mercoledì 9 novembre 2022

George Gordon Byron

 EPISTOLA AD AUGUSTA

 

 

I

 

Sorella, dolce sorella mia, ci fosse un nome

il più caro, il più puro dovrebbe essere il tuo!

Monti e mari ci separano, e non lacrime

chiedo, ma tenerezza che incontri la mia.

Ovunque io vada, tu sei per me la stessa,  

amato rimpianto al quale non rinuncio.

Nel mio destino ho ancora queste cose:

viaggiare un mondo e insieme a te una casa.

 

 

II

 

Se l’uno fosse un niente e avessi l’altra,

essa sarebbe il porto della felicità;

ma altri obblighi hai tu, altri legami,

non è mio desiderio che tu vi venga meno.

Infelice destino del figlio di tuo padre,

senza rimedio, perciò irrevocabile;

opposto a quello del nostro grande avo

che mai pace ebbe in mare; ed io a terra.

 

 

III

 

Se il mio retaggio di tempeste in altri

elementi è riposto, e su rocce insidiose,

ignorate o imprevedibili, la mia parte

di accidenti terreni ho sopportato,

mio fu lo sbaglio e non voglio coprire

con difese insensate i miei errori;

fui causa io stesso della mia rovina,

l’accorto pilota della mia disgrazia.

 

 

IV

 

Mia fu la colpa, e mia la ricompensa.

Fu una lotta ogni ora di vita, dal giorno

che mi fu data, insieme a ciò che il dono

avrebbe sciupato, carattere o destino                                

fuorvianti. A volte la lotta fu dura, 

e pensai di strapparmi ai vincoli terreni.

Ma adesso ancora un po’ io vorrei vivere,

almeno per vedere che cosa può accadermi.

 

 

 

V

 

Di regni e imperi nei miei pochi giorni 

ho vissuto più a lungo, benché vecchio non sia.

Quando questo considero, la spuma

leggera degli anni di pena, rotolati via

come i flutti tempestosi della baia,

si scioglie. Qualcosa che non so sostiene

ancora uno spirito di lieve tolleranza;

benché fine a se stessa, non è inutile la pena.

 

 

VI

 

In me opera forse e s’agita il disprezzo,

o una fredda disperazione provocata

da mali ricorrenti; forse un clima più mite,

una più pura aria (ché anche in questo

può l’anima cambiare e un’armatura

più leggera impariamo a sopportare),

m’insegnarono una loro strana quiete

che non era compagna di più serena sorte.

 

 

VII

 

A volte mi emoziono come al tempo

dell’infanzia felice: alberi, rivi, fiori

mi ricordano i luoghi dove vissi

prima d’offrire in sacrificio ai libri

la mia giovane mente; come un tempo

il cuore si commuove, a riconoscerli;

e a volte penso che potrei amare

una creatura viva – ma come te nessuna.

 

 

VIII

 

Qui sulle Alpi i paesaggi offrono spunti

di riflessione – si prova per poco

l’ammirazione – però queste scene

ispirano cose più alte: essere soli

non dà tristezza, qui, perché molto altro

di desiderabile ho visto e soprattutto

posso ammirare un lago anche più bello –

ma non più caro – del nostro di un tempo.

 

 

IX

 

Oh, se tu fossi qui con me! Ma ecco

mi faccio giullare dei miei desideri,

dimentico che la solitudine ora vantata

ha già perso ogni pregio per quel solo

rimpianto. Altri forse ne riesco a celare.

Non sono un malinconico, ma sento

ogni mia convinzione venir meno

e sale una marea nel mio occhio alterato.

 

 

X

 

Il caro lago, presso il vecchio Castello

che non sarà più mio, ti ho ricordato.

Lemano è bello, ma non credere mai

ch’io rinunci al ricordo della sponda più cara.

Della memoria il Tempo farà scempio

prima che voi svaniate dai miei occhi,

anche se, come tutto ciò che ho amato,

da me siete lontani o divisi per sempre.

 

 

XI

 

Tutto il mondo ho davanti; e alla Natura

chiedo soltanto quello che può darmi:

di riscaldarmi al sole dell’estate,

di mischiarmi alla quiete dei suoi cieli,

di vederne il volto gentile senza veli

e mai guardarla con indifferenza.

Essa per prima mi fu amica ed ora –

finché non ti rivedrò – sarà sorella.

 

 

XII

 

Qualsiasi sentimento io potrei soffocare,

tranne questo; e non voglio, ché qui viste

vedo simili a quelle ove iniziai la vita:

le prime, per me gli unici sentieri.

Se a evitare la folla subito avessi appreso

sarei certo migliore di quanto non sono;

le passioni che straziano avrebbero dormito,

io non avrei sofferto, tu non avresti pianto.

 

 

XIII

 

Cosa avevo a che fare con la falsa ambizione?

Ben poco con l’amore, con la fama di meno.

Non cercati essi vennero e crescemmo

insieme; mi diedero quello che potevano:

un nome. Ma non era il fine perseguito,

sebbene un tempo ad un nobile scopo

mirassi. Ora mi aggiungo – ché tutto è finito –

ai molti vinti prima di me scomparsi.

 

 

XIV

 

Quanto al futuro, il futuro del mondo

richiede molto poco del mio impegno.

Molti giorni a me stesso sono sopravvissuto,

di molte cose più a lungo ho vissuto;

i miei anni non hanno avuto il sonno

ma una preda di vigilie senza fine:

la mia vita vissuta colmerebbe un secolo,

prima che un quarto ne sia già trascorso.

 

 

XV


Per tutto ciò che ancora può accadere

sono pronto; e verso il passato non provo

ingratitudine, perché fra tante lotte

a volte s’è introdotta anche la felicità.

Al presente non vorrei che i sentimenti

s’intorpidissero. E non nasconderò

che guardandomi intorno con profondo

sentire posso ancora adorare la natura.

 

 

XVI

 

Quanto a te, dolce sorella, nel tuo cuore

io mi sento al sicuro, e tu nel mio;

noi siamo stati e siamo – io come te –

creature che non potranno rinunciare

mai l’uno all’altra; insieme o separati,

dal principio al suo lento declino,

per la vita siamo avvinti e, rapida o lenta

la morte, quel primo legame sarà l’ultimo.



Traduzione di Francesco Dalessandro


Da Il sogno e altri pezzi domestici, Il Labirinto, 2008

 

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