venerdì 29 novembre 2024

Eloy Sánchez Rosillo

 PARIDE E ELENA

(Iliade, III)

 

Non riesco ancora a credere al prodigio che accadde.

Vidi la morte in faccia, in quegli occhi terribili. M’aveva

atterrato di colpo e steso al suolo ero alla sua mercè,

impaurito, aspettando che il bronzo della lancia

m’affondasse nel collo. Mi sentii perso e credetti arrivata

l’ora in cui sarei morto come un cane davanti

al grande Menelao, l’implacabile atride. Ma ebbi invece

la fortuna incredibile che in quell’ultimo istante

pietosa accorse a salvarmi Afrodite. La dea dal dolce

sorriso avvolse il mio corpo con un’oscura nebbia  

in modo da evitare che quell’uomo funesto scaricasse

addosso a me la sua furia omicida. Sulle braccia

protettive mi trasse per l’aria fino a Troia,

la mia città, e lì, dolcemente, mi depose sul letto

fresco e soffice accanto a Elena. Nella battaglia d’amore

subito s’impegnarono i nostri corpi e come allora mai,

lo giuro, il desiderio accese in noi un fuoco tanto vivo.

 

Mentre qui giaccio, i guerrieri troiani

proseguono instancabili la lotta senza fine con gli achei;

il fragore delle armi ne ascolto e le orribili grida

degli uomini morenti. Sembra eterna la guerra.

Dura già da nove anni; ebbe, lo sanno tutti, la sua origine  

nei fatti che riguardano proprio me: il rapimento

che un giorno io tramai di Elena, la più bella,

l’amatissima moglie di Menelao di Sparta.

Non lo nego, tradii il monarca magnanimo e clemente

e che con grandi onori m’aveva accolto a corte.

No, non seppi né volli negarmi al fascino indicibile

della giovane sposa. Fu tutt’uno il vederla e l’arrendermi

ai suoi occhi, che subito impararono a guardarsi

nei miei con il mio stesso abbandono. È così

sempre: l’amore non tarda a possedere chi vuole servirlo.

 

Poi, la fuga. Giungemmo, dopo un viaggio difficile,

alla ben costruita città del padre mio, Priamo il re,  

la bellissima Troia e di lì a poco ebbe inizio

questa guerra cruenta, perché io non accettai

che Elena tornasse in patria, come i nobili achei

pretendevano, giunti fino a qui con gli eserciti  

per riscattarla. Con ciò m’attirai non solo l’odio

e il disprezzo dei popoli riuniti d’Acaia,

ma anche la ripugnanza degli stessi troiani;

che, sebbene al momento, come me, conquistati

da Elena, s’opposero tutti, ostinati, con fermezza

maggiore della mia, a lasciarla partire con i suoi,

vedono in me la causa del dolore e dei mali

atroci provocati dalla guerra. Pensano tutti che

sono solo un codardo, un presuntuoso seduttore,

che si spaventa a battersi come un uomo, capace

solo delle battaglie amorose con le donne.

Non tutto quel che dicono di me è vero, ma certo

non sono qualità di guerriero che prevalgono in me.

 

So che Ilio dovrà essere distrutta: le sue mura

e le torri cadranno; case e palazzi saccheggiati

e fino all’ultimo incendiati. Impietose, le Parche

meditano a ogni troiano una morte spaventosa.

Non era in mio potere impedire che il popolo soffrisse,

con eroica fermezza, disgrazie come queste.

Non sono io il colpevole, sebbene gli uni e gli altri

lo credano. Non gli uomini decidono del loro

destino; solo gli dèi eterni e capricciosi stabiliscono il corso

della nostra esistenza. E Afrodite, la dèa di belle forme,

dispose, per me ed Elena, fin dalla prima volta  

che ci vedemmo a Sparta, che sfolgorasse in noi

l’amore che ci fece creature luminose, estranee a tutto

che non fosse l’affanno e la fatica dolce di amarsi.

No, io lo so, non è nostra la colpa; ché tramarono

i cieli quest’amore e questa guerra.

