mercoledì 30 maggio 2012

Francesco Dalessandro


IL RISVEGLIO


Il sonno si smarrisce sulla soglia
trasparente dell’alba, si risveglia
un altro giorno al rumore feriale
del traffico arrembante sulla nera
curva che falcia il parco dove i cani
si rincorrono liberi, al frastuono
dei clacson impazienti, delle voci
invadenti che imprecano e disturbano
dalla strada o dal parco, dei richiami
delle cornacchie tra i rami dei pini,
del chioccolio della badante slava
che aiuta la padrona e l’accompagna
in bagno o che si lava, col contorno
dei soliti rumori: l’acqua aperta,
il ticchettio dei suoi tacchi sonori,
il trillo della sveglia, poi lo squillo
del telefono, il «pronto!», quel vocio
stridulo, mentre in alto gli operai
salgono sui ponteggi, ecco ripreso
il lavoro, ora penso.
                                        Ma non apro
ancora gli occhi, m’avvicino sfioro
il suo fianco col fianco la sua gamba
con la mia: basta questo, trascolora
la notte in un mattino d’esiliata
solitudine ed ore tutte d’oro
s’annunciano agli occhi assonnati
se aprendosi a un sereno senza nubi
e pioggia avrà il celeste sole e aria
pungente per accoglierci se uscendo
insieme andremo per le strade, lenti
i suoi passi nel fulgore di vetrine
e specchi (ma che cosa, dio del vento,
sussurrerai all’orecchio della nube
che come un bianco otre verserà
lacrime di dolore o di dispetto
sul parco sulla strada sul giardino
quando nel pomeriggio cibo e amore
avremo consumato e sarà presto
e sarà tardi per il sonno?).
                                                    Intanto
il traffico si acquieta e dalla strada
tace il rumore, l’eco delle voci
degli operai dai ponti s’allontana,
la donna slava è uscita, nel silenzio
che piove in casa m’alzo: lei è sveglia
ma chiusa come un pugno in mezzo al letto
indugia nel tepore: ha freddo? ha ancora
voglia di sonno. So quel che dirà
appena alzata: «no, non ho dormito
neanche un’ora stanotte, solo all’alba
ho preso sonno… ma poi quei rumori
feroci, assurdi!»
                                  L’ansa di silenzio
s’è schiusa presto ed è ripreso cupo
l’andare consueto e assonnato
del traffico feriale: ah, ma se invece
improduttive saliranno le ore
di questo giorno di febbraio freddo
ma chiaro e lasceranno ansia e salive
arse nei tuoi pensieri, solo in lei
spera per la salvezza, solo lei
avrai che accenda il fuoco nel tuo petto
e il suo respiro per tenerlo vivo
ancora e ancora…, penso.
                                                   Ora il mattino
nasce con questa fede e questo coro
profano di rumori che accerchia
la casa e il risveglio mettendo
ansia nell’aria azzurra che rischiara
dolcemente la stanza e nei suoi occhi
ancora chiusi al saluto del giorno.


Da Ore dorate, Il Labirinto, 2008

lunedì 28 maggio 2012

Domenico Vuoto


UN VINCOLO

Ragno consolatore, chiamano il minuscolo
insetto che viene ogni giorno a visitarti.
Sul tavolo compare dove il volto tra le mani
dalla finestra osservi un cielo deserto – ai bordi
striature di nuvole orlature di lontana minaccia.
Non teme di avvicinarsi sospinto da una curiosità
che non contempla il rischio, muovendosi asseconda
il battito delle tue ciglia (le agita l’inquieta fissità di
una rinuncia) con i cheliceri che tanto lo assomigliano
a un bambino incanutito. Poi lo noti, il tuo sguardo
si ravviva – i tuoi chiari occhi da insonnia o da
lacrime arrossati. Hai l’impressione che sia lui a
narrare il tuo tempo in silenzioso naufragio, a guidarlo
verso un approdo. E nell’estrema sua mobilità condensi
e converta in misterioso rigoglio la tua pena
Troppo hai già perduto per non provare una speciale
meraviglia davanti a una vita che a te remota a te
sembra volersi offrire.
E ora guardati dalla sua insopprimibile allegria,
induce al vincolo faticoso della speranza.

(Inedita)

venerdì 25 maggio 2012

Tommaso Campanella


NEL TEATRO DEL MONDO

Nel teatro del mondo ammascherate
l’alme da’ corpi e dagli effetti loro,
spettacolo al supremo consistoro
da natura, divina arte, apprestate,

fan gli atti e detti tutte a chi son nate;
di scena in scena van, di coro in coro;
si veston di letizia e di martòro,
dal comico fatal libro ordinate.

Né san, né ponno, né vogliono fare,
né patir altro che ’l gran Senno scrisse,
di tutte lieto, per tutte allegrare;

quando, rendendo, al fin di giuochi e risse,
le maschere alla terra, al cielo, al mare,
in Dio vedrem chi meglio fece e disse.


