lunedì 31 dicembre 2012

Percy Bysshe Shelley


LAMENTO


I

O mondo, o vita, o tempo!
sui cui ultimi gradini
salgo tremando per quelli lasciati;
quando tornerà la vostra piena gloria?
Non più – oh no, mai più!


II

Da ogni giorno e ogni notte
una gioia ha preso il volo;
e primavera estate bianco inverno
danno pena al cuore infermo ma la gioia
non più – oh no, mai più!


Traduzione di Gianfranco Palmery

Da Alla notte e altre poesie, Il Labirinto, 2002

venerdì 28 dicembre 2012

Ledo Ivo


Ledo Ivo, il grande poeta brasiliano, è mancato all'età di 88 anni, a causa di un infarto, l'antivigilia di Natale, a Siviglia, dove si trovava per le festività natalizie. Questa sua bella poesia, serva a ricordarlo e a incuriosire chi non conosce la sua opera.


BRUCIA

Brucia tutto ciò che puoi:
le lettere d'amore
le bollette telefoniche
la lista dei vestiti sporchi
le scritture e i certificati
le confidenze di colleghi risentiti
la confessione interrotta
il poema erotico che ratifica l'impotenza e annunzia l'arteriosclerosi
i ritagli antichi e le fotografie ingiallite.
Non lasciare agli eredi famelici
nessun ricordo di carta.

Sii come i lupi: vivi in una caverna
e mostra alla canaglia delle strade soltanto i denti affilati.
Vivi e muori chiuso come una chiocciola.
Di’ sempre di no alla scoria elettronica.

Distruggi le poesie interrotte, i bozzetti, le varianti e i frammenti
che provocano l'orgasmo tardivo dei filologi e glossatori.
Non lasciare ai raccogliori della spazzatura letteraria nessuna briciola.
Non confidare a nessuno il tuo segreto.
La verità non può essere detta.


Traduzione di Carlo Bordini

mercoledì 26 dicembre 2012

Kenneth Rexroth


UNA SPADA IN UNA NUBE DI LUCE

La tua mano nella mia, usciamo
a vedere la folla della Vigilia
su Fillmore Street, nel quartiere
Negro. La notte è oppressa 
dal gelo. La gente si affretta, 
avvolta nel fumo del proprio fiato.
Davanti alle vetrine i bambini
saltellano con occhi brillanti.
Scampanellio di Babbi Natale.
Ingorghi d’auto e strombazzare
di clacson. Stridore di tram.
Gli altoparlanti sui lampioni
suonano canti natalizi; dai juke-
box dei bar Louis Armstrong 
canta Bianco Natale. Nei locali
le ragazze s’agitano strofinandosi 
e spogliandosi al suono di 
Jingle Bells. In alto, i neon 
scarabocchiano, scancellano,
scarabocchiano ancora messaggi 
di gioia, igiene, avidità, paura,  
e fieri nomi piccolo-borghesi.
La luna splende come un budino.
Fermi all’angolo della strada
guardiamo in su, di traverso,
la luna che s’alza, le enormi
regolari, solenni costellazioni 
invernali. Tu dici: «Ecco Orione!».
La cosa più bella che ognuno 
di noi potrà mai vedere al mondo 
o in vita si trova nel vuoto 
di cieli illuminati dalla luna,
sopra uomini, donne, bambini, 
bianchi e neri, avidi e allegri, 
buoni e cattivi, acquirenti 
e venditori, vittime e padroni, 
che sciamano, come qualche 
immenso teorema che una volta 
risolto sarebbe per sempre 
la soluzione del mistero e della pena, 
sotto campanelli e lustrini. 
Là c’è lui, l’uomo della Vigilia 
di Natale, disteso in cielo 
come un vero dio nel quale 
basterebbe solo credere appena.
Ho cinquant’anni e tu cinque: 
non converrebbe dirlo, 
come non conviene scriverlo. 
Credi in Orione. Credi 
nella notte, nella luna, nella 
terra affollata. Credi nel Natale, 
nei compleanni, nei conigli 
di Pasqua. Credi nei fugaci 
elementi naturali, destinati 
tutti quanti a degradarsi 
e sparire. Sii sempre fedele 
a queste cose: sono tutto 
ciò che abbiamo. Non rinunciare 
mai a questa religione primitiva 
per le civilizzate e insanguinate 
astrazioni di quei bastardi 
che vivono uccidendo te e me.

Traduzione di Francesco Dalessandro 

Da The complete poems of Kenneth Rexroth, edited by Sam Hamill & Bradford Morrow, Copper Canyon Press, 2003 

lunedì 24 dicembre 2012

Giovanna Sicari


VIGILIA DI NATALE

Sono nella frenesia
della strada che pare insensata
il dolore dei tanti mi giunge
come un passo attutito
è tanto e dolce, è di pietra
questo loro terrore, si accostano
e chiamano, è in bilico la mente
chi dirà santo questo percorso
chi laverà le nostre prediche
di sangue, chi capirà l’oltraggio
la scomparsa, la salvezza,
Dio, da’ gambe più forti
a quanti sono all’erta in questa notte.

