lunedì 25 gennaio 2021

David Pujante

 LE ETÀ

(omaggio a C.D. Friedrich)

 

 

 «Ospite dalla triste chioma unta

sotto un cappello a tre punte,

vecchio del soprassalto, Morte –

scendi fino alle rocce dove mi scorgi prostrato –

e sono solo uno che scruta il mare.

 

Prima di tutto puoi chiedermi,

Giudice che hai sempre l’ultima parola,

quale mistero ha strappato all’oceano

un uomo della mia età.

Puoi chiedere. Ti risponderà la mia bocca

intorpidita, col balbettìo dell’inesplicabile,

con la desolazione dell’ancora ignorato dopo anni

di stanco spiare, le palpebre di fuoco,

le nebulose della nausea annidate nelle pupille

d’aquila scrutatrice di spazi infiniti.

 

Un altro straccione sconosciuto e triste come me

mi lasciò un giorno su questa riva che imbrunisce senza posa.

Un vessillo di dolore piantò al mio fianco, sul poggio.

M’imbarcai senza pace né contratto.

Allora io non sapevo cosa fosse un galeone

né come i viaggi viziano le tenere spalle

indebolendole con desideri inaccessibili,

con orribili delusioni, con la sete infinita

in mezzo alle acque...

 

M’imbarcai – ti dicevo – non conoscendo il mare,

né sapendo il mistero delle navi che tornano

– dopo essere cresciuto con la magia del tempo

e la lontananza – lungo orizzonti di linee

che idealmente dividono il sole e giocano con la luna

nascondendola e offrendola rassegnata e lontana.

 

Sull’alto confine appresi

di navi naufragate che non tornano più

alla costa d’origine;

d’altre che appena uscite

s’incastrano tra le rocce di qualche scogliera.

E al ritorno, con stupore, ho anche saputo

d’uomini che non partono neppure, mangiati da colombe

carnivore della costa – che io non ho mai viste –

o rettili nottivaghi all'agguato nei loro antri

aspettando la notte del sacrificio.

 

Io, invece, triste vecchio dal bastone nodoso,

ho avuto fortuna, se penso a quanti vagano

dispersi sull’oceano, muoiono nei suoi gorghi

o in burrasche di verde riflesso da onde impietose.

Io, che ho viaggiato e sono ritornato,

che mi sono visto crescere, le braccia irrobustirsi,

strappare alla Natura la forza per difendermi

e alla Saggezza creatrice il nettare per la mia intelligenza,

posso dirmi davvero fortunato

se penso agli uccisi.

 

Ebbene, eccomi qui.

Il panorama è lo stesso di quell’umido giorno

in cui sentii la costa davanti alle mie gracili gambette

e una mano premurosa m’indicava il cammino

acquietando la mia turbata incertezza; il fru-fru della gonna

m’insegnava a tramutare il timore in decisione.

Discosto, preoccupato, di fronte a me anche un uomo

che aveva allora l’età mia di adesso

mi guardava con calma, silenzioso,

però con espressione emozionata, scuro in volto,

ma profondamente buono.

Tutto alla fine si ripete.

 

E c’erano barche nel vasto orizzonte

che da qui si vede azzurro. Era il crepuscolo.

O forse albeggiava, perché faceva freddo.

Vicina, appena rientrata, una gran nave attirò la mia attenzione.

Allora caddi nella piccola barca che prendeva il largo.

Per un momento s’incagliò nei relitti rigettati

presso la costa frastagliata; ma fu solo un momento.

Poi cominciò un piacevole scivolare tranquillo

sulla morbida pianura del mare.

Migliaia di colori ferivano l’incessante ondeggiare

dei flutti. Io non sapevo ancora niente del mio incerto futuro

né del mio apprendistato.

 

Adesso, Vecchio, tutto si ripete.

Adesso, Vecchio, capisco e ho più paura; sul mio volto

si rinnova quello sguardo bonario e preoccupato,

l’unica cosa che conobbi di mio padre.

Avverto nei muscoli freddi ridestarsi un calore premuroso

vedendo il mio povero figlio accudito da sua madre.

E al saperti già vicino intuisco che mi vuoi,

intuisco che mi cerchi e non tremo per me

– ché se morire è grave, è un naturale aggravio –,

tremo per i miei rampolli,

perché prossimo è il baratro e tu

ti dimostri implacabile. L'ho imparato dal mare.

So che non serve a niente partire per tornare.

Ma noi uomini amiamo questo dialogo salato

lungo tredici lustri,

il difficile e duro lottare contro i venti.

Lingue ardenti dai cieli sovente ci minacciano,

neri vortici salmastri fanno fermare i polsi,

ma al marinaio della vita è dolce

quell’umido colloquio quotidiano col mare.

Alla fine ama solo il poco che possiede: ciò che è.

E se questo è penoso e appena niente,

più triste un giorno è sporgersi sul mare, non navigare più ».

 

Senza parlare, il vecchio – forse non lo ascoltava –

appoggiò il suo bastone su una roccia

che là si ergeva, accanto al precipizio.

Qualche bambino a un tratto prese a correre.

Spaventati e piangenti, tutti gli altri gli gridavano dietro.

Il vecchio aprì le braccia. Il suo bastone risuonò tre volte.

La roccia si spezzò, il bambino cadde.

Grave è il morire, ma è un peso naturale.

 

Le barche, sulla riva, pronte a partire,

contemplavano un enorme bastimento che tornava.

Il vecchio lentamente si separò dal gruppo

che sulla costa, attonito,

posava inconsapevole per un quadro di Caspar David Friedrich.


Traduzione di Francesco Dalessandro


da "ARSENALE", numero Nove-Dieci, Anno Terzo, Gennaio-Giugno 1987

 

 

 

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