mercoledì 31 ottobre 2012

Mario Quesada


PER LUNGHE ORE HO GUARDATO GLI OGGETTI


Per lunghe ore ho guardato gli oggetti
della tua stanza
tra i quali non c’era posto per i
miei biglietti d’amore.
Così – mentre i tuoi occhi carezzavano lieti
le fotografie di qualche anno prima,
quei dischi tante volte ascoltati,
tutto ciò cui ero illegittimo – io sentivo
di appartenere al vento che fuori dalle imposte
frantumava il cespuglio dei fiori
ed invocavo il suo algido furore per travolgere
dall’interno la tua eletta beatitudine.
Poi, come una mano che si oppone al pericolo,
prendendomi accanto hai ripetuto, ripensandolo,
un verso che ti avevo regalato.


Da Poesia verso..., CCRS BNL, 1982

lunedì 29 ottobre 2012

Xavier Seoane


TESTAMENTO

Che cosa lascerai?
                                    Occhi
di pioggia e cenere, ciechi
dal tanto guardar la luce e afferrare la sera
nella nostalgia delle nubi sui fili dell’aria.

Che cosa lascerai?
Un pugno
di inutili parole
che dormono la cecità di un sogno millenario
su un foglio che il tarlo rode
nella remota umidità di un solaio.

Che cosa lascerai?
                                   L’ombra dei tuoi occhi
che inseguono chimere
nella ferita degli ultimi crepuscoli spezzati.


Traduzione di Emilio Coco

Da Poeti spagnoli contemporanei, Edizioni dell’Orso, 2008

venerdì 26 ottobre 2012

Emily Dickinson


C’È UN CERTO TAGLIO DI LUCE

C’è un certo taglio di luce,
i pomeriggi invernali – 
che opprime, come la gravità
di armonie da cattedrale – 

ferita celestiale, ci procura – 
non troviamo cicatrice,
ma una differenza interna,
dove stanno i significati – 

nessuno può insegnarlo – ad altri – 
è il marchio Disperazione – 
un’afflizione imperiale
mandataci dall’aria – 

quando viene, il paesaggio ascolta – 
ombre – trattengono il respiro – 
quando va, è come la distanza
sui lineamenti della morte – 

Traduzione di Silvia Bre

Da Centoquattro poesie, Einaudi, 2011

mercoledì 24 ottobre 2012

Italo Benedetti


LA BOTOLA

Che tu ci venga o no, poco importa.
La botola è ampia
il cerchio d’acciaio non mi terrà
sospeso tra il buio e la luce
dei due emisferi.

Scenderò da solo: avrò
prima i brividi toccando col pollice
polpose granfie e viscide pareti
poi tremerò al soffio delle correnti.

Ogni botola sigilla un cupo Maelstrom.

Ma bisogna agire, aprire, scendere.

Non necessariamente soli.
Ma quasi sempre soli.

Da I giorni d’oro, Remo Croce Editore, 1984

lunedì 22 ottobre 2012

Ezra Pound


LO ZINGARO

Fu in cima alla strada che disse:
« Ne avete visti altri dei nostri
Con scimmie o orsi? »
                   Un tipo bruno, dritto,
Non come i meticci,
                    Sulla strada bagnata presso Clermont.
Il vento venne, e la pioggia,
E la nebbia s’ispessì sugli alberi della valle,
E io avevo dietro le lunghe strade,
                    La grigia Arles e Beaucaire,
E lui disse: « Ne avete visti altri, dei nostri? »
Ne avevo visti tanti dei suoi
                    Sin da Rhodez,
Che scendevano dalla fiera
                    Di San Giovanni,
Con carrozzoni, ma neppure un orso o una scimmia.

Traduzione di Attilio Bertolucci

Da Attilio Bertolucci, Imitazioni, Libri Scheiwiller, 1994


venerdì 19 ottobre 2012

Alfredo Rienzi


LA QUESTIONE DEL NIBBIO

Resta incerta la questione del nibbio
quando immobile nell’aria governa le brezze che scorrono tra le piume
con ali distese che non mostrano né spasmo né dolore
e si fa simbolo: croce imperfetta ed anello dell’immanente morte.

Si dice che il rapace fermo in cielo
assuma  posa come di  spirito santo nelle icone pentecostali
sul capo del Cristo del Verrocchio mentre il Battista innesca il suo destino.
 
