lunedì 29 settembre 2025

Roberto Pazzi

 LA FINESTRA

 

Consumata dai voli delle tortore

guarda a nord.

I mesi affollano la luce

ed è tutta bianca.

La pianta curva le foglie verso

il varco, dopo la lunga notte.

Gli uccelli volano da un lato

all'altro della luce

ma non verrà mai il sole.

E' la perfezione della casa,

la verità delle sue porte

e delle alte finestre.

 

da Un giorno senza sera, La nave di Teseo, 2020

venerdì 26 settembre 2025

Roberto Pazzi

 SARA' COME CAMBIARE CASA

 

Partire, andarsene e chiudere

le finestre dell'abituale paesaggio,

e poi sorprendersi fra case ancora in piedi

dopo la scossa,

sentire prima un bisbiglio,

poi voci sempre più chiare,

capire che è nata un'altra lingua

e tu la sai.

Ti sfilerai dalla memoria

che va in polvere e sarai Lazzaro

che non ricorda, non sa più chi è.

Sì, la tua vita, la tua lingua

ti lasciano,

non sarà difficile.

dirai amore ancora,

con una nuova parola.

 

da Un giorno senza sera, La nave di Teseo, 2020

mercoledì 24 settembre 2025

Roberto Pazzi

 IL RITARDO


Per otto anni il mio orologio
ritardava un minuto e mezzo
ogni sette giorni.
Poi una mano lo aprì, e ora
anticipa di un minuto e mezzo
ogni sette giorni.
Risanato cammino, operato
invece che al cuore, al tempo.
È una convalescenza da tutti
i ritardi sommati nelle mie arterie,
gli antipodi forse camminano così.
Si e spostato l’asse celeste del
cervello, di qualche grado in meno
inclinato sul piano della morte,
gioca con orbite di stelle più lontane.
Per fare i conti di quanto
debbo restituire di anni rubati,
scrivo queste operazioni.

Da Calma di vento, Garzanti, 1987

lunedì 22 settembre 2025

Roberto Pazzi

 

ULTIME PAROLE DI UN RE
PRENDENDO CONGEDO
ALL’ATTO DI PARTIRE PER L’ESILIO

«... vorrei poi dire grazie alle divinità
che m’hanno accompagnato fin qui.
Mi furono fedeli
anche quando le abbandonavo agli altri.
Per amore ho cominciato prestissimo
a mentire: così le mie parole
davano verità più grande.
Lo so, lo so che sono perfetto
con gli occhi chiusi e le parole accese,
e di luce e storia allora non c’è bisogno:
ma non sapete come mi guardi
in quei momenti la mia gelosa morte
che mi desidera più che mai».

Da Calma di vento, Garzanti, 1987

venerdì 19 settembre 2025

Gianfranco Palmery

 

ANTIFONA

 

Oh cuore umano: tu solo fai del tuo inferno

la tua consolazione. Sono aria

che rianima quei macchinosi, risibili

venti infernali, soffi, folate d’un respiro

che dirada i sospiri arieggia il covo

soffocante dove oppresso vivi dal peso

dei progetti mancati delle opere

lasciate a metà, da polvere e oblio mutati

ormai in parodia di se stessi;

e il fuoco futuro inganna il raggio

infuocato del rimorso in questo

lento languire che arde, l’occhio rivolto

al cielo basso dei sogni dei pensieri

dissipati, vani vapori, nuvole

pigre ondanti sotto un sole diafano, bianco,

un fantasma

di sole, questa luce dell’accidia:

poiché l’obliqua finzione illude e attesta

la verità di una pena che è eterna, ora

e qui, nel presente, e senza redenzione.

 

 

da L’opera della vita, Edizioni della Cometa, 1986

mercoledì 17 settembre 2025

Gianfranco Palmery

IL NOME FERITO

 

Sarà questo forse l’inferno: mantenere

una mente mondana e fatti d’aria

e fuoco vagare per il mondo invisibili,

con il carico fiammeggiante dei desideri

traditi e irrealizzati e contemplando

la propria opera incompiuta, abbandonata

diabolicamente a metà rimpiangere

la mancata divinità del compimento;

e in un vento che affascina e sferza

consumarsi di inutile ardore

per ciò che al mondo si è amato senza

perfezione e annientamento: sospirare

le azioni, le irraggiungibili figlie

del cielo, o le parole che restarono

un sotterrato tesoro. E così bruciare

senza lacrime

per il nome ferito che si lascia,

e poiché nessun fiato di verità

e pena alla vita svilita sopravvive,

con cuore umano disperare in eterno.

