lunedì 30 gennaio 2017

Alberto Manzoli

LA VITA ONNIPOTENTE

Esiste la parola e poi l’abisso.
E la sera già piega oltre i crinali
dove fermano il volo i colombacci,
mentre come radici le mie mani
affondo nella terra viva e ascolto
il vento che preannuncia la tempesta.
Poi, nella notte odorosa di pioggia,
il timido pallore del tuo corpo
è un bicchiere di lucciole accese
alle mie dita tenui, al mio stupore.


(inedita)

venerdì 27 gennaio 2017

Raffaela Fazio

ELENA

1.

L’altra
ti viene incontro
è ormai vicina:
uguali
il tono i lineamenti
il tempo dentro ai gesti
la fierezza
           ma gli occhi
rondoni
già lontani
e il corpo
forma d’aria
            turbamento.
Sei tu
colei che aspetta
immutata
fedele al vecchio patto.
Lei è il tuo doppio
             perfetto irreale
la non-scelta
la solo immaginata
dentro a un sogno
che tu stavi sognando
prima di altri
là dove
amore è guerra
e tutto ciò che sfugge
si rinnova.
Lo vedi, la spiaggia
si dilegua.
Il fato ti ritrova
e il ricordo
che torna alla tua terra
è questa nave
lenta.
         Prende te sola
ma porta
– dell’altra –
l’addio illusorio
che fende il nero il mare
                      sempre uguale
col suo
rostro d’avorio.

2.

L’altra
ti viene incontro
è ormai vicina:
uguali
il viso il portamento
ma il peso
che dà radice al corpo
è nel suo passo.
A terra si proietta
soltanto
la sua forma.

Tu che ti aspetti
stupore nello sguardo
che t’incrocia
non vedi che rimpianto
in quella donna.
Eppure
la storia che lei canta
è tutta intera. Non sa
dello spezzarsi della vista
– del tempo discontinuo
che ha il pensiero
il desiderio – non sa
della violenza
che ti sposta
né del rischio
dello sbaglio.
Tradimento.

La vita lei
l’ha attesa
tu l’hai colta
nell’estasi e nel vuoto.
Il prezzo che hai pagato
è di essere un abbaglio.
Ora è venuto
il tempo della resa.

Ti spogli
le rendi la bellezza
l’incerta sicurezza
che l’esistenza è una.
Mentre le affiora
sotto gli occhi
un’altra ruga
tu scompari
nell’aria
come in uno specchio
un fremito
un brivido già in fuga.


(inedita)


mercoledì 25 gennaio 2017

Carlo Attilio Rossi

DOPO IL LITIGIO

Ti ho lasciata sola, sul ponte
che la nebbia a poco a poco confonde
e lo divora imitando l’antichità.
Sono sbiadito lontano nel grigio
e nel treno ansante che cancellava
l’immagine tua ancora tiepida
con le leve copiate dalla guerra.
Alla prima stazione affumicata
sono sceso per vederti ancora
                                                      correvo
verso quel punto ormai vuoto
ma nell’imbuto del temporale, nell’urlo
mi sono sciolto in mille rivoli
dimenticando l’origine e dov’eri.


(inedita)

lunedì 23 gennaio 2017

Carlo Alberto Parmeggiani

PSEUDO SEMONIDE DI AMORGO

Disponi, bimbo, a piacer tuo
la sorte che ancora non conosci
e che gli dei ti hanno messo nella culla.
Disponi, bimbo, che la gran dea Tyche
si arrenda amabilmente ai tuoi vagiti.
Fa’ che disponga soprattutto
di non farti dare peso alle sventure
tu credendo siano presagi o il volere
di un dio che vuole metterti alla prova.

Ogni dio ti inganna ed è cagione
di inutili speranze e infingimenti,
se ancor di più non guasta
ogni immeditato gusto per la vita
con mali e con dolori più di mille.

Lascia dunque agli dei
il computo di ansie e nuovi affanni,
vivi quel che puoi senza sogghigni
e la lascia alle Moire fissare la tua sorte

e stabilirne a piacer loro la durata.

da Ventotto frammenti (di anonimi lirici greci), inediti

venerdì 20 gennaio 2017

Simon Marsh

CALMO

dipendiamo tutti da qualche cosa
sceglierò la tua se tu scegli la mia
ho cercato le acque erbose
fino a farmi ricrescere il guscio
ho evitato l’asfalto scuro
notti condensate dall’elettricità
ma ora un baldacchino di ardesia sanguina a est
arresta un senso di perdita oceanico
contavo su di te per calmarmi
per puntellare incerti terrapieni di dubbio
l’astrologo della radio dice
che nel mio segno c’è mercurio
ma non fa menzione
dei metalli vili che ho nel cuore

Traduzione di Riccardo Duranti


da Stanze, Coazinzola Press, 2016

mercoledì 18 gennaio 2017

Alberto Toni


QUESTA CHE VEDETE È LA PORTA

Questa che vedete è la porta
più antica, per l’età breve
chiude e apre l’anno, ti trascina
in avanti, si spalanca come
porta di ghiaccio o deserto
o dentro il turbine della folla
che ami, non ami. Ti desidero
senza pentimento, mentre parli
ti ascolto, stendo carte, ritorno
sui miei passi, accendo frasi,
rispondo. Toglimi dal futuro
male, ricrea la verità di sempre,
l’arma
più bella del padre e della madre.

