TUTTO UN PAESE SORGE CONTRO UN UOMO
Tutto un paese sorge contro un uomo
condannato al coraggio:
le torri aragonesi a rombo sulla scogliera
e le case alte un palmo
(e doverti pregare di sorridere!),
come il cucito su cui cade a picco
il profilo severo delle cucitrici
in una poca luce d’oleandri.
Mi sarebbe costato meno uccidere,
in quest’inefficace lume di luna
schiacciata ai poli e preda di vapori
d’un rissoso occidente,
che dover dire: «un uomo come me»,
e sentire lo spazio per tutti e quattro i costati
torcersi come rame bianco, e le stoppie bruciare
in fumo senza vampe.
Le cose si feriscono anche senza di noi.
Che cos’ha questo viso? Io non avrei dovuto
uscire così illeso dai miei naufragi e segnare
nuovi fatti insensati sul bilancio del vivere,
eppure il tempo non si vendica, serba una traccia
dell’antica fierezza che morì
nelle disabitate tombe sparse
fra questi scogli che corrode il mare
e lo zolfo di sommersi vulcani.
È lì che vaga la notte la tua anima
di uomo come me, di me che credo
in quegli avi sepolti per tanti secoli
con un profilo come il mio
con cui guidavano
il corso delle navi e dei cavalli
e amavano pazienti donne dagli occhi d’uva.
Come si dibatte l’omuncolo nell’intrico del sangue
di quell’offesa somiglianza – e intanto perde terreno!
Vedilo dunque saltare, saltare infinitamente
fra queste tombe greche
accecate di terra, in riva al mare,
sparire nelle grotte, ricomparire
col viso tumefatto dal dolciastro egoismo
d’essere ancora vivo senza pietà.
Da Tutte le poesie, Besa, 2010
lunedì 29 settembre 2014
venerdì 26 settembre 2014
John Keats
FAMMI LEZIONE, MUSA, A VOCE ALTA
Fammi lezione, Musa, a voce alta,
in vetta al Nevis, cieco nella nebbia!
Scruto nei dirupi, una coltre di vapori
li nasconde: questo, credo, l’uomo
sa dell’inferno; guardo in alto: nebbia
insistente: lo stesso può dirsi del cielo;
estesa al suolo, la nebbia è la terra
che calpesto: così, vaga, è la vista
che l’uomo ha di se stesso. Sotto i piedi
pietre sconnesse; e io, povero elfo
istupidito, che ci cammino sopra,
questo capisco: ciò che l’occhio incontra
è roccia e nebbia, e non solo qui in alto,
anche dove ha potere la mente, nel pensiero.
Traduzione di Francesco Dalessandro
John Keats, Poetical Works, Oxford University Press, 1972
Fammi lezione, Musa, a voce alta,
in vetta al Nevis, cieco nella nebbia!
Scruto nei dirupi, una coltre di vapori
li nasconde: questo, credo, l’uomo
sa dell’inferno; guardo in alto: nebbia
insistente: lo stesso può dirsi del cielo;
estesa al suolo, la nebbia è la terra
che calpesto: così, vaga, è la vista
che l’uomo ha di se stesso. Sotto i piedi
pietre sconnesse; e io, povero elfo
istupidito, che ci cammino sopra,
questo capisco: ciò che l’occhio incontra
è roccia e nebbia, e non solo qui in alto,
anche dove ha potere la mente, nel pensiero.
Traduzione di Francesco Dalessandro
John Keats, Poetical Works, Oxford University Press, 1972
mercoledì 24 settembre 2014
Nail Chiodo
CIÒ CHE DISSE LA BALENA
Ah, Manhattan, coi tuoi condomini
più alti dei colli toscani, dei paesi di collina,
le imponenti colonne, nessuna in rovina!
Me ne stavo in mutande, in mezzo a te,
lottando con le parole e il silenzio; dai radiatori
con superbia i sifoni sbuffavano vapore
nella mia camera e in quella di lei –
che batteva sulla sincerità; io, sulla verità:
la fusione alfine produsse coltelli.
