lunedì 30 aprile 2012

Marianne Moore



SILENZIO

Mio padre era solito dire:
«Una persona superiore non fa mai visite lunghe,
né vuole vedere la tomba di Longfellow
o i fiori di vetro di Harvard.
Sicura di sé come il gatto –
che trascina la preda in un angolo,
la coda del topo gli pende dalla bocca come un laccio da scarpe –
ogni tanto gradisce la solitudine
e può restare senza parole
se ascolta un discorso che gli piace.
Il sentire più profondo si rivela sempre in silenzio;
non in silenzio, ma con discrezione».
E non era meno sincero se diceva: «Fate di questa casa il vostro albergo».
Ma non sono residenze, gli alberghi.




Traduzione di Francesco Dalessandro

da Complete Poems, Faber and Faber, London-Boston, 1984

venerdì 27 aprile 2012

Malcolm Lowry


FELICITÀ


Azzurre montagne innevate, fredde acque azzurre di torrente,
un cielo selvaggio brulicante di stelle nascenti 
e Venere e la luna gibbosa dell’alba,
gabbiani seguono controvento un motoscafo,  
alberi coi rami radicati in aria –
sedendo al sole di mezzogiorno, con l’ombra 
del camino furiosamente fumante della baracca –
le aquile seguono unite la strada del vento,
le rondini marine virano all’indietro,
alle undici un’altra presa di tabacco, 
e il mio amore tornato con l’autobus delle quattro 
–  Mio Dio, perché proprio a noi donasti tutto questo?


Traduzione di Francesco Dalessandro


da Selected poems of Malcolm Lowry, edited by Earle Birney, with the assistance of Margerie Lowry - City Lights, San Francisco, 1St Edition, 1962 

mercoledì 25 aprile 2012

Rodolfo Di Biasio


POEMETTO DELLO SPECCHIO 


1


In quest’ora d’alba
il mio specchio:
lo specchio-mare
ondoso al gioco
di una memoria profonda
e i volti e le parole
le levigate parole




2


Quanti i giorni? e i mesi? e gli anni?
E già lo specchio raggela
una sottile ruga della mente:
la nuova è bagliore grigio
o fiato che io solo colgo
in questo mio specchio-mare
Tutto deborda verso il tempo 
– è il mare ora il tempo – 




3


Ma possente il tempo
se inarca anche questo mio cuore
nello specchio autunnale delle acque
là dove la parola si disfa
silenzio ondoso
memoria


Da Poemetti elementari, Il Labirinto, 2008

lunedì 23 aprile 2012

Cid Corman


L’ARIA

Là fuori all’improvviso
l’aria è più aria. Una polvere
sottile, odore di grano vecchio, filtra

tra i denti, pesa nella carne
un’altra carne. È amore,
ma più vasto di qualsiasi conosciuto...

Già mi sento senza respiro,
come se fossi venuto troppo lontano
per trovare la pace, per averla trovata.

Traduzione di Gianfranco Palmery

da Sole sasso uomo, Edizioni della Cometa, 1996

venerdì 20 aprile 2012

Gerard Manley Hopkins




(CONFORTO CAROGNA)

No, non voglio, conforto carogna, Disperazione, pascermi di te;
non scioglierò benché già lenti questi ultimi legami
umani in me, né stremato griderò: non posso più. Io posso;
qualcosa posso: spero, aspetto giorno, non scelgo di non essere.

Ma ah, ma o tu terribile, perché violento su di me hai voluto                
il piede destro tuo tritamondo vibrare? schiacciarmi con zampa di leone?
scrutare con cupi occhi voraci le mie ossa ammaccate? e vagliarmi
oh con turbini di tempesta, ammucchiato là, frenetico a evitarti e fuggire?

Perché? Perché la pula si sperdesse, restasse il mio grano, chiaro e puro.
Anzi, in tutto quel tormento e tumulto, dacché (pare) il bastone, no, la mano
baciai, cuore guarda!, succhiai forza, rubai gioia, volli ridere, acclamare.

Ma acclamare chi? L’eroe che con mossa celeste mi scagliò giù, calpestando-
mi? O me che lo combattevo? Chi dei due? Tutt’e due? Quella notte,quell’anno
d’ora svanite tenebre io giacqui derelitto lottando col (mio Dio!) mio Dio.