                                                           

                                                                  Ancora s’ode

lo strepito orribile degli uomini che senza tregua combattono

nell’immensa pianura innanzi a Troia. Nel letto,

al mio fianco c’è Elena. S’è appena addormentata.

Dopo l’amore, il sonno s’è posato sui suoi occhi. Ora devo

vestire ancora le armi per tornare in battaglia. Là mi aspettano.


Traduzione di Francesco Dalessandro

da La vida, Tusquets Editores, 1996 



mercoledì 27 novembre 2024

Elio Pecora

 VOCI


S'udì, da qualche parte, un avviso,

come un pianto.

Di che? - i più accorti si chiesero - 

Per quale sbando?

Seguirono troppe ipotesi,

tante che fu opportuno

rinviare il dilemma.

(Era una fine, un inizio,

lo stemma

di una sciagura sviata?)

Ciascuno tornò sui suoi passi

con un altro assillo,

nel cuore malfermo un rigo

d'ansia, un grido costretto,

forse un sigillo.


Roma, 1 febbraio 2020


da L'avventura di restare, Crocetti Editore

lunedì 25 novembre 2024

Eloy Sánchez Rosillo

AL MATTINO                

 

Risvegliarsi un bel giorno per scoprire

che la cupa minaccia che la morte

per tanto tempo mise nella nostra

vita ora non ci fissa più negli occhi,

coi suoi occhi terribili.

                                          Che accade?

Da dove nasce in casa mia un silenzio

così puro e una quiete fino ad ora

dimenticata? Chi ha aperto il balcone 

e vi ha posato un vaso di gerani? 

E lentamente entra davvero il sole 

nella stanza e accarezza questa sedia, 

il pavimento, le mani, la testa, 

il petto grato, il mio cuore che canta?


Traduzione di Francesco Dalessandro


Da Las cosas como fueron, Tusquets Editores, 2018


venerdì 22 novembre 2024

Mauro Ferrari

 ULTERIORI NOTIZIE DI ULISSE


"Tu lo ricordi il pastore,

Ulisse l'astuto amava definirsi,

guerriero di terza fila

che vantava qualche dio fra gli antenati

- come tutti noi, del resto -

e un regno a cui tornare?

E quelle voci, poi,

da lui create ad arte

di imprese improbabili,

di mostri e lutti atroci?


Ridevamo alle sue storie,

riempiendogli il bicchiere

e dandoci di gomito...

Adesso dicono che abbia attraversato il mare

per una terra in cui qualcuno

potesse dargli un nome e un luogo;

persi i compagni, rimasto solo e nudo

con sogni morti, ed aggrappato

a una menzogna ripetuta all'infinito

- Sono Nessuno, come tutti -

ad ogni passo più vischiosamente vera


mentre lui s'incamminava scalzo

verso il miraggio della sua Penelope."


da Seracchi e morene, Passigli, 2024



mercoledì 20 novembre 2024

Eloy Sánchez Rosillo

 ANCORA LA POESIA      

 

Era da tempo ormai che la mia mano

non scriveva più versi e mi dicevo

spesso:

              “Può darsi che non tornerai

più a scriverne; magari la poesia

non vuole appartenerti o accompagnarti, 

né donarti il fervore che rendeva 

bella la vita; a volte è immeritato

ardere in questo fuoco, pronunciare 

le parole che i cieli concedono a chi è degno 

di celebrare le cose del mondo 

e averne sulle labbra il sentimento”. 

                Spesso m’accompagnava 

questo pensiero nell’inquieto andare 

solo come un proscritto nella notte

che non regge più il peso della colpa 

né il dolore d’esser stato scagliato 

nell’ombra da un mandato 

severo ed implacabile.

 

E guardando quegli alberi che crescono

in una vecchia piazza della città in cui vivo,

il volo di un uccello ed i fulgori

misteriosi di un corpo che s’abbandona sento 

che la parola non ha più il potere

di riversare sulla carta bianca

la grazia ed il tremore della vita.

