DE SIGNATURA RERUM
Con la testa, le spalle e il libro
all’ombra, al fresco; col corpo
allungato in un bagno di sole,
vicino alla cascata, me ne sto
a leggere Boehme, De signatura
rerum. Per tutto il lungo giorno
di luglio, le foglie del lauro,
nelle varie sfumature dorate,
s’avvitano nella loro stessa ombra
scura in movimento. Fluttuano
per un attimo nel riflesso
del cielo e della foresta, poi ancora
vorticando lente affondano
nel cristallo profondo dello stagno
fino al suolo dorato da altre foglie.
Il santo vide scorrere il mondo
nell’elettrolisi dell’amore.
Metto da parte il libro e attraverso
l’ombra chiusa nell’ombra del lauro
snello, guardo foglie e tronchi
pieni di sole. Lo scricciolo cova
sotto la volta del suo nido di muschio.
Un tritone è alle prese con una
falena bianca che annega
nello stagno. I falchi gridano,
giocano insieme sotto la volta
celeste. Passano lunghe ore.
Ripenso a chi mi ha amato,
ai monti che ho scalato,
ai mari dove ho nuotato.
Il male del mondo sprofonda.
Il mio stesso peccato e la pena
svaniscono come il fardello
del Cristiano, e io guardo
le mie quaranta primavere
cadere come le foglie morte
e l’acqua stillante sospesa
in eterno nell’aria estiva.
—
Nel plenilunio di luglio, i cervi
scalpitano nelle radure.
C’è odore d’erba secca nell’aria,
e più debole l’odore di una puzzola
lontana. Stando ai margini del bosco
a scrutare nel buio, in ascolto
della quiete, un piccolo gufo,
con ali più silenti del mio respiro,
si posa sul ramo sopra di me.
Quando gli punto contro la luce,
i suoi occhi brillano come gocce
di ferro e lui come un gattino
curioso alza testa verso di me.
Il prato è luminoso come neve.
Il mio cane fiuta l’erba, macchia
nera in una macchia di lucentezza.
Attraverso il querceto dove
una volta c’era il campo indiano.
Là, in una ragnatela di luce
e macchie scure, confuse nella foschia
blu, ci sono venti vitelle Holstein,
bianche e nere, stese in terra
tutte insieme, quiete, sotto
enormi alberi radicati nelle tombe.
—
Quando lo tirai fuori dal fondo
dello stagno, quel ciocco fradicio
sembrava pesante come un masso.
Lo lasciai al sole per un mese.
Per farne legna da ardere,
poi, lo spaccai in tante parti,
che sparsi per farle seccare
ancora un po’. Quella notte
sul tardi, dopo aver letto per ore –
filosofi e santi sull’umano
destino –, mentre le falene
sbattevano contro la lampada,
uscii sulla veranda e attraverso
l’oscura foresta guardai in alto
isole oscillanti di stelle.
E subito vidi ai miei piedi,
disseminate sul fondo della notte,
barre di tremula fosforescenza,
e sparse tutt’intorno schegge
di luce pallida e fredda, ma viva.
Traduzione di Francesco Dalessandro
Da The complete poems of Kenneth Rexroth, edited by Sam Hamill & Bradford Morrow, Copper Canyon Press, 2003
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