Traduzione di Francesco Dalessandro


da I sonetti terribili, Il Labirinto, 2003

mercoledì 18 aprile 2012

Attilio Bertolucci


VERSO CASAROLA


Lasciate che m’incammini per la strada in salita
e al primo batticuore mi volga,
già da stanchezza e gioia esaltato ed oppresso,
a guardare le valli azzurre per la lontananza,
azzurre le valli e gli anni
che spazio e tempo distanziano.
Così a una curva, vicina
tanto che la frescura dei fitti noccioli e d’un’acqua
pullulante perenne nel cavo gomito d’ombra
giunge sin qui dove sole e aria baciano la fronte le mani
di chi ha saputo vincere la tentazione al riposo,
io veda la compagnia sbucare e meravigliarsi di tutto
con l’inquieta speranza dei migratori e dei profughi
scoccando nel cielo il mezzogiorno montano
del 9 settembre ’43. Oh, campane
di Montebello Belasola Villula Agna ignare,
stordite noi che camminiamo in fuga
mentre immobili guardano da destra e da sinistra
più in alto più in basso nel faticato appennino
dell’aratura quelli cui toccherà pagare
anche per noi insolventi,
ma ora pacificamente lasciano splendere il vomere
a solco incompiuto, asciugare il sudore, arrestarsi
il tempo per speculare sul fatto
che un padre e una madre giovani un bambino e una serva
s’arrampicano svelti, villeggianti fuori stagione
(o gentile inganno ottico del caldo mezzodì),
verso Casarola ricca d’asini di castagni e di sassi.


Potessero ascoltare, questi che non sanno ancora nulla,
noi che parliamo, rimasti un po’ indietro,
perdutisi la ragazza e il bambino più sù in un trionfo
inviolato di more ritardatarie e dolcissime,
potessi io, separato da quel giovane
intrepido consiglio di famiglia in cammino,
tenuto dopo aver deciso già tutto, tutto gettato nel piatto
della bilancia con santo senso del giusto,
oggi che nell’orecchio invecchiato e smagrito mi romba
il vuoto di questi anni buttati via. Perché,
chi meglio di un uomo e di una donna in età
di amarsi e amare il frutto dell’amore,
avrebbe potuto scegliere, maturando quel caldo
e troppo calmo giorno di settembre, la strada
per la salvezza dell’anima e del corpo congiunti
strettamente come sposa e sposo nell’abbraccio?
Scende, o sale, verso casa dai campi
gente di Montebello prima, poi di Belasola, assorta
in un lento pensiero, e già la compagnia fotestiera
s’è ricomposta, appare impicciolita più in alto
finché l’inghiotte la bocca fresca d’un bosco
di cerri: là
c'è una fontana fresca nel ricordo
di chi guida e ha deciso
una sosta nell’ombra sino a quando i rondoni
irromperanno nel cielo che fu delle allodole. Allora
sarà tempo di caricare il figlio in cima alle spalle,
che all’uscita del folto veda con meraviglia
mischiarsi fumo e stelle su Casarola raggiunta.


Da Viaggio d’inverno, Garzanti, 1971

lunedì 16 aprile 2012

Lucio Piccolo


PLUMELIA


L’arbusto che fu salvo dalla guazza
dell’invernata scialba
sul davanzale innanzi al monte
crespo di pini e rupi – più tardi, tempo
d’estate, entra l’aria pastorale
e le rapisce il fresco la creta
grave di fonte – nelle notti
di polvere e calura
ventosa, quando non ha più voce
il canale riverso, smania
la fiamma del fanale
nel carcere di vetro e l’apertura
sconnessa – la plumelia bianca
e avorio, il fiore
serbato a gusci d’uovo su lo stecco,
lascia che lo prenda
furia sitibonda
di raffica cui manca
dono di pioggia,
pure il rovo ebbe le sue piegature
di dolcezza, anche il pruno il suo candore.




Da Plumelia, All’insegna del pesce d’oro, 1979

venerdì 13 aprile 2012

Roberto Coppini


A DISTANZA DI TEMPO


Non falsi amici né stelle di carta
compaiono nelle mie veglie.
I rari coi quali spartisco
un’esistenza residua
hanno lo sguardo turbato
di chi si dà respiro nella fuga
e sente avvicinarsi la cattura
sebbene all’orecchio
giunga soltanto un brusio
di sillabe divise.


La mischia dalla quale immaginavo sottrarmi
è il dolore degli altri. Un male
che accieca e non rigenera
se non un male più acuto
o la cattività che uguaglia impietosa
la perdita e l’acquisto.


La parte di ognuno è il caso
che l’assegna. Un autista ubriaco
confuse il re con la regina,
non sapendo che il fante tuttofare
fu il solo ad essermi compagno.
Anche se l’uno, il portatore di picca,
allunga la sua ombra
via via che il gioco passa di mano
e il cerchio stringendosi destina
l’ultima carta, l’onnipresente.


