LA CRATURA
No son de vena fazile. Le volte
’ssai bisogna covar e tribolar nel scuro.
Come ’ste piante imusonide, stente
cressude tra le piere, tute spini
che no le dà nissuna confidenza. Un giorno
quando che meno ti te speti, se ghe gira
le buta un fior, sa dio perchè. Cussì
co vien la bavisela giusta, se el fioco tira
e te capissi l’onda, basta poco ’lora,
do colpi de ribola e te la meti
in riga, la barca sbrissa e fila come l’oio,
la vela che respira, che de sola
la va zercarse el refoleto
e zivetar col vento.
Ma se no nassi fin ne l’ovo la cratura
segnada de una sorte benedeta, te ga voia
dopo, se la vien storta, de indrizarghe
le gambe e far che la camini
o sbrodegar per darghe un sesto.
Se no la ga distin, solo sbegazzi,
xe quel che resta su la carta, mace
macerie del tuo inzegno
che te pareva un drago, su la tola
sto qua le trovi: un cùgluf senza buso.
LA CREATURA
Non ho la vena facile. Alle volte
c'è da covare e tribolare a lungo nel buio.
Come queste piante immusonite, stente
cresciute tra le pietre, tutte spine
incapaci di dare confidenza. Ma un giorno,
quando meno te lo aspetti, se gli gira da que verso,
lo sa dio perché, mettono un fiore. Così
quando arriva il venticello giusto, se il fiocco tira
e tu capisci l’onda, basta poco allora,
due colpi di barra per mettere in assetto la barca,
che tutto scivola e fila via come l’olio,
la vela che respira e da sola,
va a cercarsi il refoletto
e a fare la civetta con il vento.
Ma se non nasce la creatura fin dall’uovo
segnata da una sorte benedetta, hai voglia
dopo, se vien su storta, di raddrizzarle
le gambe e fare in modo che cammini
o pasticciare per aggiustarla.
Se non è nata sotto buona stella, solo pastrocchi
son quelli che restano sulla carta, macchie
macerie del tuo ingegno
che ti pareva un drago, sulla tavola
è questo che ti ritrovi: una focaccia senza buco.
da Robe de no creder, Edizioni Cofine, 2013
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