venerdì 31 marzo 2017

Carlo Alberto Parmeggiani


PSEUDO SAFFO

*

“Domani piove…” dicesti all’imbrunire
di leggerezza vestendo le parole:
quelle parole che non hanno di che dire
se non che altre assai meno leggere
è auspicabile tacere.

*

L’ovale dello specchio porta un raggio
del sole che lo guarda fra gli scuri
in cerca di chissà quale mio aspetto
su cui potere fare lo smargiasso.

Non è giornata oggi come ieri
di amicizie e impensabile vigore.
Latona e Niobe si odiano fra loro
e l’orribile mostro a cui ho dato amore
illividisce il giorno anche con il sole.

Dalla parte più buia dello specchio
mi disperdo in inutili parole
per chi mi è più dentro nel cuore
e più sa farmi male.

*

Come polvere sul biondo grano
che s’adagia fra le pieghe delle vesti,
dentro me posa un rovello
in questa calda estate senza baci,
nella festa impavesata di illusioni
se gioie e canti li favorisce Apollo.

Ordunque prendi
la lira e cantami di lei.
Spasima e scalpita il mio cuore
e se in lei non trova quiete
nemmeno la mia fama,
almeno tu ridagliela alle note
del tuo canto che esorto a viva voce.

L’incanto della sua età
è ancora a mio favore,
in lei c’è ancora la mia estate
e fretta è in me di cingere col braccio
la sua verginità
e le sue movenze delicate.

Prendi la lira ordunque
e dammi pace
prima che giunga l’autunno e me ne accorga.

da Ventotto frammenti (di anonimi lirici greci), inediti



mercoledì 29 marzo 2017

Carlo Attilio Rossi

LUCIA

Dov’è il padre della notte o dell’eco che non veste
l’aria e si trucca col buio per ascoltare il sonno
dov’è un padre che ti protegga dai secoli che                                                                                 passano
avidi del tuo profumo? E’ la forbice del freddo                                                                              cieco
che ti taglia il vestito, ma ti offre ai passi leggeri
sulla carta del confine che vorrei incollare al                                                                                 piacere
dei libri già letti, accarezzando la testa o                                                                          toccando l’erba…

Un boulevard che non c’è più allunga le vie al                                                                                        letto
e muove un film di lontananze sulle pareti                                                                                      notturne
un cielo che ti avvolge con la sera a forma di                                                                                     guanto
senza i soffi delle trombe , vuoto sul capo dei                                                                                   caduti.

Continua la memoria di un sax nel silenzio arato
da un volo d’ali nere, forse dita per te o quaderni
di un pittore con gli occhi nel nido del paese
per tutta la notte, passata all’alba con il treno
che l’ombra ritrae dal mare con le ruote arse
per nuova luce sulle vie sorprese ancora ferme.

La primavera ha lanciato sul tuo collo da cigno
di bambina con zucchero nel sangue bianco
un temporale che ti ha tagliato le vene e il                                                                                   pensiero
di Parigi illuminata prima di un viaggio… così                                                                          leggera
e colma di foglie senza patria, cercavi la musica
e l’hai trovata, senza il tuo corpo. E la morte che                                                                        ti spiava
ha avuto paura, vento e neve sul viso, per                                                                                     fermarla.

(inedita)


lunedì 27 marzo 2017

Alberto Manzoli

MONOLOGO DI GIACOMO CASANOVA

I ragazzi che si baciano in strada
gettano ombre lunghe attorno attorno,
come se fossero di luce e d’aria
e il mondo, e tutto ciò che non è loro,
una matassa oscura e rassegnata.
Bisognerebbe potere morire,
quando si è così esausti e felici,
e a conti fatti, e fatto l’appello,
non mancherebbe niente alla tua vita,
se non le arti in cui eccellono i vecchi:
vuoto rimpianto, maldicenza e invidia
spacciate per saggezza a buon mercato.
Me ne frego della saggezza, la mia
e quella di chiunque altro, taccia,
lasci parlare i cuori balbettanti
che scrivono scemenze sopra i muri,
e in quel confuso delirio ritrovi
la verità che non fu mai trovata,
quella che rinneghiamo appena svegli.

Io delle donne ho amato solo il corpo,
e il sogno che ti accendono nel cuore;
il resto è inconoscibile palude,
ad altri la scienza di navigarla.
Ho amato il mio sogno, semplice e buono,
e a quel fachiro trafitto di chiodi,
ai goffi cieli di stucco e agli sgorbi
appesi nelle chiese ho preferito
lo sconfinato oriente della carne,
il nodo stretto in cui muori e rinasci
come il serpente quando cambia pelle.
Mille mani di donna hanno cucito
per me la più splendida delle vesti,
e io come un sovrano l’ho portata,
con cuore incredulo e riconoscente.
Ma se la giovinezza è solo questo,
perenne amare i sensi e non pentirsi,
i ragazzi che si baciano in strada
mi tengano come uno di loro,
anche se mi vergogno, e mi allontano
per non dare fastidio, silenzioso,
col bastone che batte il mio passo,
e il pentolino del latte che suona.