Decollai come un missile da Baikonur.
Per come sento ora, per come la vedo, nella storia
contemporanea ci vorrebbe più umorismo!
Mi ritirerò nella Foresta Nera,
rinchiuso fra i pini ed i libri.
Traduzione di Francesco Dalessandro
da In the Instant's Guise, Selected Poems 1978-2011, 2011
Ah, Manhattan, coi tuoi condomini
più alti dei colli toscani, dei paesi di collina,
le imponenti colonne, nessuna in rovina!
Me ne stavo in mutande, in mezzo a te,
lottando con le parole e il silenzio; dai radiatori
con superbia i sifoni sbuffavano vapore
nella mia camera e in quella di lei –
che batteva sulla sincerità; io, sulla verità:
la fusione alfine produsse coltelli.
Decollai come un missile da Baikonur.
Per come sento ora, per come la vedo, nella storia
contemporanea ci vorrebbe più umorismo!
Mi ritirerò nella Foresta Nera,
rinchiuso fra i pini ed i libri.
Traduzione di Francesco Dalessandro
da In the Instant's Guise, Selected Poems 1978-2011, 2011
lunedì 22 settembre 2014
Franz Kafka
GLI ALBERI
Infatti noi siamo come tronchi di alberi nella neve. In apparenza giacciono raso terra, e con una piccola spinta si dovrebbe poterli smuovere. No, non si può, ché sono saldamente legati alla terra. Ma vedete, anche questa è soltanto apparenza.
Traduzione di Henry Furst
da I racconti di Kafka, Longanesi & C., 1965
Infatti noi siamo come tronchi di alberi nella neve. In apparenza giacciono raso terra, e con una piccola spinta si dovrebbe poterli smuovere. No, non si può, ché sono saldamente legati alla terra. Ma vedete, anche questa è soltanto apparenza.
Traduzione di Henry Furst
da I racconti di Kafka, Longanesi & C., 1965
venerdì 19 settembre 2014
E. E. Cummings
LEI, IN GREMBO A CAVALCIONI
lei, in grembo a cavalcioni,
mi s’incardina (io ognuno dei capezzoli eccitati
succhio) e, piegandosi, coi soli polpastrelli
alle labbra d’amore porta l’Ospite affamato
al Quale (giusto ora che lei prende a sedersi,
a poco a poco rilasciando il dolce peso)
Oh, come si stringono le calde cosce succose!
e (istante da istante profondo) mentre il suo
viso guarda, appena vivo, quel magico Festino,
che avido men da meno sparisce – in che stordita
palpitante accoglienza (via via assottigliato)
duramente vien meno il mio enorme Invitato!
fin (proprio quando i ventri si toccano sognanti)
alla più lontana non vista segreta rima d’amore.
Traduzione di Francesco Dalessandro
Da Etcetera: The Unpublished Poems, Liveright, 1983
lei, in grembo a cavalcioni,
mi s’incardina (io ognuno dei capezzoli eccitati
succhio) e, piegandosi, coi soli polpastrelli
alle labbra d’amore porta l’Ospite affamato
al Quale (giusto ora che lei prende a sedersi,
a poco a poco rilasciando il dolce peso)
Oh, come si stringono le calde cosce succose!
e (istante da istante profondo) mentre il suo
viso guarda, appena vivo, quel magico Festino,
che avido men da meno sparisce – in che stordita
palpitante accoglienza (via via assottigliato)
duramente vien meno il mio enorme Invitato!
fin (proprio quando i ventri si toccano sognanti)
alla più lontana non vista segreta rima d’amore.
Traduzione di Francesco Dalessandro
Da Etcetera: The Unpublished Poems, Liveright, 1983
mercoledì 17 settembre 2014
Cesare Greppi
LA GRANDE TELA CHE RICOPRE
La grande tela che ricopre
questo spazio pieno passato
e ricade in pieghe discrete
e commoventi fino a terra
formiche rosse veloci
la corrono, e altro, e il fondo
rabbrividisce.
