venerdì 29 settembre 2017

John Keats

ODE SULLA MALINCONIA


I
No, no, non scendere nel Lete e non torcere
le tenaci radici dell’aconito per spremerne
un venefico vino; non patire sulla fronte
pallida il bacio della belladonna, rosso
chicco di Proserpina; non fare un rosario
con le bacche del tasso, né la lugubre falena
o lo scarabeo siano la tua Psiche funerea,
né il gufo sodale dei tuoi misteri del dolore;
viene ombra su ombra con troppa sonnolenza
a sommergere la vigile angoscia dell’animo.

II
Ma quando dal cielo un senso di malinconia
cadrà all’improvviso come il pianto della nube
che ai fiori il capo reclino solleva e disseta
e avvolge il verde colle nel sudario d’aprile,
sazia il tuo dolore su una rosa mattutina,
o sull’arcobaleno che fa l’onda salmastra
sulla sabbia, o sui globi opulenti delle peonie;
o se ricca di collera si mostra la tua amata
la morbida mano catturane, lascia che deliri,
nutriti fino in fondo di quegli occhi senza pari.

III
Lei con la bellezza dimora, sì, con la bellezza
mortale e con la gioia che con la mano alle labbra
invia l’addio; vicino al piacere che dà pena
e veleno diventa nella bocca mentre l’ape
lo succhia; sì, nel tempio del piacere
è il supremo santuario della velata Malinconia
che soltanto distingue chi sul fine palato
con la lingua può spremere un acino di gioia;
l’anima così gusterà la tristezza del potere
che tra i suoi nubilosi trofei la lascia sospesa.

Traduzione di Francesco Dalessandro

mercoledì 27 settembre 2017

Philippe Jaccottet

LA SEMINA, XIII

Di questa domenica un solo istante ci ha raggiunti,
quando la nostra febbre si è placata, e i venti:
e sotto le luci di strada le cetonie
si accendono, poi si spengono. Luminarie, diresti,
lontane in un parco, forse per la tua festa…
Anch’io avevo creduto in te, anch’io bruciavo
della tua luce, che poi mi ha lasciato. Il loro guscio
scricchiola secco mentre cade nella polvere. Altri salgono,
altri s’infiammano, e io sono rimasto nell’ombra.

Traduzione di Fabio Pusterla


da Il barbagianni. L’ignorante, Einaudi, 1992

lunedì 25 settembre 2017

Edoardo Ferri

FINGO

Fingo
una presenza che sia conforto
e ragione, conoscenza
della luce che ti sfiorava
con lievità e distanza
nel commiato del mattino;

se non sei qui con me
le impressioni sono tracce di
pietre miliari sulla tua strada,
chilometri di parole e segni,
pieghe delle mani in viaggio
verso l’impreciso disegno
                           dello sguardo.


(Inedita)

venerdì 22 settembre 2017

Rosita Copioli

BASTANO DUE?

Tu non lo sai perché io torno a contemplarti
ogni volta come fosse la prima
e mi stupisco per
l’entusiasmo davanti alla tua pelle
una cosa così strana
che elettrizza e placa
dà pace
pace elettrica beata
senza che nient’altro entri in mezzo
tra noi due.
Che cosa strana
questa gioia
pacatissima
che ha inghiottito tutte
le scintille nervose vibranti
le tiene in un ventre
d’acciaio temperato
non ne manca nessuna
ma bollono tanto
l’acciaio ne freme
duramente
gioiosamente.
Tu non sai, ma nemmeno io lo so,
perché questo struggimento, questa pacatezza,
questo entusiasmo, questa pienezza
avvenga e sia, e sia sempre, e sempre
mutino le forme, e si moltiplichi
una sostanza ferma come la roccia,
metamorfica come le nuvole del cielo.
Io vorrei entrare, ti confesso,
in questo mistero. Io sono, tu sei,
questo istero in due.
Più ci entro, e come non potrei esserci
più a fondo, come te?
Più ci entro, più capisco, e
più mi perdo e non capisco.
Bastano due, a fare smemorare
il mondo,
di ogni conoscenza?

da Le acque della mente, Mondadori, 2016



mercoledì 20 settembre 2017

Philip Larkin

LA FALCIATRICE

La falciatrice si bloccò, due volte; inginocchiandomi trovai
un porcospino imprigionato tra le lame,
ucciso. Era vissuto nell’erba alta del prato.

L’avevo già visto e gli avevo pure dato da mangiare, una volta.
Adesso avevo irrimediabilmente distrutto il suo mondo                                                                                                     /discreto.
La sua sepoltura non mi fu di nessun aiuto:

al mattino io mi risvegliai e lui no.
Il primo giorno dopo una morte, la nuova assenza
resta sempre lì – uguale;

dovremmo essere l’uno dell’altro attento,
e gentili anche, finché ci resta un po’ di tempo.

