frammento / di vita che mi porto ancora addosso, / attaccato come
una sanguisuga. / Da quando sono al mondo, anno per anno, / mese dopo mese,
giorno a giorno, /il tempo passa e passa, ma è come se / non voglia mai finire
e pezzo a pezzo / mi si succhia il corpo, gambe, braccia, / e la schiena, i
fianchi, le costole… / Io non lo so cos’è che mi tiene ancora / in piedi. Il
cuore? No, che quello / è da tanto che mi è morto.
da Jurne e jurne, Raffaeli Editore, 2019
lunedì 1 luglio 2019
Giuliano Goroni
NEI GIORNI COLMI D'ANIMA SPINTO
Nei giorni colmi d'anima spinto
ad essere da quel lieve
inoltrarti nei miei pensieri,
temo le tue parole che compiono
forme al mio mistero. Batte con
nova ala un mio dolore senza
gloria nel calmo letargo nero
dei tuoi occhi, preso vivo nel fiero
indugio notturno nei vicoli
come contratto cuore,
né una eco alla mia penombra.
da Stanze della vita, Rotundo 1988
Nei giorni colmi d'anima spinto
ad essere da quel lieve
inoltrarti nei miei pensieri,
temo le tue parole che compiono
forme al mio mistero. Batte con
nova ala un mio dolore senza
gloria nel calmo letargo nero
dei tuoi occhi, preso vivo nel fiero
indugio notturno nei vicoli
come contratto cuore,
né una eco alla mia penombra.
da Stanze della vita, Rotundo 1988
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