venerdì 26 aprile 2013

Alessandro Peregalli


L’ISOLA

Il cielo a vortici lenti azzurri affondava nel cosmo,
gli alberi, come grandi piume, salivano sulla sinistra,
dietro di noi la casa custodiva compatta i segreti degli uomini
e davanti il paesaggio aperto lontano tra pioppi tremanti e roseti.
Il signore del luogo era biondo, superbo e delicato,
esprimeva il suo pensiero con grazia e fermezza interiore;
i suoi ospiti erano più dinamici: i loro pensieri sciamavano
                                                                              / intorno,
toccavano gli alberi, la casa, le arnie, i fiori, il muro di cinta
e tornavano al piccolo gruppo riunito sotto il cielo profondo.
“Che fare?” Era la domanda, comune in questo tempo
                                                                              / enigmatico.
“Io resto qui” rispondeva il signore del luogo con sorridente 
                                                                              / fermezza.
“Qui ho tutto: natura, calore, universo. Come una casa sul mare,
così da quest’ultima sponda
d’alberi m’affaccio al cielo profondo e alle stelle:
la terra, il cielo e le stelle, due occhi per ammirarle,
e dietro la casa, la casa con tutta la vita,
la mia vita di figlio, di uomo, la vita dei vecchi
che furono prima di me, i grandi fantasmi
del passato; aleggiano dentro discorsi,
amore, passioni e grida festose infantili”.
“Un mondo che non c’è più” diceva l’amica psicologa,
allegra mutevole chiara come onda marina.
“Tu resti legato al passato, non senti la spinta potente
verso il futuro”. “II passato è quello che ho.
Solo esso commuove!” E accompagnava la frase
con gesto gentile, quasi schermendosi. Intanto il marito
della psicologa, teorico, acuto, marxista, generoso e irruento,
esclamava: “Tu devi, come noi, costruire un mondo più giusto!”
“Ma il mondo non sarà mai giusto” diceva il poeta.
“È un’entità naturale. I rapporti tra gli uomini
sono come quelli tra gli alberi e gli animali.
La vita fluisce densa nella natura e trasforma
le cose viventi senza gli schemi precisi
che voi credete d’imporre. Piuttosto diciamo che vita
è anche futuro, speranza, che non possiamo restare
immobili, fermi ad adorare il passato
per bello che sia. Certo il passato
è l’unico aspetto del mondo su cui ci par di contare
con sicurezza, è l’unico riferimento
da cui partire per vivere la nostra autentica vita”.

A questo punto il discorso aveva preso una forma
visibile, plastica: il padrone di casa
sedeva con aria sognante con tutta la casa
alle sue spalle, come una grande anima,
una nube altissima, la grande madre celeste
(ma anche la madre nera, divoratrice, la dea della morte
che lo attirava tra le sue mura). L’amica psicologa andava
dall’uno e dall’altro, guardava negli occhi, alzava
il volto ad ognuno con la sua mano e tornava
irresoluta a sedersi pensando: “La vita non è
sogno”. Il marito di lei tracciava
grandi schemi seduto a una scrivania, concentrato
con piglio da grande tiranno, tracciava ostinato gli schemi
delle battaglie future, tremende pel genere umano.
Il poeta camminava in giardino, vedeva la casa
e vedeva le stelle perdute nel fondo del cielo,
sapeva la vita composta da più risonanze
che vanno e vengono, s’urtano e si rifrangono,
come le onde nel grande respiro del mare,
tra il cielo e la terra, le stelle più alte e lontane
e i cuori degli uomini che vanno per i sentieri di vita
in mezzo alle rocce, alle piante e agli animali che corrono;
lo stesso nel tempo: sospesi tra antico e futuro.
Amare il passato, ma anche amare la vita,
la donna giovane e bella, la luce della speranza.
Sperare in un mondo migliore, per me o per chicchessia,
per uno solo o per molti, speranza
da vivere dentro di noi e porgere altrui con amore.

Due altre in gruppo con noi: la padrona di casa
andava e veniva, porgeva rinfreschi ai suoi ospiti,
chiedeva notizie sul loro stato di grazia
e i desideri, rideva, era una calda presenza
che interveniva con quanto di giusto nel giusto momento.
L’altra, sposa al poeta, era la razionalità pura,
l’asta diritta d’un orologio solare,
l’aspetto austero del mondo, anche se sapeva ridere, gli schemi
                                                                               / precisi
di geometria applicati al predire la vita,
al prevedere in ogni dettaglio le azioni degli uomini
come la posizione d’un astro nel cielo stellato.
Ma, sotto l’azione e il rigore, coperti non c’erano fiumi
di caldo vigore terrestre, non c’erano sensi profondi
che scintillavano appena attraverso la cenere
come le stelle punteggiano appena lo spazio profondo?
Non lo sappiamo. Entrambe restarono mute
nel grande discorso sull’isola tesa allo spazio.
Parlavano, agivano. Ma entrambe rimasero assorte.

Da La cronaca. Poema 1939-1982, il Saggiatore, 2003

1 commento:

  1. che bella poesia! e un altro grande poeta dimenticato...

    RispondiElimina