Per un viottolo nascosto
ci arrivi, è permesso,
vi posi gli occhi e non dirai
mai, adesso la spiegazione
e più tardi, più tardi le lacrime.
Da Chronicon, Coup d’idée edizioni d’Arte di Enrica Dorna, 2014
La grande tela che ricopre
questo spazio pieno passato
e ricade in pieghe discrete
e commoventi fino a terra
formiche rosse veloci
la corrono, e altro, e il fondo
rabbrividisce.
Per un viottolo nascosto
ci arrivi, è permesso,
vi posi gli occhi e non dirai
mai, adesso la spiegazione
e più tardi, più tardi le lacrime.
Da Chronicon, Coup d’idée edizioni d’Arte di Enrica Dorna, 2014
lunedì 15 settembre 2014
Edo Ferri
LASZLO
Non ricordo più il tuo volto Laszlo
ma rivedo i tuoi palloni tesi
il tuo passo magiaro
le gambe in guerra con il terreno
lo sguardo verso la linea di fondo
confine al tuo fremere
su chilometri di fasce
strade d’erba verso il sole
unico amico dei cieli romani
con il pensiero a Budapest
ai palloni di stracci in cui già cercavi
il giro perfetto del cross
l’inclinatura magica della caviglia
enigma impenetrabile
come la tua negazione del gol
il fermo desiderio di non aggiungere
altra tristezza negli occhi dei portieri.
Non esultavi mai Laszlo
il gol era fine di un racconto
definizione di una regola
per un atto anarchico
come il correre
il calciare con estro
mentre il corso degli anni
iscriveva il senso del dovere
nelle parole e le dita dei tuoi piedi.
Oggi segni come gli altri Laszlo
canti i tuoi gol ad una curva immaginaria
ma sai ancora tornare col pensiero
a quegli attimi luminosi interminabili
come ad un verso mai dimenticato
che attraversa il tempo incide i giorni
malgrado tutto sia abitudine
e nessuno sappia più dare valore
all’inutilità di un cross.
Da Linea di fondo, raccolta di prossima pubblicazione presso le Edizioni Il Labirinto
Non ricordo più il tuo volto Laszlo
ma rivedo i tuoi palloni tesi
il tuo passo magiaro
le gambe in guerra con il terreno
lo sguardo verso la linea di fondo
confine al tuo fremere
su chilometri di fasce
strade d’erba verso il sole
unico amico dei cieli romani
con il pensiero a Budapest
ai palloni di stracci in cui già cercavi
il giro perfetto del cross
l’inclinatura magica della caviglia
enigma impenetrabile
come la tua negazione del gol
il fermo desiderio di non aggiungere
altra tristezza negli occhi dei portieri.
Non esultavi mai Laszlo
il gol era fine di un racconto
definizione di una regola
per un atto anarchico
come il correre
il calciare con estro
mentre il corso degli anni
iscriveva il senso del dovere
nelle parole e le dita dei tuoi piedi.
Oggi segni come gli altri Laszlo
canti i tuoi gol ad una curva immaginaria
ma sai ancora tornare col pensiero
a quegli attimi luminosi interminabili
come ad un verso mai dimenticato
che attraversa il tempo incide i giorni
malgrado tutto sia abitudine
e nessuno sappia più dare valore
all’inutilità di un cross.
Da Linea di fondo, raccolta di prossima pubblicazione presso le Edizioni Il Labirinto
venerdì 12 settembre 2014
Osip Mandel’štam
MI LAVAVO ALL’APERTO CH’ERA NOTTE
Mi lavavo all’aperto ch’era notte.
Di grezze stelle ardeva il firmamento.
Il loro raggio è sale a fior d’ascia. La botte
colma, orli arsi, ghiaccia e si rapprende.
La porta del cortile è ben sprangata;
dura è la terra, secondo coscienza.
Rintraccerai a stento più puro ordito della
verità d’una tela di bucato.