Da Poesie, a cura di Giovanni Gentile, Sansoni, 1938




mercoledì 23 maggio 2012

Eloy Sánchez Rosillo


VERITÀ DI VITA


Ancora torna quel momento immenso,
la fine di una sera di marzo, di una sera
che mi accompagna sempre, quando insieme
– voi due, noi due, noi quattro
uniti in un impulso di concorde
felicità – camminavamo piano
nei giardini di Boboli. La giovane
primavera ci volle offrire in dono
il vero della vita e ciascuno a suo modo
lo respirò e comprese.
                                   
                                     Tramontava
già il sole, discendeva dolcemente,
e le spoglie ramate della luce,
ovunque, incerte, facevano il nido
e nel lento smorire allungavano le ombre
dei pini e dei cipressi. Si restrinsero
poco a poco sui rami e l’erba tutti
i merli del tramonto. I loro fischi
s’intrecciavano in aria con le nostre
risate e le parole, uguali a nastri
allegri di vivaci colori, mentre l’acqua
di fontane e canali faceva delicata
un intimo discorso, con leggero
sussurro.

               Ma perché di quei bei giorni
di Firenze, soltanto quel momento
ha nella mia memoria un posto unico?
Certo, il cuore riassume in quel passaggio
inestinguibile il tempo della gioia
che possono davvero misurare
non giornate o frammenti di un istante
ma solo intensità ed eternità.

Traduzione di Francesco Dalessandro


(inedita)

lunedì 21 maggio 2012

Kenneth Rexroth



UN’ALTRA PRIMAVERA


Tornano le stagioni, gli anni cambiano
senza bisogno di consigli o aiuto.
Senza pensarci, la luna ha il suo ciclo:
piena, crescente, ancora piena.

La candida luna entra nel cuore del fiume;
le azalee in fiore stordiscono l’aria;
in piena notte una pigna cade a terra;
il nostro bivacco smuore sui monti vuoti.

Acute stelle balenano tra i rami frementi;
il lago è un nero abisso nella notte cristallina;
alta in cielo, l’oscura punta di un picco
innevato taglia in due la Corona Boreale.

Oh, cuore, strano cuore
intransigente e corruttibile, siamo distesi
qui, incantati dalla luce stellare sull’acqua
e questi momenti che dovrebbero essere

eterni ci scivolano accanto insensibili
come l’acqua.


Traduzione di Francesco Dalessandro


da The complete poems of Kenneth Rexroth, edited by Sam Hamill & Bradford Morrow, Copper Canyon Press, 2003




venerdì 18 maggio 2012

Torquato Tasso

                                                                               per la mia Laura


DUE MADRIGALI



                                                

I


Messaggera de l’alba
è quest’aura terrena
e torbida talor, talor serena:
Laura mia par celeste,
così bella io la veggio
dopo l’aurora in fresco e verde seggio:
di fior l’una riveste
il dilettoso aprile,
l’altra fiorir fa l’amoroso stile.

II

Tu furi i dolci odori
a’ ligustri ed a’ gigli,
o mobil aura, ed a’ bei fior vermigli;
ma li comparte l’auro
di Laura mia gradita:
tu segui il sol, da Febo ella è seguita.
Ah! non la volga in lauro
del ciel pietate o sdegno,
ché di sì bella pianta è ’l bosco indegno


Da Poesie, a cura di Francesco Flora, Riccardo Ricciardi Editore, 1952


mercoledì 16 maggio 2012

Nail Chiodo


IL SISIFO DEL MITO

Il dolore: cos’è, che così mi ha risparmiato?
M’ha infastidito solo fino al sorriso
e voleva che appena sapessi
la pura parte che la vita rende più vivibile.
Salendo a grandi passi, fianco a fianco con Sisifo,
gioco col mio ciottolo, e si parla:
dice di trascinare navi attraverso l’istmo…
Ogni discorso non è che interscambio di pensiero.
Io non so cosa lui pensi di me,
né lui sa cosa mi saltelli per la mente;
gli lampeggia negli occhi grande perplessità
se sorrido alle cose che ancora sembrano gentili.
I segreti del dolore, così, restano celati
e nelle prove di Corinto si rivela il nulla.




