venerdì 1 gennaio 2021

John Keats

 SULL'INDOLENZA


I

Tre figure un mattino si fecero avanti:

di profilo, a capo chino e mani giunte,

serene avanzavano; l’una dietro l’altra,

nei morbidi calzari e in bianche vesti

eleganti; sfilarono, figure sopra un’urna

di marmo che si gira per seguirne il lato;

poi tornarono; riapparvero, quelle ombre

già viste, quando l’urna ruotò ancora; 

mi sembrarono strane, come può accadere

davanti a un vaso a un esperto di Fidia.

 

II

Perché mai, ombre, non vi riconobbi?

Perché celarvi in quella muta allegoria?

Fu un oscuro complotto per andarvene furtive

e abbandonare senza scopo i miei giorni

oziosi? Era matura l’ora sonnolenta

e la beata nube dell’estiva indolenza

mi pesava sugli occhi, indeboliva il polso,

la pena non pungeva, era sfiorito il serto

del piacere. Oh, perché non svaniste

lasciando solo il nulla ad abitare i sensi?

 

III

Tornarono per la terza volta: ah, perché?

Confusi sogni avevano ricamato il mio sonno;

la mia anima era un prato coperto di fiori,

di fuggevoli ombre e di raggi ingannevoli;

il mattino era nuvolo ma senza pioggia:

sulle ciglia, le dolci lacrime di maggio;

le imposte aperte schiacciavano i tralci della vite

e il canto del tordo e il tepore dell’alba

lasciavano entrare. Era tempo di addii,

ombre. Non versai lacrime sulle vostre vesti.

 

IV

Una terza volta passarono, e passando

verso di me si volsero un istante  

prima di sparire, io che ardevo di seguirle

e bramavo le ali, perché infine le avevo

riconosciute. La prima, una fanciulla

bella di nome Amore; la seconda,

pallide gote e vigili occhi stanchi,

Ambizione; nell’ultima, che più amo

quanto più è biasimata, la più indocile,

riconobbi il mio dèmone: Poesia.

 

V

Svanirono, e davvero mi mancavano le ali.

Follia! Cos’è l’Amore? E dov’è mai?

Ah, la povera Ambizione, che sgorga

dal fervido, piccolo cuore di un uomo!

E la Poesia? No, per me non ha gioie

dolci come un meriggio sonnolento

o sere colme del miele dell’indolenza.

Oh, vorrei un tempo che fosse al riparo

dai fastidi e ignorasse le fasi della luna,

e non udisse voce d’operoso buon senso.

 

VI

Così, addio spettri! Non mi farete alzare

la testa dal fresco letto d’erba fiorita,

perché non voglio, come il tenero agnello

di una farsa leziosa, pascermi di lodi.

Svanite delicati dai miei occhi, tornate

figure in maschera sull’urna del sogno.

Addio! Altre visioni ho per la notte,

e per il giorno scorte di languide visioni.

Svanite, spettri, dal mio spirito indolente.

Svanite tra le nuvole e non tornate più.

 

Traduzione di Francesco Dalessandro


 da Sull'indolenza e altre odi, Il Labirinto, 2a edizione 2020

1 commento:

  1. Bella poesia!Ti auguro un bellissimo 2021 all'insegna della serenità e salute.

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