mercoledì 31 gennaio 2024

Vincenzo Di Maro

 LA ZOLLA E' SODA DI VENTO


La zolla è soda di vento, bassa la rondine,

a letto la vergine dorme.

Profondo è il futuro.

Il letto è un mucchio di stracci.

Nel sonno un uomo serpeggia.

Non esiste bambino.

Il poeta Villon al risveglio

smarrisce un poema sognato.

Non scritto è il futuro.

Si scrivono lettere: questa si scrive.

Controluce in sonno a qualcuno

un uomo cammina e non scorge:

imprevista la rondine macula il vento.

Ignoto è il futuro.

Su un muro di carceri un uomo

incide il poema che Villon non ebbe.

Si desta la vergine. Di terra ha il guanciale.

Un bambino di stracci è il futuro.


(Inedita)

lunedì 29 gennaio 2024

Marco Vitale

 

EPPURE RIPENSANDO A QUELLA LUCE

 

 

Eppure ripensando a quella luce

in questi giorni così netta e insieme

così proba non sembra vero

Tutto pare rimasto

in quelle linee conosciute la porta

come il mattino che si aprì

la prima volta, le voci

intorno al tavolo, il subitaneo

vento


Il profilo dei larici

non ha mutato colore? 


(INEDITA)

 


venerdì 26 gennaio 2024

Francesco Dalessandro

Da una settimana è trascorso il quinto anniversario della “scomparsa” di Juan Ruiz. Questa breve antologia dei suoi versi serva a ricordarlo.

 

ISOLA DEL TEMPO 

(antologia di Juan Ruiz)

                                     su nessun’altra dopo te

                                     bruceranno smarriti i polpastrelli

 

Come amarti                                        

 

Non voglio amarti come una rosa o una pietra

preziosa, come i luoghi dell’infanzia,

le speranze i rimpianti i rimorsi le pene,

le cose perdute, gli ideali della prima giovinezza.

 

Voglio amarti come si amano le piccole abitudini

e gli oggetti d’ogni giorno: la tazzina sbeccata,

il cucchiaino spaiato, la prima sigaretta,

l’accendino che si gira distratti fra le dita,

 

il posacenere pieno, il lavandino sporco,

le chiavi di casa; voglio amarti come si ama

il calore del sole dentro il freddo o un viale

alberato d’estate, come l’acqua, il pane, il sale.

 

 

Le cose                                  

 

La camera da letto che al mattino si sveglia

e svogliata apre gli occhi

e come te sbadiglia, il letto che serba

l’impronta del tuo corpo,

il cuscino che abbracci dormendo

(vedovo del tuo viso, del respiro),

le lenzuola ancora calde,

il rubinetto, l’acqua calda della doccia,

l’accappatoio di spugna, la biancheria

fresca, i vestiti che indossi

per il nuovo giorno, gli strumenti

per il trucco, il saluto, la borsa, la porta

di casa, le chiavi, l’ascensore, le scale.

 

                   

 

Isola nel tempo                                                 

 

1.                                  

 

Fu in un’isola nel tempo, sentendo

la tua vita affidarsi alle mie mani,

e il tuo corpo abbandonarsi al mio;

quando scostai dalla tua fronte

una ciocca di capelli e sorpresi

le dita a meravigliarsi del gesto;

toccando con la fronte la fronte,

respirando il tuo respiro;

sentendo le tue mani cercarmi

e toccare il mio corpo con strana

imperizia; quando i volti

si cercarono e le bocche – oh ma timide

impaurite – si trovarono… fu allora

che ti riconobbi che ti seppi

a dispetto del tempo e di te stessa 

 

2.

 

Che disperata solitudine prima

di baciare il tuo pube di pioggia!

Tepori di fine estate benedirono

l’unione dei nostri fianchi.

Non era né notte né mattino,

ma un’ora di silenzio quando dissetai

la lunga sete ai tuoi seni, ebbe fine

l’errante questua di fianchi e

di braccia, d’inguine e di labbra,

di fiato e di febbre, di tormento

saziato.

 

3.         