Si disfa come sale, nella botte, una stella;
più buia è l’acqua gelida, più pura
la morte, più salata la sventura,
ed è più onesta e paurosa la terra.
1921
Traduzione di Remo Faccani
da Cinquanta poesie, Einaudi, 1998
Mi lavavo all’aperto ch’era notte.
Di grezze stelle ardeva il firmamento.
Il loro raggio è sale a fior d’ascia. La botte
colma, orli arsi, ghiaccia e si rapprende.
La porta del cortile è ben sprangata;
dura è la terra, secondo coscienza.
Rintraccerai a stento più puro ordito della
verità d’una tela di bucato.
Si disfa come sale, nella botte, una stella;
più buia è l’acqua gelida, più pura
la morte, più salata la sventura,
ed è più onesta e paurosa la terra.
1921
Traduzione di Remo Faccani
da Cinquanta poesie, Einaudi, 1998
mercoledì 10 settembre 2014
Georg Trakl
ROMANZA NOTTURNA
Il solitario sotto al firmamento
imbocca a notte silenziose strade.
Si desta il bimbo da sogni sgomento,
grigio alla luna il viso suo decade.
Sciolti i capelli, lacrima la pazza
alla finestra dietro l’inferriata.
Passa sul lago in dolce traversata
col caro innamorato la ragazza.
Nel vino l’omicida smorfie annega,
l’infermo della morte prova orrore.
La monaca ferita e nuda prega
davanti al suo piagato Redentore.
La madre canta nel sonno leggero.
Fissa la notte, in pace, il bimbo bello
con quel suo sguardo in tutto veritiero.
Grasse rosate scoppian nel bordello.
Nella cantina il morto a lume fioco
sul muro con la bianca mano traccia
il ghignante silenzio d’una faccia.
Il dormente bisbiglia ancora un poco.
Traduzione di Ervino Pocar
da Poesie, BUR, 1990
Il solitario sotto al firmamento
imbocca a notte silenziose strade.
Si desta il bimbo da sogni sgomento,
grigio alla luna il viso suo decade.
Sciolti i capelli, lacrima la pazza
alla finestra dietro l’inferriata.
Passa sul lago in dolce traversata
col caro innamorato la ragazza.
Nel vino l’omicida smorfie annega,
l’infermo della morte prova orrore.
La monaca ferita e nuda prega
davanti al suo piagato Redentore.
La madre canta nel sonno leggero.
Fissa la notte, in pace, il bimbo bello
con quel suo sguardo in tutto veritiero.
Grasse rosate scoppian nel bordello.
Nella cantina il morto a lume fioco
sul muro con la bianca mano traccia
il ghignante silenzio d’una faccia.
Il dormente bisbiglia ancora un poco.
Traduzione di Ervino Pocar
da Poesie, BUR, 1990
lunedì 8 settembre 2014
Henri-Pierre Roché
(GIORNALE RURALE)
Dopo un lungo periodo di bello stabile sopraggiunse un periodo con temporali. Il perché è ignoto. Si hanno ancora negli occhi le belle giornate – eppure il mese è sciupato, la stagione è sciupata, forse l’intera annata è sciupata.
Traduzione di Mariagloria Sears
da Jules e Jim, Oscar Mondadori, 1965
venerdì 5 settembre 2014
Vittorio Bodini
AUTUNNO, PESCATORE D’ARAGOSTE
Autunno, pescatore d’aragoste, ex pirata,
la cui stanchezza dà epidermidi umane
alle maniglie dei tram,
guarda con occhi d’anice la pianura industriale
fra i bulloni schiodati e i ceri del primo amore.
Sforbicia l’ultima rondine
manoscritti di nuvole che narrano
il primo viaggio intorno al mondo, lo scoppio
delle castagne, i cinque uomini d’equipaggio
che scesi a terra vollero restare
coi selvaggi. Fummo offesi
da quella preferenza; ci può esser di meglio
di questa nostra civiltà?
