mercoledì 27 gennaio 2021

Francisco Chica

 GIORNI LAVORATIVI


I

 

Ti riconosco, notte amica,

quando cadi silenziosa sugli oggetti

della sala da pranzo

che occultano la loro presenza

nello spazio propizio al gioco d’ombre

che tu con tanto amore

convochi giornalmente.

La luce artificiale bagna appena

la superficie del corpo felice

– unica resistenza opaca

all’ansia smisurata di trasparenza

che attraversa il riposo;

suddite dell’istante le pareti

ricalcano con precisione

il contorno capriccioso del gesto,

il freno della parola.

 

Il verde profondo della sera

si nega al cambiar posto.

 

 

II

 

Il vicino mare è la dimora permanente

sopra il fragile destino

dei corpi fluttuanti

eretti dalla bruma

di un sogno repentino.

                (Dall’insistenza procace della fiamma

                sorge la scrittura)

Il raso del mezzogiorno

inonda la terrazza

e i vapori dell’alcool

sciolgono il dubbio della tua vita ardente.

                Sulla tavola libri

                e una mela pronta da mordere.


 

 

III

 

Le prime piante oscure

insidiano l’inutile limite del silenzio

e un labirinto d’ombre

spia l’umidità della camera da letto.

 

La mano riscatta la parola che si ripiega sul corpo.

 

Lo scandalo aggira la successione del recinto

che riversa lacrime

in una marea di labbra che si affrontano

nella cornice coloniale del bacio,

materiale di sfondo.

 

Lo splendore della miseria

brilla impudico sulla tovaglia perfetta.

 

Il polso teso dell’estate

sparge il mercurio dell’attesa.

Proclamando la vittoria dell’incontro

la mareggiata macchia, al di là della finestra,

la calma trionfale del paesaggio.

 

 

IV

 

L'ultimo sole fugge ostinato

tra gironi salmastri d’azzurro e madreselva;

dall’umidità nuziale che distillano gli sguardi

anche il pudore fugge.

Nella memoria, il balsamo

della lettera riletta

si confonde con la densità del mare

che investe la soglia della gola.

Come fondale di scena il tuo corpo

– unico e nudo – officia

le nuove maschere dell’amore.

 

 

V

 

La prua della nave spunta nello specchio

di questo piccolo stabilimento modernista.

 

Qui si dà appuntamento

il fragile pudore del capriccio

che spande il suo rossore

tra vapori di gel

e lacrime di marmo.

 

Accarezzando la pelle

con emulsioni di luna

un silenzio si erge

e la schiuma dell’acqua

scivola sull’azzurro dei muri:

un fruscio di cellulosa

si sparge al suolo

verso l’alta marea

del bacio.

 

La mano annuncia la vittoria

dell’amor liquido.

 

Nel purpureo splendore

che l’acqua tiepida diluisce

soccombe la malinconia.

 

 

VI

 

La dolcezza sgranchisce il suo corpo di frutta

mentre una raffica di vento

ravviva il fuoco negro della siesta

popolato di rami e vetri.

Il coltello taglia cerchi di luce

e inchioda il suo stocco d’argento

nel cuore del giorno.

In cucina

la passione chiede vita

accanto al labbro che assapora il vino

e scruta compiaciuto

il fervore della parola.

Le arance scoppiano nel piatto.

Il sopore, da dietro,

                                rompe onde.


Traduzione di Francesco Dalessandro


da ARSENALE", numero Nove-Dieci, Anno Terzo, Gennaio-Giugno 1987



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