mercoledì 30 novembre 2022

Patrick Angiulli

 

CANNIBALE

 

Un cannibale affamato sta banchettando con la mia vita.

Dal cadavere della mia gioventù,

l’entusiasmo gocciola nel buio del cuore.

Momenti del passato come ombre senza corpo

si riflettono sulla superficie screpolata di uno specchio

della mente dove il futuro assume aspetti proteiformi

e si consolida la gelatina dell’incubo.

L’avvenire è uno stillicidio di speranze, un bagliore

perché non esiste né amore né gioia né pena, niente di niente!

Esiste la memoria e in essa le infinite possibilità

che un istante di stupita meraviglia dischiude a noi stessi.

Oh, infinite possibilità, forse ignorate

nella comune tristezza del “niente è certo, neppure

che viviamo, neppure la presenza inconfutabile del tempo

di cui, nel buio, un pendolo scandisce gli intervalli”.

Niente è certo! Viviamo?

O forse è apparenza supporre che i cicli del sonno

e del risveglio vestano l’esistenza con la stoffa mutevole

dell’“ora”, dell’“adesso”, del “per sempre”,

e di tutte le altre misere parole pronunciate

nell’ingannevole spazio di un istante?

Non è forse la vita l’invisibile vestito dell’imperatore?

I tangibili solchi che segnano la fronte e i lati degli occhi,

dove lo sguardo si fa assente, ché troppo hanno visto

e troppo hanno imparato: scoprire queste cose

ci dà la misura degli anni che si rincorrono.

Perché le ore della noia sono invece così lunghe?

Volgi un attimo gli occhi – te ne accorgi appena! –

e una precisa successione d’immagini strazianti s’arresta

d’un tratto nel tuo sguardo, così triste, così pazzamente triste!

Viviamo sul marciapiede d’una stazione,

attenti soltanto agli arrivi e alle partenze,

dove echi e brusii ci giungono talvolta,

ma siamo così distanti da tutto!

Fra un saluto e un fazzoletto che sventola si dipanano i ricordi:

ogni arrivo non è che il presupposto d’una nuova partenza.

La noia s’avventa spietata e costringe a improvvise impennate

di pazzo amore e desiderio, magari sovraccariche

di patetiche cantilene che niente può spezzare.

Un dolore elementare si desta talvolta nelle ore di noia,

quando il genio s’assopisce cessando d’inventare e riemerge

il gusto nostalgico di malinconie domestiche.

Esistono meloni di lussuria negli inevitabili intervalli.

Il gorgoglìo della menzogna si fa strada nel sangue.

 

All’inizio ti ho cercato a lungo, per certe stradine anguste,

dischiuse dai miei passi fra quartieri di celle frigorifere.

Ti ho rincorso per tutta la città, ma non t’ho mai trovata.

Ho gridato le tue parole, sperando che mi udissi:

«Bisogna lasciarsi alle spalle ogni distinzione, ogni classificazione.

Bisogna eliminare dalle nostre file ogni ideologia disfattista.

Bisogna capire l’evidenza attuale: l’azione!

Non è più tempo di pensiero, non è più tempo di parole:

è tempo di ristabilire il significato dell’azione rivoluzionaria».

 

La gattina della noia ha il muso giallo,

come il freddo respiro dell’insonnia;

e gli occhi si perdono in un vortice d’immagini senza tempo,

in un incubo di miserabili apparenze

che delineano fantasmi irrisoluti e tentanti.

Quali mezzi prodigare all’impresa di resistere a un destino inesistente?

Il vento di marzo sconvolge gli oroscopi.

Brusio di mani, brusio di passi titubanti sulle scale,

brusio di voci nei saliscendi dell’ascensore, ma non una parola

che consoli, non un attimo d’amore che ci quieti.

Né rose né petali di rosa, solo unghie affilate che straziano!

Sto solo con la mia crocifissione, a braccia indolenzite!


Traduzione di FD


Da Last items, Brook&son, 2015



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