 


lunedì 15 settembre 2025

Gianfranco Palmery

 

EXIT

1

Un malato pensa il suo male – è il suo
pensiero, il suo peso, la passione
pratica del suo apparecchiare
la morte: non prega, non lavora
per la gloria del cielo o della poesia:
macera e filtra dalla sua malattia
una fine – in saliva parole
veleni: tutto è pari sulla via
del palato – precario impasto che non dà
gioia o luce – niente bellezza, le sue pene,
perdute

2

Anche se resta il corpo, un altro anno
o dieci, la dicitura è EXIT: fuori,
uscitavia – è EX, il vuoto pieno
dell’ex – EX  OMNIBUS – la vita che dura
nel futile ogniggiorno, come nei funerali
un fremere di necessità intorno
al morto – ex per eccellenza – excellens – e ora
neanche più ex – presto incellato: il vero
personaggio cui si addice l’exit – giunto al
silenzio, smascherato, mentre cade
a pezzi


Da Medusa, Il Labirinto, 2001

 

venerdì 12 settembre 2025

Gianfranco Palmery

 

TASSO ALL’ASILO DI SANT’ANNA

 

                               UN RITRATTO

 

 

Presso il letto, seduto – la sua smania, fiamma

che sordamente lo consuma, o la calma

stupefatta: i capelli viperei, alle tempie

la rasoiata del tempo; aridi o ardenti

gli occhi, ormai sempre offuscati, senza

più il fuoco dell’immagine, le lenti

inutili, o quasi; ma insieme ai fulvi

funerei baffi completano un’aria curialesca

 

inquisitoria – che è suprema ironia

per un ritirato dal mondo che interroga

soltanto il suo riflesso, con fatica

come in un appannato corroso specchio,

mentre porta lento alle labbra una mielata

tazza, la tiepida pozione, cura

per l’improvviso raffreddore – con le sue amate

gatte all’intorno: così si figura...

 

Sui cinquant’anni, se Dio li abbandona

o lo abbandonano loro, ammattiscono

tanti poeti – per dire che escono

fuori di sé, definitivamente. – Il dèmone

familiare imperversa, prende

il sopravvento, oppure si nasconde, scompare,

e se chiamato tace, beffardo irride

con la sua assenza, non risponde più.

 

Anche dietro una maschera austera, di savia

compostezza si cela questo vuoto

orrore – semplicemente non c’è

più nessuno: il padrone di casa è fuori,

partito – chissà quando, se mai tornerà.

E quello che si vede a piè del letto, intento

a vigilare l’immagine riflessa, è solo

il cane da guardia della sua infermità.

 

 

Da Il versipelle, Edizioni della Cometa, 1992

mercoledì 10 settembre 2025

Gianfranco Palmery

 

MORTE DELLA MIA VITA, AMATA MORTE  

Morte della mia vita, amata morte,
cuor mio, viscere mie,
- ti piace questa corte
d’amore che squaderna anatomie
alla maniera antica? -
oh ma niente è più mio ma dell’amica!
Sono tutto per te, tutte le vie
ti hanno portato a me, sempre più corte,
così dentro di me
che tu sei la mia vita e io la morte

da Amarezze - madrigali e altre maniere amare, Il Labirinto, 2012

lunedì 8 settembre 2025

Gianfranco Palmery

 

MADRIGALI DELL'ALBA


                   faccio tomba del giorno – morte in vita:
                            la notte viene quando è già sparita


I

Ecco le puntuali, azzurro-pallide
cinque del mattino, la luce
delle cinque del mattino che passeri
e merli traducono nei soliti
solfeggi uccelleschi, gridando
la loro disperazione per l’arrivo
d’un altro giorno, o forse fanno
solo gl’ingenui araldi della vita:
tu abbassa la serranda, tira le tende
e che venga la notte finalmente!