da Il dolore, Samuele Editore, 2016

lunedì 16 gennaio 2017

Alberto Nessi

LA CAMERIERA

Eccola, dietro i vetri dell’osteria
un’ombra sopra il labbro, gli occhi scuri
che una volta guardavano dal bancone
come dalle fronde di un nocciolo

invecchiata sotto l’insegna scolorita
vede fuggire come un passero il sogno
che si nascondeva nel suo giovane nido
quando aspettava i balli del sabato

ha ormai perduto la giovinezza
davanti alle carte da gioco, le riviste illustrate
il vino dei solitari
le finestre striate di grigio

ed eccola, mentre guarda dai vetri
ancora vorrebbe essere ragazza
avere l’occhio verde dell’elleboro
che a Pasqua, ancora, mette in un bicchiere.

da Un sabato senza dolore, Interlinea, 2016

venerdì 13 gennaio 2017

Eugenio Montale

LA CASA DEI DOGANIERI

Tu non ricordi la casa dei doganieri
sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:
desolata t’attende dalla sera
in cui v’entrò lo sciame dei tuoi pensieri
e vi sostò irrequieto.

Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non è più lieto:
la bussola va impazzita all’avventura
e il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s’addipana.

Ne tengo ancora un capo; ma s’allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell’oscurità.

Oh l’orizzonte in fuga, dove s’accende
rara la luce della petroliera!
Il varco è qui? (Ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende…)
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.



mercoledì 11 gennaio 2017

Leonardo Sinisgalli

A MIO PADRE

L’uomo che torna solo
a tarda sera dalla vigna
scuote le rape nella vasca
sbuca dal viottolo con la paglia
macchiata di verderame.
L’uomo che porta così fresco
terriccio sulle scarpe, odore
di fresca sera nei vestiti
si ferma a una fonte, parla
con l’ortolano che sradica i finocchi.
È un uomo, un piccolo uomo
ch’io guardo di lontano.
È un punto vivo all’orizzonte.
Forse la sua pupilla
si accende questa sera
accanto alla peschiera

dove si asciuga la fronte.

lunedì 9 gennaio 2017

Camillo Sbarbaro

PIANISSIMO, parte seconda, 1

Taci, anima mia. Son questi i tristi
giorni in cui senza volontà si vive,
i giorni dell’attesa disperata.
Come l’albero ignudo a mezzo inverno
che s’attrista nella deserta corte
io non credo di mettere più foglie
e dubito d’averle messe mai.

Andando per la strada così solo
tra la gente che m’urta e non mi vede
mi pare d’esser da me stesso assente.
E m’accalco ad udire dov’è ressa
sosto dalle vetrine abbarbagliato
e mi volto al frusciare d’ogni gonna.
Per la voce d’un cantastorie cieco
per l’improvviso lampo d’una nuca
mi sgocciolan dagli occhi sciocche lacrime
mi s’accendon negli occhi cupidigie.
Ché tutta la mia vita è nei miei occhi.
Ogni cosa che passa la commuove
come debole vento un’acqua morta.

Io son come uno specchio rassegnato
che riflette ogni cosa per la via.
In me stesso non guardo perché nulla
vi troverei.
E, venuta la sera, nel mio letto

mi stendo lungo come in una bara.

venerdì 6 gennaio 2017

Corrado Govoni

IN TRENO LUNGO L’ADRIATICO

Era il tempo che lungo il litorale
in mucchi regolari di covoni
si raccoglieva il sale.
Il mare era una striscia giallosporca.
Tu, raccolta in un canto del sedile,
muta, covavi nella tua tristezza
l’allegria affamata dei bambini,
mentre il treno fuggiva nella pioggia
coi mangiatori d’uva ai finestrini.


mercoledì 4 gennaio 2017

Carlo Betocchi

DELL’OMBRA

Un giorno di primavera
vidi l’ombra d’un’albatrella
addormentata sulla brughiera
come una timida agnella.

Era lontano il suo cuore
e stava sospeso nel cielo;
nel mezzo del raggiante sole
bruno, dentro un bruno velo.

Ella si godeva il vento;
solitaria si rimuoveva
per far quell’albero contento:
di fiammelle, qua e là, ardeva.

Non aveva fretta o pena;
altro che di sentir mattino,
poi il suo meriggio, poi la sera
con il suo fioco cammino.

Tra tante ombre che vanno
continuamente, all’ombra eterna,
e copron la terra d’inganno
adoravo quest’ombra ferma.

Così, talvolta, tra noi
scende questa mite apparenza,
che giace, e sembra che si annoi
nell’erba e nella pazienza.


lunedì 2 gennaio 2017

IL MADRIGALE


1 - Pietro Bembo


Amor, la tua virtute
non è dal mondo e da la gente intesa;
ché, da viltate offesa,
segue suo danno e fugge sua salute.
Ma se fosser tra noi ben conosciute
l’opre tue, come là dove risplende
più del tuo raggio puro,
cammin dritto e securo
prenderìa nostra vita, che non prende,
e tornerìan con la prima beltade
gli anni de l’oro e la felice etade.