(inedita)

venerdì 24 marzo 2017

Francisco de Quevedo

A ROMA SEPOLTA NELLE SUE ROVINE

In Roma cerchi Roma, o pellegrino,
e proprio in Roma Roma non ritrovi;
le vantate muraglie, morti covi
sono, e di sé sepolcro l’Aventino.

Giace, dove regnava, il Palatino;
son limate dal tempo le medaglie;
sembrano più macerie di battaglie
degli evi, che blasone del latino.

Solo è restato il Tevere, corrente
che bagnò la città: or sepoltura,
la piange con funesto suon dolente.

Roma, da quella gloria così pura
fuggì ciò ch’era saldo e solamente
il fuggevole ormai permane e dura.


Traduzione di Vittorio Bodini

da Sonetti amorosi e morali, Einaudi, 1965

mercoledì 22 marzo 2017

Francisco de Quevedo

A DUE BEGLI OCCHI CHE VIDE ALL’IMBRUNIRE
(un sonetto italiano di Quevedo)

Diviso il sole partoriva il giorno,
languido nella tomba d’occidente;
risorse dal sepolchro il lume ardente
di bionde stelle coronato intorno.

Era di maestà imperiosa adorno
il mio signor, che co ’l pensier cocente
la mia vita depreda egra, giacente,
per far incenerir il suo soggiorno.

La vita che diè al giorno, a me la tolse,
prodiga a lui di luce ed a me avara,
donna la amai, e riverila dea.

Ligommi il core il biondo crin, che sciolse,
che dal suo sguardo ad esser crudo impara,
e vidi fulminante Citherea.


da Sonetti amorosi e morali, Einaudi, 1965


lunedì 20 marzo 2017

Francisco de Quevedo

COMUNICAZIONE DI AMORE INVISIBILE
ATTRAVERSO GLI OCCHI

                                                                        (a R.)

Se le palpebre mie fossero labbra,
darei baci coi raggi visuali
dei miei occhi, che aquile reali
mirano il sole, e sempre bacerebbero.

Le tue bellezze, idropici, berrebbero
e cristalli, assetati di cristalli;
con luci e con incendi celestiali
la morte alimentando, essi vivrebbero.

Rapiti in non visibile commercio,
godrei nudi del corpo i tuoi favori
con ogni facoltà, con ogni senso.

Muti si cercherebbero gli ardori:
e uniti, stando soli, si vedrebbero
o in pubblico segreti i nostri amori.

Traduzione di Vittorio Bodini

da Sonetti amorosi e morali, Einaudi, 1965




venerdì 17 marzo 2017

Scipione

ESTATE

La terra è secca, ha sete
e si spacca.
Sui labbri dei crepacci
le lucertole arroventate
corrono in fiamme.

Le stelle cadono accese
per bruciare il mondo
ma nessuno tende le mani per abbracciarle
e si smorzano, tuffandosi nel buio.

La carne cerca nelle carni
   le sorgenti
e trova gli occhi
che si schiudono come fiori.

da Le civette gridano, a cura di Paolo Mauri, Edizioni della cometa, 2004


mercoledì 15 marzo 2017

Francesco Tentori

DUE ANNI

Vita che rigermoglia…
                                            Lo sguardo
dove la luce e l’ombra si avvicendano
riflette il mondo, specchio cui la mano si tende
e vuole, oltre l’immagine, afferrare
il più intimo, il cuore delle cose.
Tenta i suoi acuti la voce, ritorna
fatta eco a se stessa, si ascolta,
si confronta coi suoni rintoccanti
all’udito che riconosce e nomina.
Maldestro ma deciso il passo ondeggia,
si avventura nel bosco dell’età.


da Il segreto degli specchi, Biblioteca di Ciminiera, 2005

lunedì 13 marzo 2017

Corrado Govoni

GOVONILAMPI

*

nel riverbero pazzo
una muta diabolica risata
subito accesa, subito sfogliata:
papaveri, papaveri, papaveri!

*

arrampicarmi per la tua nudità
coi polpastrelli della lucertola sul muro
caldo dell’orto bianco di calcina
            corpo di biancospini

*

ci pensa il vento inquieto a rimboccare
il lenzuolo di sonno della luna

*

il vento indaffarato come un servo



da Govonilampi, a cura di Pietro Cimatti, Edizioni della cometa, 1981

venerdì 10 marzo 2017

Jean de Sponde

NO, UNA FIAMMA COSÌ NON LA NASCONDO

No, una fiamma così non la nascondo
e voglio, a testimone voglio il mondo
intero, gli intimi gli estranei: dite
voi: esiste un amante più fedele?
Gli umori segreti in segreto soffiano
all’orecchio, gli ipocriti, il loro biasimo
perch’io mi affanno a farne tanto conto
mentre quelli che fanno? nascondono.
Qui differiamo: in me sono in vista, aperti
i moti del cuore – cuori aperti
i loro – e a ragione, indegni come sono.
Io non posso arrossire: il mio amore è degno
e bello, e più va oltre gli altri amori
più assiduamente è giusto che lo ami.

