mercoledì 27 febbraio 2013

Alessandro Peregalli


LA RICERCA DI TE

La ricerca di te è ora stanca come
il nostro amore: non so più trovarti.
C’è una zona di buio nel mio spirito
ch’era luce, era tua. Prima abbagliava
le mie giornate; ora è uno spicchio d’ombra
che di solito è inerte, non appare,
ma talvolta s’impone alla mia mente,
la occupa, la ingombra, sembra imprimermi
la non azione, il tedio, lo sconcerto
dei sentimenti, è come una rivoluzione
della mia essenza contro il fatto primo
della mia vita. Allora, se d’un subito
penso a te, ecco che l’ombra si fa luce,
ecco che mi ritorna la ragione
delle cose del mondo e che lo spirito,
che pareva silente e ottenebrato,
torna a vivere ardito anche se sa
che nulla più d’un’immagine resta
del sentimento balenante fervido
che fu per te, che fu una parte splendida
della mia vita.

Da La cronaca. Poema 1939-1982, il Saggiatore, 2003

lunedì 25 febbraio 2013

Dario Bellezza


NON SI VEDRÀ PER TUTTO L’INVERNO

Non si vedrà per tutto l’inverno
il mio ragazzo venire dal lattaio
con la busta del latte da mezzo litro:
tutti penseranno che il radicato
nel mio cuore aspetta malato
che io arrivi con la busta in mano.

Non si vedrà per tutta la primavera
il suo ritorno; le lacrime invano
scivoleranno dalle mie guance:
tutti penseranno che mi ha lasciato
solo nella mia grande casa.

Non si vedrà per tutta l’estate
la sua abbronzatura cittadina,
ma al mare uguale ai più tranquilli
e solitari ragazzi lo immagineranno
silenziosamente disteso sulla sabbia.

Non si vedrà in autunno alcuno
bussare alla mia porta marroncina:
tutti mi guarderanno con tristezza
perché questa è la stagione dei morti.

Da Invettive e licenze, Garzanti, 1971

venerdì 22 febbraio 2013

Luigi Amendola


LETTERA A TELEMACO 


È la regalità dei sedicianni 
che certo guida l’inquietudine 
da un argine a me noto, distante, 
se indugi cauto davanti agli specchi 
— con l’ampiezza del busto e delle spalle 
in evidenza —. Riconosco l’impulso filiale 
d’essere adulto ai miei occhi. 
Non gesti d’insofferenza o resa, 
né ricerca di tenerezza in te commuove 
quanto spiarti nei miei panni. Strano 
come io non veda i tuoi sguardi obliqui 
alle donne, presagio di future età, 
di rincorse solari, d’attese, 
tumulti di vene e lenzuola intrise. Avrai. 
E guardo addolcire nel sonno l’inclemenza, 
con il senso di colpa paterno 
di chi dà sapendo di sottrarre 
per timore, per scelta, per scarto di riserbo 
a mia discolpa. Quel timbro albo 
della voce, un punto di rottura, 
un’armonia del cuore o del caso, se vuoi, 
saperti a me uguale, vulnerabile; 
le notti all’erta ad ogni tuo respiro, 
la viva lucentezza dell’iride 
nel campetto di periferia — lasciarmi passare 
in dribling, finta di corpo prevedibile 
per i tuoi agili anni —. Questo ed altri fili 
d’erba, le vele nelle palme, ti devo. Figlio. 

(Inedita)

mercoledì 20 febbraio 2013

Bruna Giacomi



AL MONTE ARGENTARIO, AI TUOI VERSI

È libera ancora
la strada dell’upupa tra cisto
e liscia santolina, il mare
intenso dopo la pioggia. Una gatta
placida e domestica m’accompagna
al vento.

S’è mutato il cuore oppure è per
l’età che riposano i fianchi
sfatti
da baci immotivati, è l’età che
fiacca
il piacere della battaglia?

Se solo all’alto fuoco
bruciassimo, lame dure, preziose
bilance del tempo saremmo ma ogni
tepore ci ha scaldati e
non è più teso l’arco
al braccio.

(Inedita)

lunedì 18 febbraio 2013

Annalisa Comes


FRAMMENTI D’ALBERO MAESTRO

Il confine delle terre annera nella notte. Gli uomini
vanno e vengono sul ponte. Hanno tirato le reti
e il sole non tramonta più. La prua luccica
di uno splendore esatto, da orologio.
Ovunque il quadrante sfavilla e brucia sulle rocce.
I fanali di Sant’Anna stridono, poi si addormentano.

Buio. Una boa enorme in secca.
Chiusi gli ultimi bar e la biglietteria e un
taxi acquatico dal corpo giallo e stanco.
Buio anche per i pochi passanti
e le loro orme a crocicchio. Il vento
sbatte la cenere al bavero del cappotto.

Laggiu il nord, piatto e anziano.


