lunedì 15 gennaio 2024

Francesco Dalessandro

 I CORMORANI

 

                                          a Gino Scartaghiande

 

Né fresco né molle è più il fiume

antico dei padri ma solo

un’immonda cloaca –

                                         l’incerta

schiarita radure azzurre ci aveva

donate ma s’erano presto richiuse:

con la scia di un jet

militare con l’ultimo gabbiano

anche il giorno svaniva

verso il mare 

                          sull’acqua

torbida e scura alcuni cormorani

pescavano –

                        io non ne avevo

mai visti: mi sono fermato

a osservarli ammirandone il nero

piumaggio brillare nell’aria

fredda all’ultima luce e l’eleganza

naturale nel nuoto: si tuffavano

rapidi giù sparivano contro-

corrente nei gorghi sott’acqua

per un tempo interminabile

poi tornavano a galla risalivano

a riprendere fiato riaffioravano

per rituffarsi ancora

non sazi –

                    osservandoli (altri

passanti curiosi s’erano fermati

a guardare sporgendosi

sulla corrente) ho pensato

a uccelli di terra e di mare

forti e belli come loro che i poeti

hanno cantato, all’upupa

calunniata da Foscolo al passero

solitario di Leopardi all’usignolo

di Keats all’allodola di Shelley

all’albatro di Baudelaire al canarino

di Saba e a tutti gli altri celebrati

nei versi –

                    poi mi sono ricordato

del cormorano del Golfo, le penne

ingrommate di petrolio…

 

2.2.1996

da La Salvezza, Il Labirinto, 2006


Mi piace ripubblicare questa mia vecchia poesia, che piacque molto, a suo tempo, a un poeta amico, anche in polemica con coloro che credono - e lo sento ormai ripetere da troppi – che non si possano più mettere in una poesia rondini, gabbiani e altri uccelli. Mi dispiace per loro, ma io ho avuto ed ho ancora bisogno di rondini, gabbiani e altri uccelli, qui come altrove, nella mia poesia.

 

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