DEPRESSIONE
Scenderei lentamente come un pitocco per via
Gregorio VII,
percorrerei il tunnel Cavalleggeri che sbocca sul Lungotevere,
scenderei le scalette intrise d’urina fino sul
greto,
aspetterei che si esaurisca l’effetto
tranquillante del farmaco,
poi mi lascerei rotolare nel fiume come per un
lungo sonno,
perché mia moglie stasera mi ha detto che è stanca
del mio male,
e ogni giorno le importa meno, sempre meno di
tutto,
anche di sé, anche della bambina, e se esco
dal guscio della malattia le sembro una larva, un
sopravvissuto.
Anch’io sono terribilmente stanco del mio male,
ma non di mia moglie e della nostra creatura
innocente.
Questa è la situazione in cui un padre stermina la
famiglia
e si uccide. Ma io no, voglio rendere
testimonianza,
voglio vivere forse perché sono un vile,
o perché non sono abbastanza malato e credo di
potere
continuare la lotta contro il male, per me e per
la mia
piccola famiglia e la figlia che nulla sospetta
e mi dice ammirata: «papà quante cose sai dei
leoni».
Perciò non scendo per via Gregorio VII come un
pitocco
verso il fiume, e fisso gli occhi nelle finestre
illuminate occhidolenti della clinica dove si
muore per neoplasia
anche nelle notti di Natale disperate come questa.
Da La deriva, Rizzoli, 1979
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