3 - Michelangelo
Buonarroti
*
Te sola del mio
mal contenta veggio
né d’altro ti
richieggio amarti tanto;
non è la pace tua
senza il mio pianto,
e la mia morte a
te non è il mio peggio.
Che s’io colmo e
pareggio
il cor di doglia
alla tua voglia altera
per fuggir questa
vita,
qual dispietata
aita
m’ancide e strazia
e non vuol più ch’io pera?
Perché ’l morire è
corto
a’ ’l lungo andar
di tua crudeltà fera,
ma chi patisce a
torto,
non men pietà che
gran iustizia spera.
Così l’alma
sincera
serve e sopporta
e, quando che sia poi,
spera non quel che
puoi:
che ’l premio del
martir non è fra noi.
*
Quantunque ’l
tempo ne costringa e sproni
ogni or con
maggior guerra
a rendere alla
terra
le membra
afflitt’e stanche e pellegrine,
non à però ’ncor
fine
chi l’alma
attrista e me fa così lieto.
Né par che men’
perdoni
a chi ’l cor
m’apre e serra
nell’ore più
vicine
e più dubbiose
d’altro viver quieto;
che l’error
consueto,
com’ più
m’attempo, ogni or più si fa forte.
O dura mia più
c’altra crudel sorte!
Tardi oramai può
tormi tanti affanni:
c’un cor che arde
e arso è già molt’anni,
torna, se ben
l’ammorza la ragione,
non più già cor,
ma cenere e carbone.
*
Mentre c’al tempo
la mia vita fugge,
amor più mi
distrugge
né mi perdona
un’ora,
com’i’ credetti
già dopo molt’anni.
L’alma, che trema
e rugge,
com’uom c’a torto
mora,
di me si duol de’
sua eterni danni.
Fra ’il timore e
gl’inganni
d’amor e morte
allor tal dubbio sento,
ch’i’ cerco in un
momento
del me’ di loro e
di poi il peggio piglio;
sì dal mal’uso è
vinto il buon consiglio.
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