Da Fuori dalla terraferma, Gazebo, 2011

venerdì 15 febbraio 2013

Marcella Corsi


ALL’ENTRATA DEL CIELO ODORI DI NOCCIOLE

All’entrata del cielo odori di nocciole
troppo stagionate (ci vorrebbero satelliti
di canfora, lavande, viola appena colta).
Le montagne impiallacciate di mogano
chiedevano restauro o, finalmente,
demolizione. Arcuata nel controsoffitto
s’allargava la schiuma verdina del tempo
aveva preso ormai consistenza di cupola
nonostante l’insolenza degli armadi.
Solo la terra reggeva astuta il paragone
con le diverse opere degli uomini
contorta di radici lieta nel disegno
primaverile ingiungeva alle polveri di
sopportare desideri smaglianti, i venti

Dovemmo tenerne conto: con le mura
avemmo conversazioni sommesse talora
concitate di progetti, costantemente ci
volgemmo ad osservarne i sassi che nei
ciotoli del fiume si specchiavano portando
a galla il sentimento lavato da millenni
di note-parole (da mondi diversi avevamo
raccolto preziosi da mostrarci l’un l’altro
e lei la mandorla amara del nostro giardino
cresceva in grazia ed in bellezza) la luna
aveva scelto la sua casa nel nostro segno
ma stabilmente vi soggiornava il pianeta
amoroso della nascita. Apprese dunque
dopo non molto un modo cortese
quella casa, amabilmente osò perfino
dirci di no. Ci prese per mano lei stessa.
Divelta dalle fondamenta comprese.
Arresa, rinacque.

Da Distanze, Edizioni Archivi del ’900, 2006



mercoledì 13 febbraio 2013

Robert Frost


POLVERE DI NEVE

Il modo in cui un corvo
Di sopra una cicuta
Scrollò sopra di me
Una neve minuta

Diede al mio cuore un tale
Mutamento d’umore
Da salvare un mio giorno
Ormai senza valore.



Traduzione di Attilio Bertolucci

Da Attilio Bertolucci, Imitazioni, Libri Scheiwiller, 1994

lunedì 11 febbraio 2013

Carlo Bordini


FORMAGGIUS


Finita è l’illusione dell’amore:
ci ritroviamo, Egidio, con le nostre miserie
di tutti i giorni,
compagne care nostre, familiari
ai nostri lunghi pomeriggi vuoti.
In frotta ci vengono incontro, le riconosco tutte:
hanno il sapore dei ricordi, sono
noi stessi.
Siamo tornati a casa, apriamo le finestre: 
su, riconosci, guarda, la poltrona, il tavolino,
e gira per le stanze ancor deserte, spalanca
le finestre: siamo a casa!
Guarda lo studio, guarda
la camera da letto, ancora intatta come la lasciasti, guarda
tutta in disordine, con la chitarra sopra il letto,
che strano, guarda
il libro che leggevi quando partisti,
sul tavolino ancora…
Siamo sinceri con noi stessi:
questa è la nostra vita.
Ora si cena, poi si gioca a carte,
e poi stasera penseremo forse
alla villeggiatura ormai lontana.
- Strano, soltanto ieri… -
Alla villeggiatura bella e artificiosa che si chiama amore.

(inedita)

venerdì 8 febbraio 2013

Emily Dickinson


RIPROPORRE A NOI STESSI

Riproporre a noi stessi
una gioia sparita -
dà un'esultanza simile a un delitto -
onnipotente - acuta -

Non vogliamo deporre il pugnale -
perché amiamo la ferita
che il pugnale commemora - lei
ci ricorda che siamo morti.

Traduzione inedita di Silvia Bre

mercoledì 6 febbraio 2013

Jean-Claude Izzo


TERRA PROFANA

I

Terra profana.
Il Viaggiatore si perde,
povero e a piedi nudi,
nel cammino di cenere
delle braci del giorno di San Giovanni.


II

Solstizio crudele.
Mezzogiorno chiama al riposo,
al pieno silenzio,
e mezzanotte alla follia,
alla ragione non leggibile.


III

Ciclo delle ore
appassionate dei disastri
dove l'aria torrida
irriga l'ombra, l'arma
delle lacrime degli astri azzurri.


Traduzione inedita di Annalisa Comes

lunedì 4 febbraio 2013

Rosa Salvia


LA PAROLA È UN’ARGENTEA COPPA

La parola è un’argentea coppa:
intatti, precisi gli attimi
si posano – 
è un movimento d’acqua cui è stata
data forma,
un diagramma,
un disegno d’aria sottile – 

È armonia dei contrari,
alchimia della somiglianza – 

Oltre, il pensiero muore,
e tuttavia resta incorrotto
come un animale pietrificato, o meglio,
come il cristallo
corpo luminoso che brilla,
fermo orizzonte dell’immagine,
all’incrocio del tempo e dell’eterno,
enigma del vero.

Da Mi sta a cuore la trasparenza dell’aria, La vita felice, 2012

venerdì 1 febbraio 2013

Roberto Coppini

L’UOMO ADUNA LE BRICIOLE DI PANE

L’uomo aduna le briciole di pane,
incrocia le posate sul piatto:
gli frastaglia la faccia la luce
della lampada.

Che vuoi che una lettera porti!
Il mondo gira senza avvedersene, gli angeli
dormono nelle loro tombe, il soldato apparso
sulla soglia imbratta di sangue le carte.
Gli occhi sono ostruiti da mestieri
disutili, ricorsi a vie legali, segni
di croce sui conti saldati subito
o sulla porta di coloro che prima o dopo
andranno messi a tacere.

La stanza è piena di visitatori. Uno
chiede di me.

Da Le posate sul piatto, Edizioni Salvatore Sciascia, 1978