mercoledì 30 agosto 2023

Vladimir Majakovskij

 IL FLUTO DI VERTEBRE

 

Scorderò l’anno, la data, il giorno.

Mi chiuderò solo con un foglio di carta.

Avverati, magia sovrumana

delle parole illuminate di pianto!

Oggi, appena entrato nella tua casa,

mi sono sentito

a disagio.

Tu celavi qualcosa nell’abito di seta

e s’effondeva nell’aria un profumo d’incenso.

Sei felice?

Hai risposto un freddo:

«Molto».

L’inquietudine ha rotto l’argine della ragione.

Accumulo disperazione, nel delirio della febbre.

 

Ascolta,

tanto non ci riesci

a vedere il cadavere.

Scagliami in viso la parola terribile.

Ogni tuo muscolo urla

lo stesso,

come un megafono:

è morto, è morto, è morto.

No,

rispondi.

Non mentire!

(Come farò a tornare indietro così?)

Come due tombe

ti si scavano gli occhi nel viso.

 

Le due fosse si inabissano.

Non se ne vede il fondo.

Mi sembra

di crollare dal palco dei giorni.

Come una fune, ho teso l’anima sul precipizio

e vi ho fatto l’equilibrista, giocoliere di parole.

Lo so,

ormai l’hai consunto l’amore.

Da tanti segni indovino la noia.

Fammi tornare giovane nell’anima.

La gioia del corpo fa’ di nuovo conoscere al cuore.

 

Lo so,

per una donna sempre si paga.

Non fa niente,

se intanto

non ti vestirò con l’elegante abito di Parigi

ma soltanto col fumo della sigaretta.

Il mio amore,

come un apostolo d’età remote,

diffonderò per mille e mille strade.

Da secoli è pronta per te una corona,

ove sono incastonate le mie parole:

arcobaleno di spasimi.

 

Come fecero vincere Pirro

gli elefanti con passo di due quintali,

così io ho sconvolto il tuo cervello col passo del genio.

Invano.

Non potrò piegarti.

 

Gioisci,

gioisci

d’avermi finito!

Ora è tale l’angoscia che desidero

soltanto fuggire al canale

e il capo cacciare nell’acqua digrignante.

 

Mi hai offerto le labbra.

Con quanta indifferenza.

Le ho sfiorate e m’hanno ghiacciato.

M’è parso di baciare in penitenza

un monastero intagliato nella fredda pietra.

Hanno sbattuto

la porta.

È entrato lui,

rorido di gaiezza delle strade.

Io

con un gemito mi sono spezzato in due.

Gli ho gridato:

«Va bene!

Me ne andrò!

Va bene!

Rimarrà tua.

Ricoprila di stracci,

le sete appesantiscono le sue timide ali.

Bada che non s’involi.

Appendile al collo

come una pietra collane di perle!»

 

Oh, questa,

che notte!

Ho spremuto a non finire la mia disperazione.

A mio pianto e al mio riso

il muso della stanza s’è torto in una smorfia d’orrore.

 

E come una visione sorse a te il tuo sembiante,

sul suo tappeto effondervi l’aurora dei tuoi occhi,

quasi un sogno evocasse un nuovo Bialik

un’abbagliante regina dell’ebraica Sion.

 

Nel tormento ho piegato i ginocchi

dinanzi a colei che non è più mia.

A mio paragone

re Alberto,

arresosi con tutte

le sue fortezze,

è un festeggiato ricolmo di regali.

 

Indoratevi al sole, fiori ed erbe!

Dilagate in primavera, vita di tutti gli elementi!

Io un solo veleno desidero:

bere e bere sempre versi.

 

Tu che hai saccheggiato il mio cuore,

privandolo di tutto,

e nel delirio m’hai lacerato l’anima,

accogli, cara, il mio dono,

forse più nulla io potrò inventare.

Ornate a festa la data di oggi.

Avverati,

magia simile alla passione di Cristo.

Vedete,

sulla carta sono trafitto

con i chiodi delle parole.