            

Quando le dita tracciarono la linea

aguzza dei tuoi fianchi,

e quando, brune tortore tremanti,

le punte dei seni si alzarono in volo

al tocco delle labbra, quando il fuoco

del tuo ventre arse le morte

foglie del pudore, quando l’ansia

fu spasimo, grido muto, sì quando

dal desiderio generasti il piacere

e le labbra si schiusero per dirlo,

quando il fiore del tuo corpo si aprì

fra petali di febbre io ape assetata

mi posi saziandomi lasciandomi morire…

4.                      

 

La mano salì, mentre lo sguardo

ne seguiva il lento volo, fino all’ombra

dei capelli, al silenzio delle labbra,

poi discesa nell’ansia del seno

si aprì lenta la strada per golfi

e pianure, per l’umida palude

dove scese in suo aiuto la lingua

e il desiderio si sciolse in affanno.

Cieca e pronta, ti apristi all’assalto

e al morso, ti piegasti all’oscuro

fuoco nel sangue, fosti ansimo e febbre.

Così t’abbandonasti – né pudore

né ricordo – all’intimo spasimo

che appaga e cancella, esiliandolo, il dolore.

 

 Torno a te                            

 

«Io torno sempre a te

con la disperazione e il desiderio

spesso disorientata

piena di dubbi e rabbia ma ritorno

sempre a te, con la stessa violenza

che da te mi allontana.

 

Come un cane affamato

il cuore ti viene dietro,

latra alle tue calcagna

ringhia perfino perché tu ti volga

ma se lo chiami viene

mansueto a mendicare le carezze».

 

 

Prodigio                             

                          

Tu sei bella e ben fatta, un prodigio

che non avevo meritato

e troppo tardi ho conosciuto.

 

Chi ti avrà dopo di me,

quando non ci sarò più?

Chi ti darà lo stesso fuoco?

Quale uomo

si piegherà sulla tua carne

e il suo patire,

farà libero il tuo corpo?

 

Sarà questo il mio cordoglio

per tutti gli anni

vissuti senza averti avuta,

per tutti i giorni che mi resteranno

dopo averti perduta.

 

 

 

mercoledì 24 gennaio 2024

Vincenzo Di Maro

 VILLON

 

Non reco a questo mondo nessun bene

né bene alcuno mi verrà sottratto.

Saldo con la calura le mie pene

d'inverno, le baratto col nulla.

E poi le stragi, la peste, il tradimento

di autorità e di padri, gli impiccati

che adusti il vento culla, il tristo patto

con ladri di ogni risma. E la fame,

la pica che mi sconcia

più del rimorso. Perché sono

innocente: nel mio occhio

diresti un'attitudine celeste,

nei miei peccati l'agguato prende corso

dell'assoluto. O giovinezza

torbida e disfatta, io sono qui

per compiermi nel guado

che esala da quest'ora e umilia i resti

del mio sguardo nerissimo, dell'ala

marcita nel segreto della terra.


(inedita)

lunedì 22 gennaio 2024

Marco Vitale

 

NON PIÙ LO SAI FARÒ RITORNO


Non più lo sai farò ritorno

su quel sentiero che infittiva

in alta valle

e tra le resine d’un giorno

di promesse non più

quei calici di ambra quel venire

a patti con la vita

che luce a un tratto sul crinale prendeva

meravigliandosene appena

e poi riconoscendo quanto da un punto

a un altro era respiro, ma solo lì

 

dove il silenzio presto sarebbe sceso


(INEDITA)

venerdì 19 gennaio 2024

Massimo Morasso

 IN PRINCIPIO FU LA PAROLA


In principio fu la Parola

e, per sua grazia, i mondi generati:

la realtà.


Ma il tempo passa, e tutto si dimentica.

Le volpi, ormai

s'industriano a zittirla, la parola,

raspano intorno alla memoria dell'origine

per affossarla nel sonno della lingua...


Però restano piccole nei branchi,

patetiche e cialtrone, e non ci riusciranno.

