venerdì 25 aprile 2014

Geoffrey Hill

IL CANZONIERE DI SEBASTIAN ARRURRUZ  (III)
               Sebastian Arrurruz: 1868-1922


UNA LETTERA DALL’ARMENIA

Così, da lontano, nella tua parte di mondo:
le mature fioriture glandulari e i cipressi
rabbrividiscono dal caldo (sopportato,
a modo nostro, anche da noi) io rivolgo
la mente al saccheggio delicato, alla pro-
venienza di cocci smaltati e non smaltati,
alle tre specie superstiti di grano. Esito
tra disastri circostanziati. E fisso i morti
                          autentici.


UNA CANZONE DALL’ARMENIA

Ruvide foglie argentate che sono la neve                   
Sull’Ararat vista attraverso quelle foglie.
Il sole vi distende un fogliame d’ombra.

Una sorgente d’acqua zampilla                                       
A qualche centimetro dall’abbeveratoio.
Una vecchia vi succhia tenendosi al bordo.

Perché devo rivivere, anche ora,
La tua bocca, la tua mano che corre su di me
Lesta lucertola, come un tendine d’acqua?


A SUA MOGLIE

Ti sei avventurata ogni tanto –
Come questa fosse casa di un altro –
Non da intima, ma da conoscente
Che vanta diritti modesti; come una
A malapena compatita da due nuovi
Amanti che si godono il giusto piacere
Quando gli ospiti se ne sono andati.


(1921)

11

Detto in breve: diventa una specie di
Freddezza tra vicini di casa. Spesso
C’è quest’orgia di sonno. Mi sveglio
A coccolare il decoro con insolite parole
E godo dell’astinenza in una vocazione
Di disperazione ormai quasi insensata.


Traduzione di Francesco Dalessandro

Da Collected Poems, Oxford University Press New York, 1986


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