Traduzione di Francesco Dalessandro


da In the Instant’s Guise, 2011

lunedì 14 maggio 2012

Daniela Attanasio


LA LUCE È CAMBIATA, ENTRA DI TAGLIO DALLA FINESTRA




la luce è cambiata, entra di taglio dalla finestra
non è più luce che sana ma una sottile lama di gesso
affacciata nel ghiaccio della notte
i grilli sono un semplice canto della stagione
non hanno relazione con le nostre voci


siamo corpi separati dentro una cassa di gesti morti:
il fruscio della porta che si chiude
il silenzio spezzato da un digrignare di denti
cannibalismo, infedeltà
l’urto della natura diventata ostile – 


e di quel coro di foglie al passare del vento
un urlo




Da Il ritorno all’isola, Nino Aragno Editore, 2010

venerdì 11 maggio 2012

Geoffrey Hill


OVIDIO NEL TERZO REICH


                 non peccat, quaecumque potest peccasse negare,
                   solaque famosam culpa professa facit.
                                               Amores, III, XIV


Amo il mio lavoro e i miei bambini. Dio
è distante, difficile. Le cose accadono.
Troppo vicino agli antichi trogoli del sangue
l’innocenza non è un’arma terrena.


Solo una cosa ho imparato: non guardare tanto
dall’alto in basso i dannati. Essi, nella loro sfera,
armonizzano stranamente con l’amore
divino. Io, nella mia, celebro il coro d’amore.


Traduzione di Renato Oliva


Da Giovani poeti inglesi, Einaudi, 1976

mercoledì 9 maggio 2012

Silvia Bre


BEATO IL MIO VICINO


Beato il mio vicino che dalle sue finestre
coglie con gli occhi i fiori che io curo,
i colori che veglio dal buio della casa.
Io penso a togliere le foglie secche
a dare l’acqua ai vasi appena serve,
devo sempre patire quando un giorno
vedo che sono morti eternamente.
Per lui sono soltanto vivi, solo belli,
non ha bisogno di saperne i nomi
per imparare come amarli meglio.
Beato lui, il vicino,
che chiama il mio balcone il suo paesaggio
e che di fronte a sé tra strada e cielo
vede distintamente il mio destino.


Da Marmo, Einaudi, 2007

lunedì 7 maggio 2012

Vincenzo Cardarelli

GABBIANI


Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro,
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com'essi l'acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch'essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.


da Poesie, Mondadori Oscar Poesia, 1966

venerdì 4 maggio 2012

Gesualdo Bufalino


LA SOSTA


Con un gelato davanti
e la morte dentro la mente
seduto a un bar di Piazza Marina,
guardo due mosche amarsi sulla mia mano,
come colpi di batticuore
odo martelli battere sulle rotaie,
mi chiedo perché vivo,
che grido o che caduta m’aspetta dietro l’angolo,
rammento un altro sole rovente come questo
sulla mia testa rasa di soldato,
un’altra attesa, un’altra fuga, un’altra tana.
Ora pago, mi alzo, questo giorno è sbagliato,
questo e gli altri di prima, sono un uomo infelice.


Da L’amaro miele, Einaudi, 1982

mercoledì 2 maggio 2012

Brad Leithauser


CENTINAIA DI LUCCIOLE


Cielo ancora viola,
ombre raccolte
sotto gli alberi

e prime stelle pallide
come betulle notturne, le lucciole
cominciano: fin dall’inizio

la notte appartiene
a loro.
              Il buio le fa brillare:
dalla nostra terrazza al riparo

osserviamo il loro brillio
accentuarsi: tre, quattro di loro
illuminano il crepuscolo con

solennità; dieci o dodici
e gli occhi si confondono
senza fine;

e nella notte più fonda
sono venti, cinquanta, di più –
un numero incalcolabile –

eppure ne continuano
a venire.
                 Nessun inverno
supera il lampo

della loro tempesta, nessuna primavera
la sorprendente crescita.
                                               Espandendosi
per contenerle, la notte si riempie

dei loro crepitii silenziosi,
centinaia di lucciole,
ogni luce intermittente è una piccola offerta

per attirare un compagno diffidente
nella congiunta oscurità
della propagazione…

Perciò vengono spasimando alle finestre
del cottage in ordine sparso a illuminare
fiocamente, in modo inquietante

le nostre facce, e nient’altro che l’istinto
primordiale d’ogni creatura all’accoppiamento
erige costellazioni altrettanto luminose,

e più vicine di quanto i cieli
non saranno mai.
                                  Soltanto
guardare, senza dire nulla,

con gratitudine,
è il meglio, è quello di cui
avevamo bisogno.
                                  Perché stanotte

abbiamo visto stelle sufficienti
a mantenerci per un anno
intero di vita cittadina –

notti autunnali che si allungano,
alberi aperti e la rosea
oscurità dei centri commerciali;

cieli grigi ad ammassare neve,
e la luna sulla neve ghiacciata
e paludosi cieli d’aprile intasati

di sedimenti … fin quando il silenzioso
trascorrere dell’estate tra gli alberi
indirizza anche noi, attratti dalla luce,

verso un’altra breve stagione di lucciole.

Traduzione di Aldo Rosselli e Nail Chiodo

da Between Leaps – Poems 1972-1985, Oxford University Press, 1987