INVETTIVA
per Andrea Zanzotto
su trascorrenti treni pieni
di bocche
recede l’italiano nei suoi stracchi
accostamenti
nei melodiosi calli dei suoi suoni
una faccenda che segni secca il mondo
o sfumata un millimetro
meglio in inglese meglio in dialetto dirla
che in questa lingua sdentata
che biascica di fasti
in una casa ipotecata – io ero
sono, guardi, sterminata!
l’impervio?
una parola macerata a punta
che sturi il piloro il tubo il cavo
il capillare – unta
che entri e dica
l’urgenza del sottile ponte
che dica esatto cerchi l’intatto
senso e lo contamini mestando
nella densa zuppa?
una pozione
che tutti ne vogliano il segreto?
qui in pochi si mangia cibi ignoti
si osa la magia si va nel bosco
e i pochi stanno sconosciuti
tra loro – il galateo della scoperta è perso
resta la radura di paura
di scrivere in un verso
che abbia duro sapore e di veleno
freccia scoccata sia
22 aprile 2007
Andrea Zanzotto non è un poeta che mi ha fatto scrivere poesie, né mi ha scaldato il cuore. Ha acceso il ragionamento. Per esempio dopo aver letto In questo progresso scorsoio, conversazione con Marzio Breda (Garzanti, 2009), ho rimpianto di essermi disfatta dei Quaderni dal carcere. Il catastrofismo a ragion veduta di Zanzotto mi ha fatto pensare a Gramsci: avrei voluto controllare, per conto mio e a modo mio, se e come Gramsci avesse, riguardo alla società italiana, premuto in realtà più sul pessimismo della ragione che sull’ottimismo della volontà.
Sul destino della nostra lingua ho scritto invece una poesia triste, e ho sentito Il galateo in bosco tornarmi presente.
Stefania Portaccio
A una lettrice fedele di questo blog, che ci scrive: "Sono in un momento di difficoltà e la mia unica lettura da qualche settimana sono le poesie e le prose di Zanzotto. Non sono mai scontate".
La Redazione
forte, anche se non sono sicuro di ciò che stia dicendo
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