Il dilemma è proprio in questo offrirsi  paradosso del predatore in veste
di bianca e santissima colomba o, all’inverso, nell’atteggiarsi
ardito, inebriato e forse commosso
della palomba  (condannata a un volo battuto ed insistente,
miracolata per divina scelta e per un simbolismo di maniera),
nella suprema posa del falcone.

Ma spesso i ruoli cambiano
con le occasioni e tra vittima e preda si stringono alleanze insospettabili:
un vicendevole amore dilata l’ostia esigua del dare per avere:
io le ho viste bene, arvicole e lepri, squittire e porgersi in luce incidente,
chiamare l’angolo giusto alla vista del rapace, scegliersi il carnefice,
farsi dono esiziale,
nell’attimo estremo amarne l’artiglio
e, non trascurabile fattore per le creature di terra,
desiderarne il volo.

Da Custodi ed invasori, Mimesis-Hebenon, Milano, 2005
 

mercoledì 17 ottobre 2012

Walter Savage Landor


AUTUNNO

Mite è l’anno che se ne va e dolce
L’odore della pioggia che cade,
Quanto più duro della vita è il corso
E desolato il suo ultimo giorno.

Attendo la sua fine ed il suo buio
Eppure mi tormenta che mai, mai,
Né sul mio petto né sulla mia tomba
Cada quel pianto che tutto consola.


Traduzione di Attilio Bertolucci

Da Attilio Bertolucci, Imitazioni, Libri Scheiwiller, 1994

lunedì 15 ottobre 2012

Giorgio Bàrberi Squarotti



LA VERITÀ DELLA VITA

Fu sempre certo di aver avuto molto
da Dio perché ebbe te i due figli qualche ansia e affanni
sopportabili, cioè la verità che forse salva,
anche se non consola.

Desenzano, 4 giugno 1981


da Visioni e altro, Piovan Editore, 1983

venerdì 12 ottobre 2012

Alberto Bellocchio


RITTO SULLA TRIBUNA, TIBERIO ERA IRRESISTIBILE

Ritto sulla tribuna, Tiberio era irresistibile.
“Le bestie feroci – diceva – hanno almeno una tana
un rifugio, mentre il legionario combatte e muore
avendo solo l’aria e la luce; senza casa vanno errando
e senza dimora, con le mogli ed i figli, e nessuno
di questi romani possiede un altare o un luogo di culto
degli antenati; essi combattono e muoiono
per la ricchezza degli altri. Si dice che siano
i padroni del mondo, ma di proprio non possiedono
neppure una zolla”.
                                      Occorreva dunque distribuire
le terre ai cittadini indigenti. Ma gli aristocratici
guidavano le mosse dell’altro tribuno
che oppose il veto alla legge di Gracco.
Tiberio chiese al popolo di revocare il mandato
ad Ottavio; secondo i più, un sacrilegio.
Ordinò ad un liberto di tirar giù
Ottavio dalla tribuna, uno spettacolo
ben miserando. Tiberio per evitare lo sbandamento
convocò il popolo e così parlò: “Il tribuno
è consacrato al popolo, è dunque sacro.
Se dunque, cambiando parere, danneggia il popolo
e gli impedisce di esprimere il voto, allora
la carica è lui che l’ha rinunciata in quanto
la usa in modo diverso da come l’ottenne.
Cacciarono Tarquinio i cittadini per i suoi
delitti, e misero fine alla regalità,
carica che assommava ogni potere ed era sacra.
E perfino le vergini custodi del fuoco
perdono l’inviolabilità se sono empie verso gli dèi.
Non può ritenere dunque un tribuno che indebolisca
la forza del popolo di mantenere il potere
che il popolo stesso gli ha conferito”.

Questo asseriva Tiberio, ma gli amici più accorti
avvertivano crescere attorno minacce e violenza.

Da Sirena operaia, il Saggiatore, 2000

mercoledì 10 ottobre 2012

Malcolm Lowry


VIGIL FORGET

Per dieci miglia Vigil Forget viaggiò in camion
e poi per mille e più su una nave tremante
in ogni giunto: nessun camaleonte fu più rapido
a mutar di colore di quanto Vigil fece mutando
se stesso. Lo sfacelo così s’alleggeriva. 
In un “risciò” una volta, si scoprì più forte
del suo tormentatore, di se stesso... Essere nuovi!
Vigil si spinse in sampan verso spiagge lontane,
sopra un cammello irato, nella Samarcanda di Stalin.
Poi verso casa, su una squallida nave, le sue povere vite
ritornate lui stesso, verso il traghetto, e la sua corpivendola.
– Anche Colombo ebbe l’idea che Cuba fosse sul continente...

