I CORMORANI
a Gino Scartaghiande
Né fresco né molle è più il fiume
antico dei padri ma solo
un’immonda cloaca –
l’incerta
schiarita radure azzurre ci aveva
donate ma s’erano presto richiuse:
con la scia di un jet
militare con l’ultimo gabbiano
anche il giorno svaniva
verso il mare
–
sull’acqua
torbida e scura alcuni cormorani
pescavano –
io non ne avevo
mai visti: mi sono fermato
a osservarli ammirandone il nero
piumaggio brillare nell’aria
fredda all’ultima luce e l’eleganza
naturale nel nuoto: si tuffavano
rapidi giù sparivano contro-
corrente nei gorghi sott’acqua
per un tempo interminabile
poi tornavano a galla risalivano
a riprendere fiato riaffioravano
per rituffarsi ancora
non sazi –
osservandoli (altri
passanti curiosi s’erano fermati
a guardare sporgendosi
sulla corrente) ho pensato
a uccelli di terra e di mare
forti e belli come loro che i poeti
hanno cantato, all’upupa
calunniata da Foscolo al passero
solitario di Leopardi all’usignolo
di Keats all’allodola di Shelley
all’albatro di Baudelaire al canarino
di Saba e a tutti gli altri celebrati
nei versi –
poi mi sono ricordato
del cormorano del Golfo, le penne
ingrommate di petrolio…
2.2.1996
da La Salvezza, Il Labirinto, 2006
Mi piace ripubblicare questa mia vecchia poesia, che piacque molto, a suo tempo, a un poeta amico, anche in polemica con coloro che credono - e lo sento ormai ripetere da troppi – che non si possano più mettere in una poesia rondini, gabbiani e altri uccelli. Mi dispiace per loro, ma io ho avuto ed ho ancora bisogno di rondini, gabbiani e altri uccelli, qui come altrove, nella mia poesia.
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