mercoledì 13 giugno 2012

Maria Luisa Vezzali


IL SORRISO NERO


                                    a Maria




c’è un sole pallido di biancospino
ma sulla pelle non si sente il gelo
luce glaciale la trasforma in specchio
come a spiegare l’ansa del respiro


non sono più una torre bianca
che il lampo squarci dalla feritoia
non sono più fermata obbligatoria
alla stazione di Ferrara


né la padrona del cinema a Bengasi
piuttosto qualche stanza al primo piano
sul lato lungo del cortile
se l’interno è in disordine è perché


non c’è più obbligo alla saggezza
è per quell’affastellarsi di cose
senza gerarchia tutto uguale cura
affetto distratto leggero


come quando si sa che viene presto partire
porto del canto che non ha più oggetto




 *




la finestra di sala è sempre aperta
non ho più niente da tenere fuori
e la luce mi serve a rammendare
a riconoscere le facce


nelle fotografie così lontane
a non restare abbacinata
da quell’avvicinarsi
arso termine di tutti i rancori


rammentare dovrei almeno i nomi
della gente in sosta nelle cornici
ma nell’orecchio ho piuttosto le voci
che cantavano presto alla mattina


roteano i nomi lungo le pareti
al centro della sala fermo un tavolo
nero lucido come le scarpe di tuo nonno
quando usciva a cercare la spagnola


le lucidavo al davanzale
ancora dodici anni fa l’ultima volta


*


occhi azzurri la mia sola eredità
insieme a quell’anello che non togli
e porti al medio di fianco alla fede
sigillo d’altra segreta fedeltà


quel poco che ho sognato
fiocca tra i pollini nel raggio
tre figli quattro con i piani abortiti
cinque con i miei cappelli della festa


e l’illusione che la mia bellezza
sarebbe pur servita a qualcosa
a qualcuno alla grandine di riso
traboccata nera al lato del petto


occhi azzurri non un lascito da niente
se è anche grazie a me che ti hanno amato


 *


c’è chi ama con violenza
per bisogno o dovere
e c’è chi ama andandosene
ma tu mi hai amato giocando


a briscola con me di pomeriggio
mentre tutto di fuori urlava
sui rami dei castagni
e nel cortiletto ai fili dell’enel


si impigliavano le note delle radio
serravi allora la finestra
davi le carte lentamente
e una partita ogni tre


lasciavi che vincessi
per tentarmi a sorridere
reciproco segreto
sul lucido del tavolo


rovesciato nero riflesso
ma pur sempre sorriso


dicembre 2007 

3 commenti:

  1. Non avrei gustato le prime se non avessi letto le ultime. E’ una bella serie. Ho sentito l’azzurro e il nero, giustapposti, non mescolati, come le altalenanti possibilità di guardare a quel gomitolo di nostalgia, pena, affetto che è il passato familiare. Con rancore, sorridendo. Con un sorriso rancoroso. Dalla prima all’ultima poesia si sente il peso del fardello degli affetti e la fatica di portarlo stando dritti. Condivido nel tono e nella sostanza. Grazie.

    RispondiElimina
  2. Sì, in effetti è proprio una suite, un testo in quattro movimenti. Dedicato a mia nonna, sposata a un fascista, tradita (in più di un senso) e morta di tumore a 86 anni. Una donna della fine dell'ottocento, che non aveva voce, né possibilità di esprimere una parola in merito, né diritto di ereditare, ma che mi ha lasciato un anello e un paio di occhi azzurri.
    Hai capito bene. Grazie a te.

    RispondiElimina
  3. Anche se con molto ritardo leggo questa bellissima poesia. La prima parte in particolare. I versi: "non sono più fermata obbligatoria / alla stazione di Ferrara // né la padrona del cinema a Bengasi" sono fra i più belli da me letti negli ultimi tempi!

    Ma ci sono raccolte pubblicate e disponibili di Maria Luisa Vezzali?

    Grazie

    Stefano

    RispondiElimina