Traduzione di Francesco Vizioli

da L’urlo del mare e il buio, Guanda Editore, 1972


lunedì 8 ottobre 2012

Domenico Vuoto


LETTERA 
                                 
Con comprensibile ritardo vi informo che dalla mia 
morte sono trascorsi due lustri. Cessate di spedirmi
inviti per soirée musicali vernissage depliant di viaggi
o richieste in danaro per un’opera pia – una chiesa              
una scuola l’ospedale in terra africana. 
  
Si accorda ai tempi la vostra memoria, somiglia a una 
burocratica riesumazione, all’opera di un distratto
becchino - è smemorata.
Coglierei l’occasione per  confessarvi che non merita 
un così ostinato ricordo la mia vita: la percuotevano 
l’affanno il disincanto le sterili rivolte gli amori in sudori   
e sentori consumati. 
Non ero dunque già morto prima di morire? 
Perciò rendetemi il silenzio che mi spetta,
definitivo - la facoltà di essere morto per sempre. 

(inedita)

venerdì 5 ottobre 2012

John Keats


ALL'AUTUNNO


I
Stagione di nebbie e di fertile abbondanza,
amica prediletta del sole che tutto matura,
con il quale cospiri per colmare e benedire
di grappoli i tralci allacciati ai tetti di canne
e curvare col peso delle mele gli alberi di casa,
per riempire di polpa matura ogni frutto
e gonfiare la zucca e i gusci delle nocchie
di teneri noccioli, e fiori, altri fiori tardivi
far fiorire per le api, illudendole che i giorni
di caldo non avranno più fine, che l’estate
fino all’orlo ha riempito le celle viscose.

II
Chi non t’ha vista immersa nell’opulenza?
Chi ti cerca all’aperto a volte può trovarti 
seduta distratta in un’aia, coi morbidi capelli 
al vento che li vaglia; o immersa nel sonno,
stordita dai vapori che esalano i papaveri, 
in un solco mietuto a metà: il falcetto risparmia 
altre spighe ed i fiori con esse intrecciati; 
o mentre attraversi un torrente, rigido il capo
gravato dal peso, come una spigolatrice,
o che, con sguardo paziente, sorvegli per ore
stillare dal torchio del sidro le ultime gocce.

III
E dove, dove sono i canti della primavera?
Oh, ma non curartene, hai musica anche tu.
Mentre nubi striate fioriscono il giorno che muore 
dolcemente tingendo di rosa le stoppie 
di pianura, tra i salici del fiume i moscerini,
sollevati o lasciati cadere dal vento leggero 
quando alita o muore, s’affliggono in funebri 
lamenti, gli agnelli già adulti belano con forza 
dai colli intorno, cantano i grilli dalla siepe, 
dal recinto di un orto fischia con soavi accenti 
il pettirosso, e garrule in cielo s’adunano le rondini.

Traduzione di Francesco Dalessandro

Da Sull'indolenza e altre odi, Il Labirinto, 2010 

mercoledì 3 ottobre 2012

Francesco Dalessandro


LE NUVOLE E ALTRE OSSERVAZIONI

L’approdo

All’azzurro mitissimo, al
vago volo che v’appare e vi
sosta ammaliato, al vento
che lievissimo spira,
al caso che solo
avvenne, al dopo che
non c’è
né ci sarà



L’erba

Perché tenerissima inclina
verdeviva gli steli dal-
l’aiuola ai vetri poi
che fa notte o gela,
la riscopri rinata
per miracolo all’ansia
mattutina.


Le nuvole

Intanto che la sera
pianissimo e i rumori
della festa e le luci e
l’angustia per un ritardo
d’amore smorivano, da più
lievi brezze sospinte
sul campanile e le sette
……. tra stupore
e meraviglia con
movenze eleganti e
pigrissime giunsero
le nuvole.


La rondine

Una rondine nuova-
mente si slancia, plana con
perfettissimo volo dalla punta
della memoria in un 
filo di vento verso
la deriva serale, bianconero
lampo in una sortita di sereno,
solidale per amore
con gronda e stagione
con l’orizzonte che la chiama
al volo.


I fuochi

Dove la luna tra
i frassini la riva
bianca rispecchia e la
quiete del lago, i fuochi
bassi d’autunno già
accendono.


Sera

Un mite azzurro
adesca voli, la
quaglia e il cuculo
duettano nella
sera che intanto
a passettini
viene.


