ELEGIE SENTIMENTALI
V
Dono splendido, il vino
placa i tumulti cura
le ferite dell’anima. Stordisce
come l’amore ma non giura non
tradisce. A questo giorno
finalmente sereno che finisce
brindiamo, amici. Il vino
dà sollievo al dolore e non inganna
non rende molle il cuore.
Da chi giura e spergiura
guardatevi. Begli occhi
belle bugie. Dolci parole
e giuramenti non valgono niente.
Io lo so. Ma è difficile
fingere che è finita che è finito
anche l’amore. Il vino
in questo non aiuta.
Anche se non mi pensi
più, sii contenta,
sii felice. Per me
domando solo questo:
tenerti tra le braccia
ogni notte e ogni giorno
viverti accanto vivere
con te perfida ma
– benché perfida –
cara.
VI
Amici, vi trattiene l’onda fresca
delle fonti toscane in questa calda
primavera che mi annuncia la fine.
Benché la brina sulle tempie ancora
non sia scesa a schiarirmi i capelli
né col suo passo greve la vecchiaia
sia venuta a piegarmi, sto morendo.
«Quando sarà compiuto il giusto tempo
della vita e già vecchio ai ragazzi
non narrerò che vecchie storie allora
serenamente morirò»: così
m’auguravo. Perché staccare l’uva
ancora acerba dalla vite, o i frutti
dalla pianta raccogliere immaturi?
Ma ormai da settimane,
mentre voi nelle fonti con la mano
pigra smuovete l’acqua
io sento di morire. E giunto al limite
della vita, non posso rivedervi,
lontani a festeggiare questa molle
struggente primavera. Ma dovunque
io sia, qui vivo o dove
la sorte mi vorrà, voi, amici, siate
felici e ricordatemi.
(Imitazioni da Ligdamo, Corpus tibullianum, III, 5-6)
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