PARTENZA
a mia madre
I.
Unico quel soggetto ritto sul tavolo
di lavoro fitto di promesse e suoni
magici. Sulla storia di questi
inautentici giorni e sul limite
invalicabile traccio le linee del futuro.
Vuoti e arabeschi, celie sul biondo
timido; si fa coraggio all’alba
documento in anticipo e già s’inceppa.
Ma il canto di città per poco
avvolge l’inverno di grande forza
e coraggio; con primi scritti
alle spalle disegnati da lunghi
sguardi, folla nelle chiome degli alberi.
Anni raccolti dai miei occhi, grida
d’epoca, riflessi come giostre chiassose.
II.
È quando prende il volo ogni regola
e si alza un impetuoso vento.
Sembra il pianeta prosciugarsi,
ma è l’avvio che consuma o spaventa.
Quello dell’ora morta è un corpo
sconfitto che ho chiuso nel silenzio
con un atto di forza.
Sulla strada è proibito voltarsi
indietro per sorridere ai saluti
del paese lontano. Un freddo intenso
lo avvolge e lo distrugge.
Ci siamo persi nel bosco e a un richiamo
di notte siamo usciti, sembra quasi
di rompere la vita o di tagliare
all’estrema latitudine un uso
vecchio di abitudini. E un salto
in avanti rincuora tra tanti resti:
spinta dal basso nel ciclo dei ritorni.
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