 

(1915)

 

Traduzione di Ignazio Ambrogio

da Majakovskij, Antologia lirica, Nuova Accademia Editrice, 1960

 

lunedì 28 agosto 2023

Enrest Hemingway

 ADDIO ALLE ARMI

(inizio)

 

Sul finire dell’estate di quell’anno eravamo in una casa in un villaggio che di là dal fiume e della pianura guardava le montagne. Nel letto del fiume c’erano sassi e ciottoli, asciutti e bianchi sotto il sole, e l’acqua era limpida e guizzante e azzurra nei canali. Davanti alla casa passavano truppe e scendevano lungo la strada e la polvere che sollevavano copriva le foglie degli alberi. Anche i tronchi degli alberi erano polverosi e le foglie caddero presto quell’anno e si vedevano le truppe marciare lungo la strada e la polvere che si sollevava e le foglie che, mosse dal vento, cadevano e i soldati che marciavano e poi la strada nuda e bianca se non per le foglie.

[. . .]

Traduzione di Fernanda Pivano

da Addio alle armi, Oscar Mondadori, 1965

 

venerdì 25 agosto 2023

Henri-Pierre Roché

 STORIA INDIANA


Due amanti erano tormentati dall'amore e dalla gelosia. Insieme conobbero la più grande felicità e la guastarono. Più volte di separarono e si ritrovarono, più innamorati di prima. Ma l'uno faceva soffrire l'altra. Si lasciarono per davvero. Qualche anno dopo lui volle rivederla prima di morire, il cuore a pezzi. La cercò, viaggiò, pensando che dovunque fosse, la sua bellezza l'avrebbe resa celebre. La ritrovò stella di un balletto, che conduceva un'esistenza frivola. Le si fece incontro, la guardò, e non trovava niente da dirle, lacrime gli scendevano dagli occhi. Seguì il balletto, e contemplava l'amica ballare e sorridere per gli altri. Non vi era in lui alcun rimprovero e da lei non desiderava altro che il permesso di guardarla. "Mi ami davvero, finalmente!" ella gli disse.


Trasuzione di Mariagloria Sears

da Jules e Jim, Mondadori, 1965

mercoledì 23 agosto 2023

Henri-Pierre Roché

 GIORNALE RURALE


1.


Dopo un lungo periodo di bello stabile sopraggiunse un periodo con temporali. Il perché è ignoto.

Si hanno ancora negli occhi le belle giornate - eppure il mese è sciupato, la stagione è sciupata, forse l'intera annata è sciupata.


2.


Le forbici, la matita, gli occhiali, un bel giorno si smarriscono;

sentono le vostre voci, vorrebbero rispondere:

"Eccoci!" Ma non possono.


3.


Un piccolissimo rimorso d'amore, una cosa da niente, era cresciuta come una quercia.


Traduzione di Mariagloria Sears

da Jules e Jim, Mondadori 1965



lunedì 21 agosto 2023

Edgar Allan Poe

SOLO


Fin da bambino, io non sono stato

uguale agli altri; non ho mai guardato

il mondo come gli altri; le passioni

da una fonte comune non ho tratto.

Dalla stessa sorgente non ho attinto

il mio dolore; né ho accordato il cuore

alla gioia di chi mi stava accanto.

Ciò che io ho amato, l'ho amato da solo.

Allora - nei miei primi anni, nell'alba

delle burrasche d'una vita - è sorto

dai grandi abissi del bene e del male

questo mistero che ancora mi avvince:

sempre, dalla fontana o dal torrente,

da quella rossa rupe in cima a un monte,

dal sole che girava intorno a me, 

nel suo bagliore dorato d'autunno,

dal lampo che scoccava in mezzo al cielo

sfiorandomi nel suo rapido volo,

dalla tempesta e dal rombo del tuono,

e dalla nube che prendeva forma

(mentre il resto del cielo era sereno):

la sagoma di un demone al mio sguardo.


Traduzione di Raul Montanari

da Il corvo e altre poesie, Feltrinelli

 

venerdì 18 agosto 2023

Paola Febbraro

 DUE POESIE

 

*

                                   Appicco il fuoco

                              sulla tavola del sogno

lancio straccio imbevuto di spirito

              e so di essere io

                   nel tempo

 

contro cosa lanciassi le fiamme

spense memoria

gli schiaffi del vento la notte

contro cui gridai di tacere

ché non potevo temere l’entrata

di tutta la forza del vento

a rovesciare la stanza – insieme tetto e casa

e contempo tornare di corsa a sapere

dell’appicco del fuoco del lancio dello straccio di spirito


**

Se s'avvicina ciò che di me è stato

senza differenza tra chi ci fa nascere e chi ci abbandona

...

non è di poco conto una domanda

se non è di muoversi di stanza in stanza

ma occupar le stanze dire

se non voglio strade non voglio camminare

ma stare

in case a più piani a più riprese d'ossigeno e di rose

dire: ce l'ho da fare.


