UNA PERLA VIVA
A sedici anni venni all’ovest,
sui merci della Chicago, Milwaukee
e St. Paul, la grande linea
del Nord, la Northern Pacific.
Lavoravo come aiuto di un tale
che radunava enormi branchi
di cavalli selvaggi nell’Okanogan
e nell’Horse Heaven. Sceglievamo
le bestie migliori del branco,
tutto il resto era cibo per polli
e cani. Portammo trenta capi
sul Methow e il Twisp, attraverso
le sorgenti del lago Chelan,
giù per lo Skagit fino alla regione
di Puget Sound. Mi occupavo
della cucina e dei lavori del campo.
In un paio di settimane imparai
per bene a manovrare le bestie.
Riuscivamo a domare ogni giorno
un nuovo cavallo. Il giorno dopo
gli mettevamo il basto. Nel tempo
che giungevamo a Marblemount
li avevamo addestrati per bene.
I coglioni che li compravano
li credevano indomiti mustang
del deserto. In poche settimane
li mettevano tranquilli a tirare
i carri del latte a Sedro-Wooley.
Facevamo tre viaggi a stagione
e ce la passavamo abbastanza bene
nonostante la depressione post-bellica.
Stanotte,
trent’anni dopo, esco dalla
capanna abbandonata dai
minatori di Mono Pass, sotto
la luna piena e poche grandi stelle.
I declivi sono pezzati di neve.
L’aria di mezzanotte è pervasa
dalla luce lunare. Dice Dante:
Parev’a me che nube ne coprisse
lucida, spessa, solida e pulita,
quasi adamante che lo sol ferisse.
Per entro sé l’etterna margarita
ne ricevette, com’acqua recepe
raggio di luce permanendo unita.
In questo posto, quindici anni fa,
scrissi Verso una filosofia
organica. È ancora tutto uguale,
e è minima la differenza
da quel primo passo montano
che attraversai in quei tempi
tanto lontani con pezzati, zebrati,
roani scuri e color daino,
appaloosa maculati, i robusti
pony selvaggi i cui progenitori
arrivarono con Coronado.
Non ci sono campane di cavalli,
stasera, solo il verso delle rane
nei prati fradici di neve, il latrato
stridulo e isolato della volpe
di montagna, fra le rocce alte
dove le pecore selvatiche si muovono
in silenzio nella luce cristallina
della luna. Gli stessi sentimenti
che tornano. Di nuovo
tutta la meraviglia di un ragazzo
delle praterie, là dove
le lanterne si muovono in un buio
rassicurante, lungo un recinto,
in un campo, a casa; tutta l’emozione
della gioventù improvvisamente
arrivata dalle strade piane
e geometriche di Chicago nelle
sterminate e disumane distese
del Far West, dove la mente ritrova
le forme cercate da Pitagora,
le relazioni organiche tra pietra,
nube e fiore, tra il movimento
del pianeta e l’acqua che cade.
Marthe e Mary dormono nei sacchi
a pelo, bozzoli di reciproco amore.
Ho trascorso all’ovest metà della vita,
e molta di essa per terra vicino
ai fuochi solitari sotto le stelle
estive e nei capanni, con la neve
che s’ammassava tra i pini e sul tetto.
Qui non farò più il campo come spesso
facevo prima. I miei trent’anni
non tornerano più. «Il nostro bivacco
muore tra le montagne solitarie.
La luce trasparente della luna
si stende per migliaia di miglia.
La purezza della pace non ha fine».
Gli intensi occhi azzurri di mia figlia
dormono all’ombra della luna.
La prossima settimana fa un anno.
Traduzione di Francesco Dalessandro
Da The complete poems of Kenneth Rexroth, edited by Sam Hamill & Bradford Morrow, Copper Canyon Press, 2003
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