Da Sigillo, Crocetti, 1989

venerdì 21 dicembre 2012

Gianfranco Palmery


TUTTO UN INVERNO NERO, DOLOROSO

Tutto un inverno nero, doloroso,
da passare così, all'oscuro, il cuore
assediato dai ricordi, corroso
il corpo da rodenti malanni:
gelo e tenebre e a orchestrare, il rimpianto:
sarà un inverno di fami, d'affanni
da passare così, solo aspettando
che passi: un tempo senza tempo - come
fosse già cominciato il freddo bando
dei morti, perduto il corpo e il nome.

Da Medusa, Il Labirinto, 2001

mercoledì 19 dicembre 2012

Giancarlo Pontiggia


PAESI D’ACQUA; TERRE

Paesi d’acqua; terre
fumiganti in una
polvere di secoli; pietre,
su cui l’ombra sprofonda, lenta, avara;
porte, che il cielo affaticò
e ora, scaglia dopo scaglia, sbriciola:
solo il tedio – triste, trionfante
verme – resta 
accanto alle nostre anime, scordate.
E intanto le inette, le rumoreggianti
ore precipitano, all’improvviso, colano
in uno sfondato otre, e la dimenticanza
le possiede: niente rammentiamo
di più che una scialba sagoma,
un cielo di cartone. Eppure
dopo i giorni di fango, dopo le albe
crude, d’un colpo una memoria
sovviene, e scorrono
tra le alghe del sangue, più forti,
i vermigli tremori, acquazzoni
di una festante vita, che risorge,
intatta, e strugge, come lo scricchio
del gelo che si scioglie, o come
il chiuso bocciolo della gemma, sul quale
la stagione incide il suo
imperioso sigillo. Addio, foschi giorni
spazzati da un’insana acrimonia, e voi,
acque del tempo che sanguina, e s’impaluda.
Torna a battere, cuore, disserra
le dure palpebre, offri
un canto non di guado
a questa piagante scorza: sii
la chiglia che si mosse
per prima verso la fatata Colchide, e la sua
stupita ombra, dipinta tra le selve
del mare. Così la forte tolda
dei pensieri – gli audaci, i giovani – 
s’imporpora alla nuova

stagione che viene.

Da Bosco del tempo, Guanda, 2005

lunedì 17 dicembre 2012

Italo Benedetti


I GIORNI D’ORO

Oh il ricordo di quei giorni d’oro
il sole che saliva sulle vette del mondo
io che scendevo gli oscuri itinerari,
la luce che filtrava nel verde
spumando nelle vene della gioventù
che acqua di cristallo sprizzava nei pensieri!
Il sapersi fugace nell’eternità
eppure beato della giovinezza,
conoscere i mattini prima delle albe
e la notte regina dei sospiri.
Piangere era la gioia di possedersi
in un dolore che fu allegria del dramma:
la prima prova dell’eroe solare.

(1982)


Da I giorni d’oro, Remo Croce Editore, 1984

venerdì 14 dicembre 2012

Xavier Seoane


SERAFÍN AVENDAÑO SOGNA LE SUE DUE PATRIE

Di’ alla colomba che passa
e alla nave che parte
che mai tornerò in patria.

La vecchia casa
aspetta invano.

Là stanno le navi,
le isole misteriose
le cale solitarie
che mai tornerò a contemplare.

Quelle onde che baciava l’aria
la segreta dolcezza degli avvampamenti...

Nei porti dell’Ausonia
anelo i promontori e le baie
dell’Atlantico felice della mia infanzia.
Lontano dall’Italia, sogno
i palazzi di marmo di Genova,
la casa solatia
di Quinto al Mare,
gli amici perduti e le aurore passate.

Di’ alla colomba che passa
e alla nave che parte
che non ritornerò mai in patria.



Traduzione di Emilio Coco

Da Poeti spagnoli contemporanei, Edizioni dell’Orso, 2008


mercoledì 12 dicembre 2012

Elio Pecora


IO MI SARÒ FEDELE

Io mi sarò fedele,
fedele a questo corpo e alle voglie salde dell’anima,
fedele a un amore difettoso che il mattino
mi lascia.
Fedele a queste stagioni che si ripetono,
a questi volti che si cancellano,
al mio tempo difficile.
Io vado un gradino al giorno per la scala senza fine.
Verso la pazienza e l’attesa, ma verso il presente.
Non ho speranze, non sogno.
Io sono qui e impasto calce e il muro mi cresce
sotto le mani. Senza frantumare.
E il paradiso?
Il tramite all’assoluto, forse l’arte,
realizzata fuori di sé, in febbre di perfezione.
Forse una promessa.