Ma che ci faccio con tutte queste cose

se è durante tutto il santo giorno che cerco

di fare quello che non so fare

e non è mai abbastanza.


Se s'avvicina ciò che di me è stata

interrotta

allora m'allontana la sconfitta

come non fossi stata io

convertita.


Ma voglio fare la parte del leone

in luogo di statica rappresentazione

...

il vento solleva i miei capelli da una parte sola

per farla la mia parte

una parte sola.


Ho fretta

voglio invecchiare

come la terra che sotto ha l'animale.


(1992)


Via Lattea, n. 11, gennaio-giugno 1993


Negli anni Novanta del secolo scorso si pubblicava, a Catania, una piccola rivista letteraria, «Via Lattea», diretta da Benedetto Macaronio (direttore responsabile era Claudio Fassari). La redazione era composta da Luigi Amendola, Alberto Cappi, Salvatore Cataldo, Alessandra Giappi e Renato Pennisi.

Da «Via Lattea» ho riproposto alcuni testi significativi. Questo di oggi, della brava e sfortunata Paola Febbraro, è l'ultimo.


mercoledì 16 agosto 2023

Umberto Piersanti

 SOLO UN ANNO È PASSATO

 

Era i primi di maggio, un pomeriggio limpido

come succede in tutta la stagione una volta o due

solo un anno è passato, ma tu eri viva

e camminavi svelta per le macchie

madre com’eri viva, come parlavi forte

staccavi le vitalbe da ogni ceppo

sprofondavi nei greppi senza paura

poi risalisti con nei pugni stretti

i bei germogli verdi da cucinare

gli occhi tuoi azzurri, quelli della Fenisa

anche se alla luce sono inclini

di rado li avevo visti così chiari

 

la strada di quel giorno era tutta bianca

al margine dei colli, sotto i confini

s’assottiglia nei campi, quasi scompare

torna larga tra l’erbe, ma separata

dal tempo che ha sopra la sua dimora

 

era ormai sera, vidi l’orchidea

altissima, bagnata della luce

morbida, che arriva quando imbruna,

quante volte l’hai colta nel tuo fosso

e davanti allo specchio ti piaceva

intrecciarla un momento alle grandi ciocche

rosso-castane, che scendono alla vita

– tu non invecchi – e rido, mentre Sali

alla rossa orchidea, le stacchi piano

domani la metterai al davanzale

nel grande vaso verde che ti è caro

 

ora davvero sono solo

e nulla posso per il figlio lontano

ci fu un tempo felice nella casa

col padre e le sorelle, tu ci guidi

poi la vita e la morte ci disperse

rimanesti con me, ad aspettarmi

ti ringrazio madre per quei giorni.

 

(Luglio 1991) 


Via Lattea, n. 11, gennaio-giugno 1993


Negli anni Novanta del secolo scorso si pubblicava, a Catania, una piccola rivista letteraria, «Via Lattea», diretta da Benedetto Macaronio (direttore responsabile era Claudio Fassari). La redazione era composta da Luigi Amendola, Alberto Cappi, Salvatore Cataldo, Alessandra Giappi e Renato Pennisi.

Da «Via Lattea» ripropongo alcuni testi significativi.

lunedì 14 agosto 2023

Maria Luisa Spaziani

 TEVERE PRIMO AUTUNNO


Tevere delle mie vene, in te ondeggiano e vanno

nubi rivolte all'ovest, come le barche dei morti.

L'estate chiude gli occhi, l'esausta fanciulla,

qualche spiga superstite nel biondo dei capelli.


Il sole si rassegna, è un lottatore stanco,

dio che accosta i battenti del suo tempio deserto.

Entra in te stessa, dico. Vedrai che mari e cieli

e imperi della rosa offrono gli occhi chiusi.


(1992)


Via Lattea, n. 11, gennaio-giugno 1993


Negli anni Novanta del secolo scorso si pubblicava, a Catania, una piccola rivista letteraria, «Via Lattea», diretta da Benedetto Macaronio (direttore responsabile era Claudio Fassari). La redazione era composta da Luigi Amendola, Alberto Cappi, Salvatore Cataldo, Alessandra Giappi e Renato Pennisi.