Cantiamo un kyrie anche per loro, Cristo Santo,

per le tribù dei vignaioli illuminati

e poi per noi, per i poeti

che non sanno quel che fanno.


da Frammenti di nobili cose, Passigli, 2023

mercoledì 17 gennaio 2024

Francesco De Girolamo

 

COME AI GIORNI DELL'ORO


Un febbrile ritorno avanza piano,
stretto tra le nascoste pieghe vive
delle cose perdute, andate, prive
d’orme chiare, ma che un nuovo, lontano

sguardo riemerso sembra riuscire
a ridestare, come ai giorni dell'oro.
E sembra che le voci amiche, in coro,
ti sussurrino frasi da carpire

nel silenzio presente, sorda luce,
corolla di fermenti che si schiude
alla ferma fiducia, all'accoglienza

del tuo fertile vuoto, delle nude,
tenui trame, disperse nell'assenza,
che un filo inafferrabile ricuce.

(inedita)

lunedì 15 gennaio 2024

Francesco Dalessandro

 I CORMORANI

 

                                          a Gino Scartaghiande

 

Né fresco né molle è più il fiume

antico dei padri ma solo

un’immonda cloaca –

                                         l’incerta

schiarita radure azzurre ci aveva

donate ma s’erano presto richiuse:

con la scia di un jet

militare con l’ultimo gabbiano

anche il giorno svaniva

verso il mare 

                          sull’acqua

torbida e scura alcuni cormorani

pescavano –

                        io non ne avevo

mai visti: mi sono fermato

a osservarli ammirandone il nero

piumaggio brillare nell’aria

fredda all’ultima luce e l’eleganza

naturale nel nuoto: si tuffavano

rapidi giù sparivano contro-

corrente nei gorghi sott’acqua

per un tempo interminabile

poi tornavano a galla risalivano

a riprendere fiato riaffioravano

per rituffarsi ancora

non sazi –

                    osservandoli (altri

passanti curiosi s’erano fermati

a guardare sporgendosi

sulla corrente) ho pensato

a uccelli di terra e di mare

forti e belli come loro che i poeti

hanno cantato, all’upupa

calunniata da Foscolo al passero

solitario di Leopardi all’usignolo

di Keats all’allodola di Shelley

all’albatro di Baudelaire al canarino

di Saba e a tutti gli altri celebrati

nei versi –

                    poi mi sono ricordato

del cormorano del Golfo, le penne

ingrommate di petrolio…

 

2.2.1996

da La Salvezza, Il Labirinto, 2006


Mi piace ripubblicare questa mia vecchia poesia, che piacque molto, a suo tempo, a un poeta amico, anche in polemica con coloro che credono - e lo sento ormai ripetere da troppi – che non si possano più mettere in una poesia rondini, gabbiani e altri uccelli. Mi dispiace per loro, ma io ho avuto ed ho ancora bisogno di rondini, gabbiani e altri uccelli, qui come altrove, nella mia poesia.

 

venerdì 12 gennaio 2024

Fabio Ciriachi

 LE STANZE ESTIVE

 

Dice che è per l’incognita del luogo

lontano dal posto delle fragole,

o forse per l’incuria del mercato

(quello rionale, s’intende, non l’altro).

Chissà se esiste ancora una donna

che fa rammagliare le calze, che va

a proprio agio nella gonna a pieghe?

Esclusa ogni immagine materna

resta l’indovinello della sera:

“Lo sai dove si trova quella ch’era

sensibile alle essenze, alle spore?

Non il cardo mariano o l’elicriso

ma quella polvere che curavate

guardando fra le lamine di luce

nei pomeriggi dei promessi abbracci?

E dove vivono le stanze estive

in cui amanti coglievate l’ora?”.

Doveva intravedere il compimento

per sapersi a sua volta nel percorso

e non vale il valzer dei ricordi

sottratti al giogo della rimozione,

è tutto quanto il tempo concepisce

nel breve tratto della comprensione

così perfetto, quasi abbandonato:

i pianti dentro il cavo delle mani

e la nenia con cui i venditori

curavano le stecche degli ombrelli

il filo delle lame dei coltelli.


da Tempo, soltanto tempo, Il Labirinto 2023

mercoledì 10 gennaio 2024

Marco Caporali

QUANDO S'APRONO INTESE 


Quando s’aprono intese                            

tra le lingue non muta che il suono , 

una quieta confidenza prende corpo 

e parole inaccessibili concedono 

la chiave che ad altri le schiude.


da Il borgo dell'accoglienza, in stampa presso Il Labirinto, Roma 

lunedì 8 gennaio 2024

Emily Brontë

 

SI FA TENEBRA INTORNO A ME LA NOTTE

 

Si fa tenebra intorno a me la notte,

spirano venti gelidi e selvaggi;

ma mi ha vinto una perfida magia

e non posso, non posso andare via.

