L’ERBA DEL FORTE
I
L’erba è rasata ad arte nell’angolo
più alto del Forte, riserva comoda
di reminiscenze sotto un cielo qualsiasi:
i toni, i volti, i gesti nello scambio
delle parti, tra le pietre inamovibili
che coprono tutti i versanti. Fuori dai varchi
il rumorìo indifferenziato che sale.
II
Nell’opera fatta per altri assedi, le feritoie
si prestano, inattuali, a scorci elusivi;
pullulano parole d’ordine senza eco;
in tempo reale si archiviano – anonime –
impressioni diffuse come immortali;
si catturano, percorrendo camminamenti
obbligati, prospettive già fissate da altri.
III
L’inquietudine è l’unica sentinella
ammessa a vigilare sull’esattezza
della data del sopralluogo; perché,
segnata la scadenza, non rimanga vaga
la traccia del mio transito, nel frastuono
di armi immaginarie, d’insegne ibride,
di drappelli di figuranti improvvisati.
IV
Supino, immagino foto per album
in dissolvenza, depurati dai residui d’apologia
di qualche rimpianto. L’esercizio non ha
testimoni; per la mia rubrica solo un appunto:
“Quando trovarsi sull’erba diventava
preludio di amori non ci mancava nemmeno
l’euforia inappagata di Majakovskij”.
V
Giù – se è l’ora – seguo gli alberi di gelso
lungo le mura salvate, fino al limite urbano dove
non è applicabile il programma di calcolo
delle occasioni perdute, accumulate
nel tempo. Tutto è sradicato, contemporaneo:
la casualità forma l’opinione; le voci e le figure
di una rassegna passeranno come merce scaduta.
Marzo 2015
(inedita)
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