Da «Via Lattea» ripropongo alcuni testi significativi.


venerdì 11 agosto 2023

Attilio Lolini

 RISCRITTURE


Scuro è il vulcano

una città

di orribili notti

di anni svaniti.


Legato a quel destriero

dagli occhi senza palpebre

che si chiama rimorso.


                        (Riscrittura da Malcolm Lowry)



Ora ho dimenticato tutto quello

che pareva così profondo e caro.

I rododendri come collinette

di vetro colorato a Kew.


Lo stagno è coperto

di piccoli aculei bianchi...

s'increspa, onde nere lo solcano,


Pioggia a rovesci

le foglie del giglio

si piegano a terra

un rosso fiore galleggia


una subitanea ombra

vela il sole riapparso


Bacche rosse sulle siepi

rosso cupo su Asheham.


                                 (Riscrittura da Virginia Wolf)


Negli anni Novanta del secolo scorso si pubblicava, a Catania, una piccola rivista letteraria, «Via Lattea», diretta da Benedetto Macaronio (direttore responsabile era Claudio Fassari). La redazione era composta da Luigi Amendola, Alberto Cappi, Salvatore Cataldo, Alessandra Giappi e Renato Pennisi.

Da «Via Lattea» ripropongo alcuni testi significativi.

mercoledì 9 agosto 2023

Nino De Vita

R’I PICCIRÌDDU

 

Quann’è chi tartaddìa

– ’u suli ncapu l’astràchi

e aê tigni –, a Cutusìu

’a terra, assicatàta,

fa picàzzi turciùti

comu serpi.

                      È patuta.

Aê primi acqui chiuri,

vuncijànnusi, ’i spaccàzzi.

 

Comu l’òmin’i cosi

pinìanu; e s’avìssiru

’a paròla ’i sintìssimu

anguscijàri, vucijàri,

                                      forsu puru

prijàri.

 

Tuttu chissu pinsàvu,

sutt’ô suli r’avùstu,

cu’ mme patri, nna vigna,

a scippàri rramìgna.

 

Un ccòrp’i rrini, fermu,

e cafuddàvu ’a lama

r’a zzappa rintr’a ddàgala:

’n funnu, sempi cchiù ‘n funnu;

l’ajisàvu e acchianàvu

all’aria i truncunèdda

                                         r’i l’irvàzza

tinta.

me’ patri arricugghìa

i fila e nni facìa

munzèdda.

 

A mmòddu – trapanàti –

purtàvam’a cammìsa

cu’ i mànichi ajisàti

e un cappiddàzzu ’n testa.

 

Ncapu ri nijàtri, i corva

stàvanu ’mpinti

                              nìvuri

nnall’aria.

 



DA BAMBINO

 

Quando dardeggia

– il sole sopra ai tetti

e sulle teste –, a Cutusìo

la terra, assetata,

forma crepe ritorte

come serpi.

                       È afflitta.

Alle prime piogge sana,

gonfiandosi, le fenditure.

 

Come gli uomini le cose

soffrono; e se avessero

la parola le sentiremmo

piangere, gridare,

                                  forse pure

pregare.

 

Questo pensavo,

sotto il sole d’agosto,

con mio padre, nella vigna,

ad estirpare gramigna.

 

Un colpo di reni, deciso,

e penetravo la lama

della zappa nella terra:

in fondo, sempre più in fondo;

la sollevavo e portavo

all’aria i rizomi

                              dell’erba

cattiva.

Mio padre raccoglieva

i fili e ne faceva

mucchietti.

 

Sudati – inzuppati –

portavamo la camicia

con le maniche rialzate

e un cappellaccio in testa.


Via Lattea, n. 11, Gennaio-Giugno 1993


Negli anni Novanta del secolo scorso si pubblicava, a Catania, una piccola rivista letteraria, «Via Lattea», diretta da Benedetto Macaronio (direttore responsabile era Claudio Fassari). La redazione era composta da Luigi Amendola, Alberto Cappi, Salvatore Cataldo, Alessandra Giappi e Renato Pennisi.