 

Alberi giganteschi i rami piegano,

scheletri nudi gravidi di neve;

la tempesta mi tiene compagnia,

e non posso, non posso andare via.

 

Sopra di me ci sono solo nuvole,

ai miei piedi deserti e poi deserti;

nessun timore avrà l’anima mia:

io non posso, non voglio andare via.

 

Traduzione di Silvio Raffo

da La musa tempestosa, InternoPoesia, 2023

venerdì 5 gennaio 2024

Francesco Paolo Memmo

 I POETI


I poeti sono come i bambini: insopportabili

il più delle volte, e crudeli, e feroci;

e sono come i giocatori di scacchi: monomaniaci,

dunque ancora una volta

insopportabili; e sono come i preti:

un po' viscidi, untuosi, molto falsi,

dunque a maggior ragione insopportabili.

Ovviamente con qualche eccezione: io. 

ad esempio, che non sono un bambino,

non so giocare a scacchi, non ho l'aria

di un prete, non sono neppure un poeta,

se è per questo.


da Linea di basso ostinato, Il Labirinto, 2023

mercoledì 3 gennaio 2024

Francesco Paolo Memmo

 da RICOGNIZIONI

II


Siamo giunti nel luogo dove crescono

gli alberi nani, dicesti, dove i fulmini

non possono trafiggerci - e in effetti

era un giardino incantato, un orto di

delizie: solcavano il cielo squadriglie

di volatili.


Aprile non è il mese più crudele,

benché confonda memoria e desiderio,

non è crudele se era un giorno di aprile

la data.


(Potrei anche sbagliarmi).


La città era dietro le mura, se ne vedevano

le torri e i campanili, ma vuota,

così almeno mi piaceva immaginarla.


Un paradiso!

Come se davvero esistesse un paradiso.

Esiste il paradiso?

No, risposi, non credo.


Fu allora che prendesti la corsa,

mi costringesti a un trafelato inseguimento.


da Linea di basso ostinato, Il Labirinto, 2023

lunedì 1 gennaio 2024

Francesco Paolo Memmo

È uscito da poco Linea di basso ostinato, libro antologia che rompe dopo decenni il silenzio di un poeta importante e non dimenticato da chi lo ha conosciuto, e troppo a lungo restato in silenzio. Perciò voglio inaugurare il nuovo anno di questo blog con una sua poesia, dedicata allo scrittore Vasco Pratolini nella circostanza ricordata dal titolo, per dire anch'io, con un suo verso, rivolgendomi a Paolo: “bentornato, ce n’hai messa, ce l’hai fatta”!


da LETTERE A VASCO

Settima, per l'uscita del Mannello


Ora che il tuo silenzio si è colmato

di parole che costano sangue – rappresa

la memoria in grumi di miele di fiele –

e vinta ‘sul campo’ la battaglia

appianato tranne uno ogni tuo debito

 

nel mese che rinnova il prodigio

del cane Smog risorto dal fogliame

in cui è sepolto (finirà quest’inverno,

lo lasceremo alle spalle, vaffanculo)

 

oggi dodici di marzo, le cinque appena

passate – tanto perché si fermi in qualche

modo la data, come a te piace – come

vedi facendoti il verso, in versi, e fino

a un certo punto scherzando, siccome io

e te, noi lo sappiamo, solo così sappiamo

esorcizzare la vergogna

 

oggi dunque nel mese e nell’anno

che volenti o nolenti dovremo ricordare,

e nell’ora persino che il tuo poeta

consacra ai naviganti, questo volevo dirti:

ciao pratolo, ciao vasco, ciao dotto’,

bentornato, ce n’hai messa, ce l’hai fatta;

e niente brutti pensieri: paolo lo vieta.

Il viaggio procede a gonfie vele.

12 marzo 1985


da Linea di basso ostinato, Edizioni Il Labirinto, 2023