Da La salvezza, Il Labirinto, 2006

lunedì 1 ottobre 2012

Ernest Hemingway


IMMOBILE NEL LETTO... 

[...]

Immobile nel letto egli si sentì sul volto le labbra della donna che lo cercava, e quindi la sua mano su di sé e le si fece contro.
«Vuoi?»
«Sì. Ora.»
«Dormivo. Ti rammenti quando facevamo all’amore nel sonno?»
«Senti, non ti fa senso il mio braccio? Non ti sembra buffo?»
«Che sciocco! Mi piace. Tutto quello che sei tu mi piace. Mettilo così. Appoggialo qua. Avanti. Mi piace, mi piace proprio.»
«È come la zampa di una tartaruga.»
«Ma tu non sei una tartaruga. È vero che quando fanno all’amore lo fanno per tre giorni di fila?»
«Sì, senti, sta’ calma. Sveglierai le ragazze.»
«Non sanno che cosa possiedo io. Non sapranno mai quello che possiedo io. Ah, Harry. Ecco, così. Ah, tesoro caro.»
«Aspetta.»
«Non voglio aspettare affatto. Avanti. Ecco, così. Ecco, là. Senti, sei mai stato a letto con una ragazza negra?»
«Certo.»
«E che impressione ti fa?»
«D’accarezzare un pescespada.»
«Che ridicolo! Harry, vorrei tanto che tu non dovessi partire. Che tu non dovessi mai partire. Con chi hai goduto di più?»
«Con te.»
«Bugiardo. Sei sempre bugiardo tu con me. Ecco, così, così. Così. Così.»
«No. Tu sei la meglio.»
«Sono vecchia.»
«Tu non sarai mai vecchia.»
«Ho avuto quella cosa.»
«Non ha nessuna importanza quando una donna è proprio donna.»
«Spingi. Spingi ora. Metti là il moncherino. Tienilo là. Tienilo, ora. Tienilo.»
«Stiamo facendo troppo rumore.»
«Parliamo sottovoce.»
«Devo esser fuori di casa prima dell’alba.»
«Dormi. Ti sveglierò io. Quando ritornerai ci divertiremo. Andremo in un albergo di Miami come facevamo una volta. Proprio come facevamo una volta. In un posto dove non ci abbiano mai visto. Perché non andremo a New Orleans?»
«Forse» disse Harry. «Senti, Marie, bisogna che dorma, ora.»
«Dormi. Tu sei il mio grande tesoro. Su, dormi. Ti sveglierò io. Non ti preoccupare.»
Egli si addormentò col moncherino del suo braccio abbandonato sul guanciale ed ella restò coricata lungamente a guardarlo. Gli vedeva il volto alla luce del lampione dalla finestra. “Sono fortunata”, pensava. “Quelle ragazze, non sanno che cosa avranno. Io so quello che ho e quello che ho avuto. Sono stata una donna fortunata. E lui che si crede una tartaruga. Meglio che sia stato un braccio anzi che una gamba. Non mi piacerebbe senza una gamba. Ma perché doveva perdere quel braccio? Eppure è strano, non ci faccio caso. Tutto di lui mi piace. Sono stata una donna fortunata. Non c’è un altro uomo così. Chi non li ha provati uomini simili non può sapere. Io ne ho avuti parecchi. Sono stata fortunata ad avere lui. Credi che quelle tartarughe provino quello che proviamo noi? Credi che possano godere così per tre giorni? O pensi che la femmina ne soffra? Che razza di cose mi passano per la testa. Guardalo, che dorme come un bambino. Sarà meglio ch’io resti sveglia per chiamarlo. Cristo potrei fare all’amore tutta la notte, se ci fosse un uomo tanto resistente. Mi piacerebbe fare all’amore senza mai dormire. Mai, mai, no, mai. Mai, mai, mai. Ma guarda un po’, alla mia età. Eppure non sono vecchia. Ha detto che sono ancora buona. Quarantacinque anni non è esser vecchia. Ne ho due più di lui. Guardalo mentre dorme. Guardalo, sembra proprio un bambino”. 

[...]

da Avere e non avere, cap. XII, Oscar Mondadori, 1970 


Questa non è una poesia, nella forma, è chiaro; ma, come scrisse Emilio Cecchi nell’ottobre 1945, recensendo la prima edizione italiana del libro, a proposito di questo brano, “se cotesta non è grande poesia, vorrei sapere chi oggi abbia saputo scriverne”.