L’OCCHIALAIO DI AMSTERDAM
– Potrebbe questi occhiali, oggi (mostrando
le lenti rotte, una lunga crepa nel cristallo
come la linea folle di una mano
o i rami di un arido albero d’autunno
nei riflessi d’aria e acqua del canale).
Il vecchio aveva un berretto nero sui capelli
bianchi, disordinati, un lungo naso adunco,
le mani delicate, lievemente
curvo sul tavolino pieno di fogli mezzo scritti.
– Il signore (disse sorridendo)
dovrebbe andare altrove, in questa
città ci sono molti ottici più bravi
di me, e hanno lenti perfette con le quali
si può vedere ciò che c’è davvero:
queste case borghesi, brune,
le anatre sulle acque appena mosse
dal vento, le nuvole che sono solo nuvole e non fumi
d’averno o angeli in fitto volo verso il Sud,
bionde le ragazze in bicicletta:
io ho lenti mal riuscite, che deformano
le figure e anche i cieli, creano strisce
di vario colore, cubi, linee nere
lunghe fino all’orizzonte e ancora oltre,
volti quadrati e cerchi che non hanno
centro, e il fondo anche dei canali sporchi
dove dorme il pesce di Giona nel buio
sotto le banchine, ed ecco il visitatore frettoloso
nel mattino, si toglie il cappello, guarda intorno,
calcola i danni che il ladro della notte ha provocato,
le tazze sparse a terra, ancora un poco
macchiato il corpo della signora nuda sopra il letto,
le tracce del caffè sopra il tappeto,
il libro lasciato aperto: ma se non crede che
dalla nebbia leggera possa uscire
il carro d’Elia invece della chiatta
carica di cemento e di mattoni,
se non le interessa il dio che io qui aggiusto
meglio che gli occhiali certamente,
oggi i raggi di luce, ieri forse il tuono
o il fuoco o anche la memoria e la mano
troppo debole ormai perché possa
scrivere nuovamente qualche vecchia
parola sulle tavole di carta:
è di là, respira appena, un soffio lieve
più di quello dell’acqua che lo spirito
percorre, segnando con il sangue le porte brune e bianche,
altre come dimenticando per la fretta,
forse non è neppure visibile del tutto,
ma se con queste lenti (frugò in un cassetto,
sempre più impaziente, fra tintinnii di vetri,
limpidi urti di metalli, nell’odore
di antico legno, e anche la bottega ne era piena
come una barca venuta di lontano;
poi scosse il capo): vada da un’altra parte
(disse), di là, oltre la piazza,
oltre la sinagoga, dove sono
i negozi moderni, illuminati
fin negli angoli in cui non c’è mai stata
la polvere che qui è sopra ogni cosa,
scesa dai cieli mentre si sfacevano
a uno a uno, dai libri scritti in lingue incomprensibili
o non più scritti ormai, il lavoro dei tarli e del silenzio
o dell’umido vento di qui: io non aggiusto più
nulla, certo non questi occhiali, forse
non c’è più nulla da aggiustare
davvero, le nuvole enormi di tempesta
sono solo nei quadri dove non
lasciano più cadere pioggia e gelo e inondazione
sulle pianure grige, gli alberi spezzati
hanno ancora fronde verdi, né la strada è
interrotta, le navi non affondano anche se sono
orizzontali sopra le acque nere,
tutto è immobile e sereno nelle grandi
cornici d’oro, sì, ha la barba, è un poco
stanco, dipinge, la domenica, su tele
molto consunte, un po’ piangendo a tratti,
sempre lo stesso paesaggio di canali
di prati d’ombre, e anche qualche autoritratto
un po’ infedele, anche se aveva
fin dal principio vietato che si facessero figure
e false immagini di sé.
Amsterdam, 21 novembre 1981
da Visioni e altro, Piovan Editore, 1983
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