I lettori abituali di questo blog ricorderanno che qualche tempo fa abbiamo seguito l’ultimo verso del perfetto e celebre sonetto del poeta barocco Luis de Góngora (1561-1627): Mientras por competir con tu cabello: un verso che porta all’estremo il vecchio tema del Carpe diem. Il 12 maggio abbiamo letto il sonetto in originale, nella traduzione di Leone Traverso e in quella più celebre di Giuseppe Ungaretti; il 14 maggio, le versioni di due traduttori più recenti, Loris Pellegrini e Giulia Poggi. Il 16 maggio abbiamo letto un’imitazione e una riscrittura. La prima, del nostro Ciro di Pers (1599-1663), successiva all’originale di alcuni decenni appena. Il verso viene posto a chiusura di uno dei sonetti che costituiscono la sequenza per Lidia, nel quale torna il tema oraziano. La seconda, della messicana Suor Juana Inés De La Cruz (1651-1695), è di un secolo dopo. Guardando un proprio ritratto per osservarvi l’ombra della morte, Suor Juana pronuncia una sentenza. «Il modello torna ad essere Góngora» commenta il poeta catalano Pere Gimferrer, «ma gli allusivi “terra” e “fumo” sono soppiantati dalla visione diretta del “cadavere”. Maturando, il Barocco diventa più violento, visionario». Infine, il 19 maggio abbiamo letto una poesia, La spiaggia, del poeta spagnolo Eloy Sánchez Rosillo nella quale il verso che stavamo seguendo, a distanza di secoli subisce una trasformazione.
Ora torniamo sul sonetto di Góngora per proporne altre due versioni di Ungaretti: la prima del 1932, che dunque precede di sedici anni quella qui pubblicata il 12 maggio, e molto diversa; la seconda, appena successiva, del 1948, è uguale a quella da noi pubblicata solo nei primi sei versi. Il resto è una revisione completa, col sigillo, appunto, dell’ultimo verso che perde una parola: ombra. «Ritocco decisivo», commenta ancora Gimferrer, «e tributo al proprio modo di dire».
Una interessantissima comparazione delle due versioni qui proposte la fa Franco Fortini da pag. 133 a pag. 143 di Lezioni sulla traduzione, Quodlibet 2011. Da esso ci siamo permessi di trarre anche altre due versioni dello stesso sonetto: l’una di Gabriele Mucchi, del 1948, e l’altra di Cesare Greppi, del 1984. Eccole.
Luis de Góngora
Mientras, por competir con tu cabello,
oro bruñido al Sol relumbra en vano;
mientras con menosprecio en medio el llano
mira tu blanca frente el lilio bello;
mientras a cada labio, por cogello,
siguen más ojos que al clavel temprano,
y mientras triunfa con desdén lozano
del luciente cristal tu gentil cuello;
goza cuello, cabello, labio y frente,
antes que lo que fue en tu edad dorada
oro, lilio, clavel, cristal luciente,
no sólo en plata o vïola troncada
se vuelva, mas tú y ello juntamente
en tierra, en humo, en polvo, en sombra, en nada.
(1582)
(Versione di Gabriele Mucchi)
Finché risplenda in gara col brunito
oro dei tuoi capelli il sole invano,
finché altezzosa guardi in mezzo al piano
la tua candida fronte il giglio bello;
finché il tuo labbro più che il mattutino
garofano raccolga sguardi ardenti,
finché trionfi disdegnosamente
dell’avorio polito il gentil collo;
e collo e chioma godi e labbro e fronte,
prima che ciò che fu all’età fiorita
oro, giglio, garofano ridente,
non solo in morta viola o in argento
si volga, ma tu a quello in sorte unita
in terra, fumo, polvere, ombra, niente.
(1948)
(Versione di Cesare Greppi)
Finché nel gareggiar coi tuoi capelli
oro brunito splende al sole invano,
finché con sprezzo guarda in mezzo al piano
la tua candida fronte i gigli belli
e inseguono, per coglierlo, il tuo labbro
più occhi che il garofano precoce,
finché vince sul lucido cristallo
superbamente il gentile tuo collo,
godi collo, capelli, labbra e fronte,
prima che quel che nell’età dorata
fu oro, giglio, garofano, cristallo
non solo argento e viola disfiorata
divenga, ma con esso insieme tu
terra, polvere, fumo, ombra, nulla.
(1984)
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