Da La chiave di vetro, Cappelli Editore, 1970

lunedì 10 dicembre 2012

Walter Savage Landor


ULTIME FOGLIE

Cadon le foglie, e così è di me
Gli ultimi fiori hanno umidi gli occhi.
Così è di me.
Raro si ode sul ramo ora l’uccello
Gioioso o mesto
Per l’intero bosco.

Ecco l’inverno s’avvicina e porta
Più presso al fuoco il cerchio che si stringe,
Ogni anno di più, dei vecchi amici,
Venga esso, già il cielo s’oscura,
Primavera ed estate non son più
Ogni cosa è soave ora quaggiù.




Traduzione di Attilio Bertolucci

Da Attilio Bertolucci, Imitazioni, Libri Scheiwiller, 1994

venerdì 7 dicembre 2012

Alessandro Peregalli


LAMENTI

MORTE, DOLORE SUPREMO

Nella notte profonda, mentre la pioggia
risuona continua nella strada e io
mi appoggio al davanzale e guardo i muri di fronte
lievi e grigi nella tenue luce del cielo, penso
alla grandezza dell’universo, all’inutilità
della mia vita, di quella di tutti, al giorno in cui
giacerò con le mani giunte, solo,
nella bara fredda che mi terrà prigioniero.
E potessi almeno quel giorno ripensare alle rondini
che volano gridando intorno alle grandi cupole
delle chiese al tramonto e ricordare
lei che si china teneramente sopra di me piangendo, potessi 
                                                                                   /pensare
con tutto l’attaccamento a questo mio cielo, a questa terra
calda dolce e dorata, a questa terra nera
e solitaria, di notte, funebre, potessi pensare alla morte,
ultimo dolore immenso che mi ha colpito
e mi ha obbligato le mani giunte e mi ha staccato da tutto.


INARRESTABILE MORTE

Nell’ombra della sera, quando le stelle
fioriscono di luce indistruttibile in cielo,
la mia anima manda ad esse il suo eterno lamento,
perché sono qui in questa mia vita costretto
al lento approssimarsi della mia ora fatale,
sefiza poter levare gli occhi nell’infinito,
senza potermi unire alla gran madre Terra
da cui mi separano queste pareti inderogabili e grige.
Perché il mio amore, indistruttibile come le stelle,
verso il cielo e la terra s’inaridisce nell’apprendere
nozioni schematiche e assurde che mi rubano i giorni
ad uno ad uno, mentre inflessibile s’avvicina l’ora
e un grido di dolore mi scuote al calar d’ogni sera
quando, attraverso il fulgore notturno, vedo la faccia della morte
che avanza sempre più invincibile dall’orizzonte.
O Dio! Tu non sei più che una lontana speranza
e l’essere con Te nella calda gloria diurna un sogno
che sta tramontando nella rosea spuma del mare.

Da La cronaca. Poema 1939-1982, il Saggiatore, 2003

mercoledì 5 dicembre 2012

Carlo Bordini


AMICO

ho visitato un amico che stava morendo.
mi perdonò di essere vivo. mi sono accorto 
che me n’ero sempre vergognato. lui invece mi spiegò
che non era una colpa. non l’avevo fatto apposta, io.
mi spiegò che essere vivo non era una colpa. non facevo male
a nessuno. ma ci volle lui per spiegarmelo. a lui ho creduto.
mi spiegò che se facevo male non era con intenzione. mi perdonò.
mi consolò. sei simpatico, mi disse, anche se non stai morendo. nella
vita avrai tante cose belle, piacerai alle donne. mi fece far pace
con la vita, come si fa con una fidanzata riottosa.

Da I costruttori di vulcani, Luca Sossella Editore, 2010

lunedì 3 dicembre 2012

William Shakespeare


DOVE SEI, MUSA, CHE HAI DIMENTICATO

Dove sei, Musa, che hai dimenticato
a lungo di parlare di chi ti dà forza?
Consumi il fuoco in canti senza meriti
e ne spegni la fiamma illuminando temi oscuri?
Torna, Musa smemorata, e presto riscatta
con nobili ritmi il tempo stupidamente perso;
canta all’orecchio di chi apprezza i canti,
che alla tua penna dà maestria e soggetto.
Svegliati, Musa pigra, e il dolce volto d’amore
scruta, se il Tempo v’abbia inciso rughe;
se una sola ne trovi, schernisci la rovina 
e rendi i suoi saccheggi ovunque disprezzati.
Prima che lo guasti il Tempo, all’amore da’ fama,
anticipa così la falce, la sua curva lama.


Traduzione di Francesco Dalessandro

da Complete Sonnets and Poems, Oxford University Press, 2002