Da «Via Lattea» ripropongo alcuni testi significativi.


lunedì 7 agosto 2023

Angelo Fasano

 DUE POESIE


ESODO


Un ramo ch'è divelto è un segno d'appartenenza:

brano a brano, in altrui mano, il mio cuore

si disfa. Mio re, cercami. I tuoi nemici hanno

infinite schiere ed io sono

finito, fuori dal tuo recinto. Fa' che

non mi abbia né il primo giorno

né l'ultima notte: volevo un sassolino

bianco, essere da te segnato in viso. Tu solo puoi,


FIGURA


L'enigma a notte svelse la mondina: cose celate in acque basse, lente.


Figura ancora immota, tu sola puoi svelarti: attenderò,

finché la brezza mattiniera soffi sulle nature a me negate

e anche se l'attesa mi sfianchi, mi sfinisca.


Miracolo sarà, sotto la gonfia luna che infiorava

se uno stelo maturo, muffito,

per noi camminerà.


E non chiedo perché non è già ora,

non è tempo (l'accadimento svela la figura attesa, ogni cosa

ha un cantuccio, lieve schisi nel moto della sfera).


Spingi avanti la ruota, cruda e dolce è la furia dell'infante.


Via Lattea, n. 11, gennaio-giugno 1993


Negli anni Novanta del secolo scorso si pubblicava, a Catania, una piccola rivista letteraria, «Via Lattea», diretta da Benedetto Macaronio (direttore responsabile era Claudio Fassari). La redazione era composta da Luigi Amendola, Alberto Cappi, Salvatore Cataldo, Alessandra Giappi e Renato Pennisi.

Da «Via Lattea» ripropongo alcuni testi significativi.


venerdì 4 agosto 2023

Plinio Perilli

 

ALLA SUA DONNA

 

1.

«…Tu sei me!...»: strano, fulminante lapsus del cuore,

mistero affabulante e riemerso, breve etica del telepatico,

incipit già finalistico… Ma se sbagliando d’Amore sconfino,

compiutamente e meglio dal profondo m’esprimo. «…Tu sei

me?…» ripeto a riderne, vacillo duplice e amputato.

Ciacolando, conversando, errai goffo nel lessico – ma

non nel cuore: ché anzi proprio la sintassi, la dialettica,

suprema mi riafferma coinvolto, si proclama sincera.

 

2.

«Tu sei me?...» – insisti, retrocedi arrestata sul mio

spontaneo, irridente e gaudioso interrogarmi d’equivoco,

di sano, viscerale impaccio già illimpidito. Riflesso

che guida, irradia messaggi, cifrato segnala sé stesso.

Fedele, azzurro specchio infrangibile: malinteso benefico,

enigma allegro e dogmatico, verità accertata ma

indimostrabile… Più pesante sbatte l’ala ferita,

poi il suo stesso volo la cura, la riabitua all’aria:

a donarci, primigenia e indubbia, tanta formula di levità.

 

3.

Io dunque vivo di te, ardore che anela il reciproco,

pulsa e teorizza il suo cuore: persegue amabile a riderne

come per un madornale sfondone dialogico, sublime refuso

dell’anima. E ad entrambi l’Ego, l’Es, i compiace: perché

al contempo soprattutto, freudiana, tu sei me. Formula

piena e vitale, equazione insostenibile ma necessaria,

mistero assai ben risolvibile… Come un giocatore che

alla Dea Fortuna, all’alea bendata s’arrenda – eppure

estenuato si dichiari, si speri vincente, le sue carte

getti, sopra tutte in tavola –: ricco, forse, sarà

d’altrui: o proprio l’altro impreziosisce, autorizza a vincerlo.

 

4.

Esìgimi, assoggèttami! Come giurassi un sommo, eterno voto:

di me sei parte, conquistata frazione e costrutto –

ardua, sentimentalistica mèta ancestrale, indivisibile

binomio che l’assoluto raddoppia. Venerando te sola, anima

certo alla mia più simile – ma tutto amando il mio prossimo

come (o forse più di) me stesso… Qui l’Evangelo s’avvera:

la parabola perfettizza, trascendentale s’arrende ai fatti.

ci camuffa più saggi e limpidi – come sguardo che breve, puro

tracude il cielo: ricordo che tutto include il suo tempo.

 

5.

Giacché chi ama brucia e trasmuta nell’Altro, puro sirito

nutre, s’affanna e trasmigra – vi persiste e lo include:

ed è dal tuo Io (da ciò che troppo ci è proprio, pertiene

a noi stessi) che l’Io s’estranea, s’allontana – ti rivela

e ci salva. Parificami! Concorda gli antipodi!: passione

appassionante e patìta. Dammi e fammi tuo corpo. Dillo

tuo. Comprendimi, infuso ausculta il mio cuore, esigilo…

Ditti mia; credici, accoglimi, completami, fondici.

