CANNIBALE
Un cannibale
affamato sta banchettando con la mia vita.
Dal cadavere
della mia gioventù,
l’entusiasmo
gocciola nel buio del cuore.
Momenti del
passato come ombre senza corpo
si riflettono
sulla superficie screpolata di uno specchio
della mente dove
il futuro assume aspetti proteiformi
e si consolida la
gelatina dell’incubo.
L’avvenire è uno
stillicidio di speranze, un bagliore
perché non esiste
né amore né gioia né pena, niente di niente!
Esiste la memoria
e in essa le infinite possibilità
che un istante di
stupita meraviglia dischiude a noi stessi.
Oh, infinite
possibilità, forse ignorate
nella comune
tristezza del “niente è certo, neppure
che viviamo, neppure
la presenza inconfutabile del tempo
di cui, nel buio,
un pendolo scandisce gli intervalli”.
Niente è certo! Viviamo?
O forse è
apparenza supporre che i cicli del sonno
e del risveglio
vestano l’esistenza con la stoffa mutevole
dell’“ora”,
dell’“adesso”, del “per sempre”,
e di tutte le
altre misere parole pronunciate
nell’ingannevole
spazio di un istante?
Non è forse la
vita l’invisibile vestito dell’imperatore?
I tangibili
solchi che segnano la fronte e i lati degli occhi,
dove lo sguardo
si fa assente, ché troppo hanno visto
e troppo hanno
imparato: scoprire queste cose
ci dà la misura
degli anni che si rincorrono.
Perché le ore
della noia sono invece così lunghe?
Volgi un attimo
gli occhi – te ne accorgi appena! –
e una precisa
successione d’immagini strazianti s’arresta
d’un tratto nel
tuo sguardo, così triste, così pazzamente triste!
Viviamo sul
marciapiede d’una stazione,
attenti soltanto
agli arrivi e alle partenze,
dove echi e
brusii ci giungono talvolta,
ma siamo così
distanti da tutto!
Fra un saluto e
un fazzoletto che sventola si dipanano i ricordi:
ogni arrivo non è
che il presupposto d’una nuova partenza.
La noia s’avventa
spietata e costringe a improvvise impennate
di pazzo amore e
desiderio, magari sovraccariche
di patetiche
cantilene che niente può spezzare.
Un dolore
elementare si desta talvolta nelle ore di noia,
quando il genio
s’assopisce cessando d’inventare e riemerge
il gusto nostalgico
di malinconie domestiche.
Esistono meloni
di lussuria negli inevitabili intervalli.
Il gorgoglìo
della menzogna si fa strada nel sangue.
All’inizio ti ho
cercato a lungo, per certe stradine anguste,
dischiuse dai
miei passi fra quartieri di celle frigorifere.
Ti ho rincorso
per tutta la città, ma non t’ho mai trovata.
Ho gridato le tue
parole, sperando che mi udissi:
«Bisogna
lasciarsi alle spalle ogni distinzione, ogni classificazione.
Bisogna eliminare
dalle nostre file ogni ideologia disfattista.
Bisogna capire
l’evidenza attuale: l’azione!
Non è più tempo
di pensiero, non è più tempo di parole:
è tempo di
ristabilire il significato dell’azione rivoluzionaria».
La gattina della
noia ha il muso giallo,
come il freddo
respiro dell’insonnia;
e gli occhi si
perdono in un vortice d’immagini senza tempo,
in un incubo di
miserabili apparenze
che delineano
fantasmi irrisoluti e tentanti.
Quali mezzi
prodigare all’impresa di resistere a un destino inesistente?
Il vento di marzo
sconvolge gli oroscopi.
Brusio di mani,
brusio di passi titubanti sulle scale,
brusio di voci
nei saliscendi dell’ascensore, ma non una parola
che consoli, non
un attimo d’amore che ci quieti.
Né rose né petali
di rosa, solo unghie affilate che straziano!
Sto solo con la
mia crocifissione, a braccia indolenzite!
Traduzione di FD
Da Last items, Brook&son, 2015
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