LE MANI SPORCHE
Le mani, oggi, girano inguantate,
ad altri passano la pena di questo paradiso.
Sotto il motore è il giovane assistente.
Il capo ha un camice stirato, inforca
occhiali: legge le operazioni, quali
pagherò a ore, ricambi a parte,
che cosa sconta l'assicurazione
e di routine si omette.
Io e lui, si vede, la stessa scuola.
Non sporca niente, il lavoro è buono
dice: gli utensili in vetrina, il bancomat
sul tavolo. Resiste solo
una macchia di grasso sul bancone,
racconta un’altra arte.
Io pure levo croste alle parole, ci provo.
Con le mani sporche tiro via l’ultima patina
che insidia, prima che sia tardi e inutile,
parlare di poesia, sceglierla per la vita.
Parole vengono alle dita da una corteccia
del mio cervello e non so cosa
le tiene sveglie, un cursore le getta
qua e là, davanti, le sposta.
Quindi le posa su uno schermo, la mattina.
E se in fondo resta un’impronta (sugo,
uova, briciole, caffè: gli avanzi
dispersi di altre generazioni),
cancellarla è facile, non rimuoverla.
Ci vogliono anni di silenzio.
Un’altra lingua si nutre di gorghi e varchi.
È come quella, mi mostra il capo
dietro l’officina, snob e sonnolenta,
la jaguar d’epoca. A chi non piacerebbe
averla. Consuma tanto, è lenta.
Da allora corre solo strade rotte.
Da L’angolo ospitale, La vita felice, 2013
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