Andate più avanti: troverete
forse un altro eremita più vecchio di me.
Tagliategli con forbici e forbicine
le lunghissime ciglia.
Lui potrà dirvi come tamponare
lo sgocciolio suicida di questo paesaggio.
Autunno con la punta del coltello
spargeva con ogni cura un sale umido
sulla cicoria cruda.
E il lungofiume, l’odore della nafta bruciata,
le vergini del Sud che annaffiano ogni sera
d’ignoti amanti teste decollate
che fioriscono in vasi di basilico.
Da Tutte le poesie, Besa, 2010
Autunno, pescatore d’aragoste, ex pirata,
la cui stanchezza dà epidermidi umane
alle maniglie dei tram,
guarda con occhi d’anice la pianura industriale
fra i bulloni schiodati e i ceri del primo amore.
Sforbicia l’ultima rondine
manoscritti di nuvole che narrano
il primo viaggio intorno al mondo, lo scoppio
delle castagne, i cinque uomini d’equipaggio
che scesi a terra vollero restare
coi selvaggi. Fummo offesi
da quella preferenza; ci può esser di meglio
di questa nostra civiltà?
Andate più avanti: troverete
forse un altro eremita più vecchio di me.
Tagliategli con forbici e forbicine
le lunghissime ciglia.
Lui potrà dirvi come tamponare
lo sgocciolio suicida di questo paesaggio.
Autunno con la punta del coltello
spargeva con ogni cura un sale umido
sulla cicoria cruda.
E il lungofiume, l’odore della nafta bruciata,
le vergini del Sud che annaffiano ogni sera
d’ignoti amanti teste decollate
che fioriscono in vasi di basilico.
Da Tutte le poesie, Besa, 2010
mercoledì 3 settembre 2014
Nicola Dal Falco
SU UNA MOSTRA DI STAMPE GIAPPONESI
stringe l’occhio una visione
a mandorla, né tonda, né quadrata,
quel divenire senza realismo,
che fissa la propria fuga
attraverso il tempo;
ciò che si dipinge è il dopo,
lo vedi dal taglio che amministra
non la prospettiva, ma la sintesi
e alla scena dà un tremore
di slavina;
così la tigre, schiena che s’inarca,
o l’onda che sale, sale nella vertigine
del monte in modo che tutto sia
movimento, impatto e direzione
dove posare l’attimo preciso
e vano di uno sguardo
(inedito)
stringe l’occhio una visione
a mandorla, né tonda, né quadrata,
quel divenire senza realismo,
che fissa la propria fuga
attraverso il tempo;
ciò che si dipinge è il dopo,
lo vedi dal taglio che amministra
non la prospettiva, ma la sintesi
e alla scena dà un tremore
di slavina;
così la tigre, schiena che s’inarca,
o l’onda che sale, sale nella vertigine
del monte in modo che tutto sia
movimento, impatto e direzione
dove posare l’attimo preciso
e vano di uno sguardo
(inedito)
lunedì 1 settembre 2014
Nicola Bultrini
STO VIVENDO PER INDUZIONE
Sto vivendo per induzione
vedi come ti penso e scrivo.
Mi chino sull’immagine di te più cara
e ti innamoro come aurora di novembre.
Il poema della donna invece è tutto
con la sua esistenza, liquida, la notte
fino all’alba, quando il corpo
assume un peso grave
dove nasce il dolore del mondo
dove si sogna e si nutre sognando quel poco
di destino che abbiamo meritato.
Da La specie dominante, Nino Aragno Editore, 2014
Sto vivendo per induzione
vedi come ti penso e scrivo.
Mi chino sull’immagine di te più cara
e ti innamoro come aurora di novembre.
Il poema della donna invece è tutto
con la sua esistenza, liquida, la notte
fino all’alba, quando il corpo
assume un peso grave
dove nasce il dolore del mondo
dove si sogna e si nutre sognando quel poco
di destino che abbiamo meritato.
Da La specie dominante, Nino Aragno Editore, 2014
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