Traduzione di Enrico Testa


dall’introduzione di Finestre alte, Einaudi, 2002

lunedì 18 settembre 2017

Juan Ruiz

AMAMI

Amami come sai, con l’ansia del possesso
col brivido dell’unghia,
nella carne nell’ansimo nell’urto
dei corpi nel gemito nell’umida penombra
del tuo estuario e del nostro abbandono.
Regalami un’ora o una vita 
che sia eterna.

venerdì 15 settembre 2017

Edoardo Ferri

ADESSO MANCA IL RESPIRO

Adesso manca il respiro
gli alberi assorbono il vento
il rosso dell’alba cuce 
il pallido segno del giorno;
ora che sei qui
le montagne sono miniature
di nuvole cadenti.
Mentre mi baci un alto cielo 
si schiude e le tue mani
tracciano la chiara esattezza
di un’intera vita.

(inedita)

mercoledì 13 settembre 2017

Giovanni Giudici

I VECCHI

Non onorate i vecchi,
abbiatene pietà
perché sono gli specchi
di come finirà

tutta la vita per noi
che non abbiamo virtù:
vogliono i vecchi eroi
amore, ma non c’è più

nei vecchi nulla da amare,
lacrime, sesso e vino:
tutto dobbiamo odiare
nei vecchi, nostro destino.

Ladri di notti corte,
il giorno ci perderà:
coi vecchi la stessa morte
misura le nostre età.

da Poesie scelte, Oscar Mondadori, 1975


lunedì 11 settembre 2017

Carlo Roncalli

MADRIGALE

Mentre il più fido amor nutria per lei,
Lesbia sorprese Albin con questi detti:
“Tu per mille virtudi amabil sei;
Eppur Celso con tanti suoi difetti
Sa piacer, non so come, agli occhi miei.
Oh vani sforzi degli umani affetti!
Fuggo Celso per te, ma Celso io bramo,
E nel volerti amar sento ch’io l’amo.



venerdì 8 settembre 2017

Ezra Pound

LI BAI: RAMMARICO DELLE SCALE INTARSIATE

Già bianchi di rugiada
I gradini intarsiati,
Roride le mie calze
Velate, tanto è tardi.
Lascio cadere la tenda cristallina
E spio la luna nell’autunno chiaro.

Nota dell’autore - Scale intarsiate, quindi un palazzo. Rammarico, quindi c’è da lagnarsi di qualche cosa. Calze velate, quindi una signora di corte, non una serva che si lamenta. Autunno chiaro, perciò lui non ha la scusa del maltempo. In più, lei è venuta presto perché la rugiada non ha soltanto imbiancato le scale, ma bagnato anche le calze. La poesia è apprezzata soprattutto perché non esprime un diretto rimprovero.


da Cathay, versioni italiane di Mary de Rachewiltz, Einaudi 1993

mercoledì 6 settembre 2017

Carlo Alberto Parmeggiani

PSEUDO TEOGNIDE

Pur non vivendo allora di espedienti
né mettendo della neve nel bicchiere,
già in bilico era la mia sorte
ancor prima di venirmi meno.

Ma niente più mi esalta del sapere
che è di molti avere un destino
ed è per pochi non averne uno soltanto.


da Ventotto frammenti (di anonimi lirici greci), inediti

lunedì 4 settembre 2017

Juan Ruiz

PARLA LEI

1.

«I giorni i mesi: quante le domande
senza risposta! Notti e notti, oscure
d’angoscia e di domande.
Il tuo sonno ne è avvolto.
La mia insonnia ti veglia, sospirando
che qualche notte in sogno
risponderai. Chi sei? Come sei fatto?
Domande immense, queste.
Altre, fugaci e frivole, ti chiedono
cose più lievi. Ma tu non le senti.
Dormi e non dai risposte.
Quando all’alba ritornano è con loro
che mi alzo, con la stessa
volontà di sapere, con l’ansia
di conoscere senza ascoltare
le tue risposte. E ogni giorno
nasce col dubbio, non trova certezze».

2.

«Così mi offrivi il mondo, senza un tempo
certo per te e per me. Tu non parlavi
e il silenzio si nutriva di parole
non dette. Io accoglievo patimento
e desiderio (ma non erano il tuo stesso
desiderio e patimento). Ogni domanda
era un graffio una ferita. Ogni risposta
non data, aceto o sale su quella ferita...».

3.

«Io torno sempre a te,
con la disperazione e il desiderio,
spesso disorientata,
piena di dubbi e rabbia, ma ritorno
sempre a te,
con la stessa violenza
che da te mi allontana.
La testa, diffidente,
chiede di dimenticarti,
di non crederti e prova
a mettermi in guardia,
mi indica strade
più semplici e comode,
ma il cuore non la segue,
va per suo conto,
tira dritto, ti viene
dietro come un cane,
latra alle tue calcagna,
ringhia perfino perché tu ti volga,
ma se lo chiami viene a te
mansueto a mendicare le carezze».

(inedita)

venerdì 1 settembre 2017

IL MADRIGALE

9 - Gaspara Stampa

S’io credessi por fine al mio martìre,
certo vorrei morire;
perché una morte sola
non occide, consola.
Ma temo, lassa me, che dopo morte
l’amoroso martìr prema più forte;
e questo posso dirlo, perché io
moro più volte, e pur cresce il disio.
Dunque per men tormento
di vivere e penar, lassa, consento.