LA PESCAIA
I
La pescaia rende rapida l’acqua
della piena a valle dell’ultimo ponte,
non trattiene rami e zolle estorti
alle sponde sorprese inermi, ingaggia
la paratoia della memoria che apro
allo scorrere incontinente di misture
inconscie simili a corpi fluidi.
II
Da sempre volubile, il fiume orchestra
fragore e schiuma nel salto ipnosi
della corrente, si disperde da un tempo
zero, convenuto, al tempo infinito, postulato,
tra argini liberati dalla macchia superflua
usati come tribune gratuite, di fronte
all’impeto che sommerge ogni intralcio.
III
Un sentimento già provato gorgoglia
d’instabilità nello stesso riflusso che guardo,
cercando la formula del cambiamento
negli eventi più ovvii, negli schizzi
che bagnano senza necessità un bersaglio,
nella competizione di gabbiani prolifici
rientrati in città a svezzare la discendenza.
IV
Di giorno, un’illusione ottica stordisce
di luce riflessa l’archivio immateriale
di miei frammenti d’epoca, paradigma
effimero di qualcosa che muta e che
disseta. Di sera, distorti i contorni
della scena, poi il buio salverà almeno
il suono degli scrosci senza colori.
V
Solo l’aridità ostinata ucciderà
quest’abbondanza di umori e di moti.
Sotto la diga asciugata – le crepe
nel fondamento tornate allo scoperto,
le fratture dell’esistente macchiate
di fango – il guado a piedi della terra
secca sarà un gioco fra le rive indurite.
Aprile 2015
(inedita)
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