AL
CAFFÈ GRECO, APPENA
Al Caffè Greco, appena
dopo la seconda guerra
mondiale, si discuteva tra poeti
narratori e pittori su che fare
per rendersi utili. Corrucciato
a un tratto portandoti
dietro la tua furia
eri andato addirittura a Milano
in tasca lo schiaffo per un critico
t’avviasti verso l’uscita.
«Libero dove vai?» ti rincorse
la voce di un amico. «Vado a casa,
devo scrivere una poesia!»
fu il grido il tuo modo
di contribuire a rifare l’Italia.
Ti rivedo, ti ascolto,
mi chiedi se possiamo
continuare a chiacchierare
senza il lume, fa sera
il tuo bel volto gli occhi
vivi del fuoco della sigaretta
ne accendi una dopo
l’altra di brace in brace.
Infine mi racconti
di un rimorso. Decenni
sono trascorsi: comprendo
solo ora la tua pena per una poesia
mancata come un vino alla tavola,
che ti volevi confessare
perché il ragazzo poeta
potesse un giorno parlarne
ai giovani ai letterati. Il buon Govoni
dal suo lavoro quanti hanno bevuto
aveva in tasca sempre una poesia,
la donava come un fiore di campo
a un giornale a un sodale.
Tu lo scorgesti un giorno di lontano
che attraversava la strada
e per non incontrarlo, di botto
ferendoti ahimè il viso
volgesti deciso altrove la nuca
porterò
con me nella tomba questo dolore.
(inedita)
Nessun commento:
Posta un commento