 

6.

D’insieme, infine, facci rinascere – mutami in qualcun

altro che di profondo, pudìco, ti somigli. L’inconscio

epurami, il pregiudizio sensuale, le tare nevrotiche:

ossimoro aguzzo e dolcissimo, Chiamami, Pàrlati. Battezza

nostro ciò che mai più sarà anonimo… Inclinato e ruotante,

ribalta il globo! – mai onirico irridi, lenisci il mio

mondo, questa dolente ferita che non si chiude, spurga

sangue incolore: caldo, fecondo flusso d’un bene tacito.

 

7.

Quasi che a entrambi un figlio, una creatura nascesse –

un manifesto lirico, da ogni coppia già promessa di pace:

una vita nuova da adempiere, mostrare agli increduli,

d’intenzioni elevata, profusa nei gesti, aurea dedita

a Dio: l’altissimo, nudo Amore che si dichiara a tutti,

svela ciascuno e l’egoismo perdona, affratella, ribalta umile

– rinnega la finitezza, il parziale; ci abbraccia d’un

orizzonte più vasto, gnoseologico ci assegna il premio

d’un sacro connubio carnale: plasmata costola biblica:

Tu m’ispiri, Io t’immedesimo – specchio che ferma un sogno.

 

Via Lattea, n. 10, luglio dicembre 1992


Negli anni Novanta del secolo scorso si pubblicava, a Catania,

 una piccola rivista letteraria, «Via Lattea», diretta da 

Benedetto Macaronio (direttore responsabile era Claudio 

Fassari). La redazione era composta da Luigi Amendola, 

Alberto Cappi, Salvatore Cataldo, Alessandra Giappi e Renato 

Pennisi.

Da «Via Lattea» ripropongo alcuni testi significativi.


mercoledì 2 agosto 2023

Jolanda Insana

 ALCUNI EPIGRAMMI DI CALLIMACO


*


Riposa qui Càrida? "Sì, se dici

il figlio di Arimma Cireneo".

Càrida, che c'è laggiù?

"Fitta tenebra".

E il ritorno sulla terra cos'è?

"Menzogna"

E Plutone?

"Favole".

Siamo fottuti.

"Ho detto il vero, ma se vuoi

una chicca, nell'Ade

un bue grosso si compra per una lira".


*


A te, potente Eracle che ammazzasti

il leone e il cinghiale,

questo ramo di quercia offre...

"Chi?"

Archino.

"Quale?"

Il Cretese.

"Accetto".


*


L'ospite nascondeva la sua ferita

ma quanto affannato (hai visto?)

gli usciva il respiro dal petto

quando bevve il terzo bicchiere.

E le rose disfogliandosi

dalla sua corona finirono tutte a terra.

E' innamorato cotto. E per gli dèi

non faccio congetture a caso:

ladro riconosco i passi del ladro.


*


Per Pan, qui c'è un fuoco nascosto, qui c'è

fuoco sotto la cenere, per Dioniso.

Non sono forte, non abbracciarmi:

spesso un fiume tranquillo segretamente

smangia il muraglione, e anche ora, Menèsseno,

temo che s'insinui e silenziosamente

mi smangi gettandomi nella passione.


*


"Scappa, Menècrate, o sarai preso"

dissi il venti di maggio.

E a giugno che giorno era?

Era il dieci, e da sé venne il bove

sotto l'aratro. Bene, tutto bene, per fortuna

e di quei venti giorni non mi lagno.


*


Puoi dirlo, straniero. Nella parte di Panfilo

sono testimone effettivamente comico

delle conquiste di Agoranatte Rodio:

non sembro infuocato d'amore, sto a metà strada

tra un fico infornato e una lucerna d'Iside.


Via Lattea, n. 10, Luglio-Dicembre 1992


Negli anni Novanta del secolo scorso si pubblicava, a Catania, una piccola rivista letteraria, «Via Lattea», diretta da Benedetto Macaronio (direttore responsabile era Claudio Fassari). La redazione era composta da Luigi Amendola, Alberto Cappi, Salvatore Cataldo, Alessandra Giappi e Renato Pennisi. Da «Via Lattea» ripropongo alcuni testi significativi.