 

Pure infine stasera, d’improvviso,

mentre il sole già stanco se ne andava

e non immaginavo d’esser chiamato ancora,

ho sentito una voce che diceva:

 

“Prendi la penna, scrivi”.


Traduzione di Francesco Dalessandro


Da Las cosas como fueron, Tusquets Editores, 2018

lunedì 18 novembre 2024

Marco Vitale

da PAUL-JEAN TOULET


Oh, mio dolore

Tenero rovello

Venere in fiore

Dall'empio cuore


Dal culo bello


da La strada di Morandi, Passigli Poesia, 2024



venerdì 15 novembre 2024

Francesco Dalessandro

 CANZONETTA MORTALE

 (W. B. Yeats)

 


Finché ci arse il fuoco

non importò sapere

se era maschera o volto

riflesso nello specchio

 

però quando nel gelo

morì l’ardente cuore

la mente ne fu vinta

si ravvivò il dolore

 

mercoledì 13 novembre 2024

Lucianna Argentino

 SCORAGGIAVANO LA NOIA


Scoraggiavano la noia in quel passaggio di tempo artefatto - arrese le spalle di agosto all'afa, un poco respinta dalle persiane accostate. In penombra corpi e pensieri - nudi entrambi come le voci di bambini che salivano dal cortile e d'aria fresca riempivano la stanza. E loro lì ad aspettare, a sperare nell'abbraccio leggero di chi crede nell'attimo e nell'attimo adagia il suo domani. Sciolte sotto la lingua le parole, a poco a poco, si dissolvevano naufraghe com'erano, aggrappate a relitti di passate pronunce. Davanti alla loro fallita bellezza, l'intimità occhieggiava esclusa, né l'invitarono a entrare convinti bastasse quell'abbraccio. Scarna, dal soffitto, la lampadina era l'occhio delle cose e lo specchio macchiato dall'incostanza li guardava li guardava perplesso; la libreria di profilo ostentava indifferenza; l'armadio, piccolo, ma severo sospirava. La camicia azzurra di lui impaziente e languida abbracciata alla sedia; il vestito nero di lei malinconico e fiero adagiato sul tavolo accanto ai libri; le scarpe quiete sul pavimento; la foto audace di Helmut Newton sul retro della porta. E lei nel letto tra lui e la parete, cercava di smentire la sua fede diluendola col fiato del dubbio poiché sentiva che la profondità che lui cercava era oltre la moltitudine che lui soltanto sfiorava.


da Corpo di fondo, peQuod, 2024



lunedì 11 novembre 2024

Marco Vitale

 LA BIANCA NEVE

da Guillaume Apollinaire

 

Gli angeli gli angeli nel cielo

Uno è vestito da ufficiale

Uno è vestito da cuoco

E gli altri cantano

 

Bell’ufficiale dal color del cielo

Dopo Natale a lungo la dolce primavera

D’un bel sole decorerà il tuo petto

    D’un bel sole

 

Il cuoco spenna le oche

    Ah! Nevica

    Nevica e non ho io

Qui tra le braccia l’amor mio

 

Da La strada di Morandi, Passigli Poesia, 2024

venerdì 8 novembre 2024

Francesco Dalessandro

 LA POESIA 

 

                                            a Roberto Pagan

 

                    E la Poesia? No, per me non ha gioie

                          dolci come un meriggio sonnolento

                                                        o sere colme del miele dell’indolenza.

John Keats, Ode sull’Indolenza

 

 

Te beato – gli scrivo – che confini

i versi nel cassetto e alla poesia

destini solo i resti della cena

e le concedi appena un’ora d’aria

ogni sera, beato se ti lecca

la mano con la quale la bastoni

invece io non riesco

a farmi una ragione della rabbia

con cui cerca di mordermi

se solo provo a farle una carezza

 

Non è più la poesia che può salvarti

la vita – mi risponde – non è più

la parola il tuo balsamo, hai smarrita

l’ironia la tua voce

s’è arrochita non resta che il silenzio

 

 

 

 

mercoledì 6 novembre 2024

Gian Mario Villalta

 SONO LIBRI DIFFICILI


                                                        vacillano le scale dell'inverno

                                                                                                A. Z.


Sono libri difficili, pagine oscure, ma non vuoi che ti basti

vivere con il pasto che aspetta coperto da un piatto

dopo la scuola, un futuro migliore di speranze non tue.