II

È la luce che annuncia la mia notte
con i noti cantori che orchestrano
tutte le sante cinque del mattino
ciù-ciù, cra-cra il loro concertino:
questo strenuo teatro di finestra
l’intermezzo obbligato che vorrei
saltare – da buio
a buio scivolando alle sei
calate le serrande contro il mondo
per trovare, forzato notturno,
finalmente il mio sonno – e che fuori
passeri e merli aprano pure il turno
dei forzati di giorno!


da Corpo di scena, Passigli, 2013

venerdì 5 settembre 2025

Gianfranco Palmery

 

LUMINOSE E NOTTURNE, EMULE LUNE


Luminose e notturne, emule lune
o stelle che pallide si levano, corrono
rifulgendo per l’arco della loro
obbedienza e docilmente si spengono

giunte all’altro emisfero – lontano
da chi resta e si estenua nella carne:
sono così le poesie ma il loro mistero
è qui e corre dalla mente alla mano.

 

da In quattro, Il Labirinto, 2006

mercoledì 3 settembre 2025

Roberto Pagan

 LUCE DEI PERDENTI

 

La sommessa ironia. L’angustia

fatale della vita. Il pegno

spietato della morte. Per il resto

andare senza timbro e senza

passaporto al vento

dell’eventualità. La foglia frale,

questo sì, sgomenta:

l’autunno delle foglie è luce

dei perdenti, è l’onda

in cui nuotare l’ultima bracciata.

Arrendersi ancora e come sempre

ai semafori rossi

senza nessuno che indichi la strada

e non sapere

s’era giusta o sbagliata quella presa

 

Da Versi fuori stagione, Fuorilinea, 2023

lunedì 1 settembre 2025

Roberto Mussapi

 PAROLE DEL TUFFATORE DI PAESTUM

 

Io sono l’anima di tuo padre, il tuffatore:
ti ho seguito ogni giorno, ti sono accanto,
conosco come allora le tue zone d’ombra,
il linguaggio dei moti tracciato dalla tua faccia,
niente è cambiato da allora, in questo senso.
Questa è la prima cosa che ho scoperto,
la prima che volevo dirti: non cambia la percezione
dei tuoi attimi, come non cambiava
di notte, nel sonno, o per la distanza.
So che questo mio soffio (dal fondo dell’acqua, tra le attinie)
sarà per te come le mie parole un tempo:
che ti infondevano memoria e coraggio,
più del vino o di una donna che ti guarda.
La mia prima scoperta, la prima verità è che nulla
si spezza nel segreto dell’anima.
Il resto è confuso, è presto
per cercare di riferirti,
coralli, attinie, vite che si disegnano da un moto
d’acqua e si dileguano all’istante.
Non tutto è luce, trasparenza, silenzio,
cunicoli di buio, respiri compressi, poi voci
che inalano in me come se io parlassi.
Scivolo verso un fondo sempre più distante
e sento che una luce sommersa mi chiama da Oriente:
non so dove finisca, per ora,
non so che cosa sia ma so che amore
la muove e ne determina il respiro.
Di questo viaggio parlerò più avanti,
quando esperito sarà conoscenza,
posso parlarti di quanto ho lasciato,
sopra la superficie azzurra delle acque,
tra le sabbie bianchissime, le palme,
l’ombra degli ulivi, il vino
che veniva versato dalle anfore:
ama la terra rosa nel tramonto,
immergiti nel mare per gioco, come un tritone,
gusta la frutta, il pane, bevi e mangia,
ascolta le risa delle ragazze,
cerca la loro bocca, ridi e dispèrati,
ringrazia ogni giorno il tuo paese lucente.
Io non sono tuo padre ma la sua anima,
non so quello che vivo ma ricordo,
la riva, la piscina, i colori che formano
lo strano disegno della vita mortale.
Vivi in quella ceramica smagliante e attendi
quanto saprò dirti più avanti, alla fine del viaggio.
Ma ora che dormi come quando in una culla
sembravi cercare i segreti del mondo,
ora che hai spalle più larghe e più radi i capelli,
ascolta le parole della mia anima:
non so molto di lei – di me stessa –
(è presto, figlio, non conosco abbastanza,
ho appena iniziato, sto nuotando),
non pensare al mio corpo (è tardi,
perle, quelli che furono i miei occhi,
e le mie labbra contratte in corallo),
ma ho conoscenza del loro matrimonio,
di quando vivevano all’unisono nel mondo
e io, anima di tuo padre, il tuffatore
ti consegno solo questa esperita certezza
(dal fondo dell’abisso, nel brivido del tuffo):
che anche l’uomo può amare eternamente.


da La stoffa dell’ombra e delle cose, Mondadori, 2007