Traduzione di Gianfranco Palmery


da Versi d’amore e di morte, Il Labirinto, 2007

mercoledì 8 marzo 2017

Maurice Scève

DUE  DIZAIN

*

La bellezza, che fece bello il Mondo
Quand’ella nacque in cui morendo vivo,
Impresse nelle mie luci rotonde
Non solamente i lineamenti vivi:
Ma tanto tiene i miei spirti rapiti,
Mirando sì mirabil meraviglia,
Che, quasi morto, sua Deità mi sveglia.
In chiarità di funebri desiri,
E più m’accende, e più (che mi strabilia)
in tenebre profonde m’inabissa.

*

Come Ecate tu mi farai errare
E vivo, e morto cent’anni fra le Ombre:
Come Diana in cielo ritirare,
Donde scendesti nel mortale ingombro:
Come regnante sulle infernali ombre
Accorcerai, o allungherai mie pene.
   Ma come Luna infusa alle mie vene
Quella tu fosti, sei, sarai DÉLIE,
Che amore ha avvinto ai miei pensieri vani
Forte, tanto che non la slega Morte.

Traduzione di Diana Grange Fiori


da Délie, oggetto d’altissima virtù, Einaudi, 1975

lunedì 6 marzo 2017

Juan Ruiz

TU SEI BELLA E BEN FATTA, UN PRODIGIO

Tu sei bella e ben fatta, un prodigio
che non avevo meritato
e troppo tardi ho conosciuto.

Chi ti avrà dopo di me,
quando non ci sarò più?
Chi ti darà lo stesso fuoco?
Quale uomo
si piegherà sulla tua carne
e il suo patire,
farà libero il tuo corpo?

Sarà questo il mio cordoglio
per tutti i giorni e gli anni
vissuti senza averti avuta,
per gli anni che mi resteranno
dopo averti perduta.

(inedita)

Traduzione dell'autore






venerdì 3 marzo 2017

Ezra Pound

ERAT HORA

«Grazie, qualunque cosa avvenga». E volta,
Come sui fiori penduli la luce
Sfiorisce quando un vento li solleva,
Se n’andava da me. Qualunque cosa
Avvenga, un’ora fu piena di sole
E nulla un dio di meglio può vantare
D’avere atteso che quell’ora passi.

Traduzione di Leone Traverso


da Opere scelte, Meridiani Mondadori, 1970

mercoledì 1 marzo 2017

IL MADRIGALE

3 - Michelangelo Buonarroti


*

Te sola del mio mal contenta veggio
né d’altro ti richieggio amarti tanto;
non è la pace tua senza il mio pianto,
e la mia morte a te non è il mio peggio.
Che s’io colmo e pareggio
il cor di doglia alla tua voglia altera
per fuggir questa vita,
qual dispietata aita
m’ancide e strazia e non vuol più ch’io pera?
Perché ’l morire è corto
a’ ’l lungo andar di tua crudeltà fera,
ma chi patisce a torto,
non men pietà che gran iustizia spera.
Così l’alma sincera
serve e sopporta e, quando che sia poi,
spera non quel che puoi:
che ’l premio del martir non è fra noi.


*

Quantunque ’l tempo ne costringa e sproni
ogni or con maggior guerra
a rendere alla terra
le membra afflitt’e stanche e pellegrine,
non à però ’ncor fine
chi l’alma attrista e me fa così lieto.
Né par che men’ perdoni
a chi ’l cor m’apre e serra
nell’ore più vicine
e più dubbiose d’altro viver quieto;
che l’error consueto,
com’ più m’attempo, ogni or più si fa forte.
O dura mia più c’altra crudel sorte!
Tardi oramai può tormi tanti affanni:
c’un cor che arde e arso è già molt’anni,
torna, se ben l’ammorza la ragione,
non più già cor, ma cenere e carbone.

*

Mentre c’al tempo la mia vita fugge,
amor più mi distrugge
né mi perdona un’ora,
com’i’ credetti già dopo molt’anni.
L’alma, che trema e rugge,
com’uom c’a torto mora,
di me si duol de’ sua eterni danni.
Fra ’il timore e gl’inganni
d’amor e morte allor tal dubbio sento,
ch’i’ cerco in un momento
del me’ di loro e di poi il peggio piglio;
sì dal mal’uso è vinto il buon consiglio.