Viene luce più tardi. Il cielo rimena

macerie. L'erba è stremata. Tu non capisci tutto

ma sei sicuro che capiscono te

le parole che un uomo ha scritto e ti immagini

la sua vita, con quei pensieri, la pianura

e la città di ferro che ordina in cerchio l'inverno,

luce che piove amara, uno lo ferma per strada

vicino all'erba, ai container, parlano di quelle cose.


da Dove sono gli anni, Garzanti, 2022



lunedì 4 novembre 2024

Marco Vitale

 È UNA SOLA, IN RITARDO


È una sola, in ritardo

segue un piccolo scarto e pare incredula

come chi la osserva, l’ala

si fa di colpo trasparente

ma è appena un passo

scrupoloso di danza uno di più

mentre ritrova

la consegna del nero, l’eleganza

veloce di grafia per una pagina

 

che ha luce di mattino e non si perde

 

da La strada di Morandi, Passigli Poesia, 2024

venerdì 1 novembre 2024

Francesco Dalessandro

 NEL GIORNO DEI MORTI

                                     2 novembre 1991



Nel mese più stanco, nel giorno

dei morti – è già un mese

che manchi – giorno freddo

e assolato come allora

sul crinale dei monti sul rame

del bosco sui tetti sull’erba

delle siepi sui bordi

della strada dove ora si scioglie

la brina notturna «è il respiro

dei morti» quella voce

inconoscibile fra tante

«è il fiato perso dei cari

morti: hanno freddo e il loro

fiato gela…»

 

                      È quella voce

flebile più del vento fra le piante

e i muri a chiarirmi quanta vita

e quanta morte sono state

necessarie ai sentimenti

e che fuoco può perderci tutti

o affinare i nostri sensi nel lento

maturare dei giorni, ma a te

la coscienza (o forse l’anima, se

potessimo crederlo) a te parla

sotto il sole scegliendo

come il corvo tra i frutti avvelenati 

dalle piogge d’autunno le parole

non dette, le vere…

                                            

                               «Perché,

se fu come il saluto a chi parte

per un viaggio in paesi lontani,

se fu solo per questo che tutti

tutti ci unimmo nel mattino

assolato di ottobre, se il pianto

era giusto e dovuto a te uscito

dai nostri giorni, perché  

come fosse una colpa io perché

sentivo quel muto lasciarti

andare?

             Non c’era più tempo –

per me che pensavo di avere

tutto il tempo – per dirti

il bene taciuto le segrete amarezze

di una muta adolescenza

senza voce e senza ascolto

né amore o della timida ricerca

del suo suono…

                           Perché

non restavano che le parole

non dette l’ascolto mancato

della voce il non dire l’abbandono

del vero nel silenzio

                                o non fu

il tuo riserbo di padre

e d’uomo nato al dovere nell’avara

solitudine di questa terra

senza abbandoni?

 

                              Se è vera

l’immagine dell’inquietudine

e oscura, che ne è del-

l’orgoglio ferito ma vivo

che accompagna questi anni

e li consola? che mai

ne sarà ti domando sì che

ne sarà domani di me

in tutto questo vuoto, in tutto

questo silenzio e quell’azzurro

senza voli? e che cosa

mi resta da fare (o non

fare) per non cadere in ogni

sguardo per non morire

solo a ogni passo un giorno

dopo l’altro

un’ora dopo l’altra?»


                                       Ma sono

i pensieri il metronomo sordo

dei passi lungo la strada

polverosa dove altri camminano

con noi a coppie a gruppi

di tre di quattro sotto il sole

già alto che si alterna

con l'ombra delle piante nel giorno

della visita ai morti, a chi ora

dorme sonni insensati e

perfetti e non ricorda più affanni

o sogni.