Da Suite inglese, Quaderni di Barbablù, 1982

mercoledì 11 aprile 2012

Domenico Adriano


MIO PADRE


Nella sua gioia mite
oggi mio padre, con il sole
alto che gli batte sulla fronte,
si fa giovane: come ogni anno
al tempo dei nidi sui carrubi.


Le mani gli si sciolgono
dietro la schiena. “Un giorno
mi lasceranno” pensa, e subito
la sua mente è altrove, ai luoghi
della sua giovinezza.
Non parla: il silenzio,
la solitudine buona
di chi non rifiuta il mondo.
E io, quanto tempo per capirlo,
ho già quasi la sua fronte.


Da La polvere e il miele, L’Officina Libri, 1977

lunedì 9 aprile 2012

Marco Caporali


IL PONTE DEI VENTI


Se assecondi le cose che accadono
la vita non ti esclude
e si ritrae il timore dell’inaspettato.
L’aria che circola fuori le mura
ti stana e libera dall’abituale assedio
e ti fai tramite di storie d’altri
che insieme passano quel valico per compiersi.




Da Alla fine del solco, Empiria, 2007

venerdì 6 aprile 2012

Beppe Salvia


Il 6 aprile del 1985 ci lasciò, per sua stessa volontà, l'amico Beppe. Vogliamo ricordarlo con questa sua poesia.




NINFALE


la mia cultura è poca e la mente fioca,
non ho conosciuto regole e leggi e nessuno
dell’ordine dell’universo m’ha insegnato
ad amare la sua natura grande
e umile. Ho offeso con la mia stupidità
la legge della vita, l’infinita innocenza
della sua crudeltà. Adesso ho un cuore
nobile ma la mia carne è pietra.


e imparo da solo con stenti l’errore 
d’essere solo. E padre e madre vorrei
essere di questa solitudine.
non l’abitudine filiale, ma il segreto esempio
la natura dolce delle parole vere
io voglio dedicare a questo corpo magro,
attraversato dal tremendo folgore
del coltello e dell’innaturale pietà
della preghiera. E spezza da sé e su
se stesso l’acqua rigida del suo vero.


Conosco adesso il tempo certo
degli abissi e la parola povera
della vita, e l’esclusione e l’essere
e il pentimento e la colpa. e tutto
dura nel mio corpo eterno, e io
non posso amare senza amore
non posso soffrire senza dolore.
Ceneri del nostro tempo gli evidenti
abissi del dubbio e l’assoluto.


La mia paura è grande ma ho il coraggio
di esistere. Soltanto in me è l’errore
del giorno e della notte. Il tramonto è leggero
come una carezza. e il giorno nella notte
si trasforma. Di questo genere del mondo
che è l’esser vero l’inconsapevolezza
giovanile fa nascere qualcosa che
soltanto l’amore della ragione conduce
ad esser vero. Anche di questo eterno
errore sono prodighi gli attimi
fuggitivi, le origini e la fine.


Da Cuore, Rotundo, 1987

mercoledì 4 aprile 2012

Lucianna Argentino


MI COGLIE DI SORPRESA IL LENTO RITRARSI DELLE COSE




Mi coglie di sorpresa il lento ritrarsi delle cose
alla strenua avanzata degli anni
il perdere di sapienza del corpo
per cui preparo un’intimità più attenta
che riconcili i gesti con l’assenza
e tengo per mano la fede mentre negozia la pace
con la realtà dei fatti.




Da Diario inverso, Manni, 2006

lunedì 2 aprile 2012

Attilio Zanichelli


CITTÀ ADDORMENTATA


Avevo precisato, nell’andarmene in città,
io che vivo quasi alla periferia, tramite il fresco
che proviene dal fiume che è una sottospecie
in cui errano più cose insolite che chiarezza,
che non avrei più avuto il suo vuoto riflesso.


La routine di sempre, in fronte, come un letale
numero abbrunente il viso segnato dalla stanchezza
avrebbero disperso anche l’eco dell’acqua,
la metàfora della sua luce fredda, come un antico
salvacondotto, per estrarsi dal flusso.


Pure mi rammento di tante cose. Una siepe operaia
aveva invaso le strade e le finestre stregate chiudevano
alla presenza delle ossa nella città i loro occhi,
qualche luce gradita serbava le sue fiamme, tinte
di rosso, che il vento del fiume serpeggiando portava.


Ora il mio viso si sposa a rimasticare rovine.
So di trovare un bordo ed è come un appello del sangue.
So di pensare a tante cose nell’inverno che rinviene
quando la calce crolla dal muro ed è sotto
il gelo la spoglia primavera di sempre che grida.




Da Una cosa sublime, Einaudi, 1982