IN PIENA NOTTE
Mi svegliai in piena notte. In casa c’era
tanta luce. Sentivo, in corridoio,
andirivieni di passi affrettati,
voci tristi e dolenti non sapevo per cosa,
e, in lontananza, un lento mormorio
di preghiere – sembrava – sussurrate tra pianto
e gemiti. Qualcosa di strano era successo,
senza dubbio. Confuso, spaventato chiamavo
ostinato mia madre, ma al momento
non accorse nessuno. Insistendo, alla fine
venne nella mia stanza, afflitta, la domestica.
Dopo qualche carezza e qualche abbraccio,
la poveretta disse che mio padre era morto,
che era morto da poco, d’improvviso.
Io avevo
sette anni allora, e mio padre, morendo,
l’età che adesso ho io. Sono passati
quarant’anni ma ancora respiro quell’angoscia.
Mentre la mano scrive questi versi,
io rivivo i terribili momenti
di quella notte ormai lontana. Mamma,
su una poltrona, piange di sconforto
vicino al letto dove giace il corpo
di mio padre. Io m’accosto e le do un bacio;
le dico di non piangere, non piangere.
Quel pianto mi commuove anche più del cadavere
– così irreale e solo, così quieto –
dell’uomo ancora ieri il centro della casa
che giocava con me, con mia sorella
e mio fratello. La morte trasfigura,
traccia con la sua presa all’improvviso
un enigma: riconoscevo appena
mio padre, in quelle spoglie misteriose,
ermetiche.
Io allora non capii.
Oggi lo so, quelle ore in cui presi coscienza
del tempo e della morte spezzarono l’infanzia:
fu lì che smisi d’essere un bambino.
La casa
si riempiva di gente. La presenza
di familiari e amici provocava continue
scene di dolore. La notte non passava.
Sembrava non dovesse più arrivare l’aurora.
Traduzione di Francesco Dalessandro
Da Las cosas como fueron. Poesía completa, 1974-2003, Tusquets, 2004
Che bello sentir raccontare (come praticamente si può fare soltanto in versi) un'esperienza così importante, così schiettamente.
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