mercoledì 25 maggio 2016

Kenneth Rexroth

CATTIVI TEMPI CHE FURONO

Durante l’estate del diciotto
lessi The Jungle e The
Research Magnificent. In autunno
morì mio padre e mia zia
mi portò a vivere a Chicago.
Per prima cosa presi il tram
che portava ai recinti del bestiame.
Nel pomeriggio d’inverno,
fetido e sporco, camminavo
sulla neve sudicia delle strade
squallide fissando diffidente
le facce di quelli che il giorno
restavano a casa. Facce
logore e corrotte, cervelli
vuoti e saccheggiati, facce
come quelle che si vedono
nelle corsie dei manicomi
o degli asili per vecchi poveri. 
Avide facce di bambini.
Poi, non appena la lurida luce
del crepuscolo svaniva,
sotto i verdi lampioni a gas
e le sfrigolanti lampade ad arco,
le facce degli uomini che tornavano
a casa dal lavoro, qualcuno
ancora vivo, con un ultimo sussulto
di speranza o di coraggio,
alcuni diffidenti e amareggiati,
altri svegli ma stolidi, i più
ormai vuoti e avviliti, non vita,
solo atroce stanchezza,
sfruttati peggio che animali.
Nelle strade colava l’odore
sgradevole di migliaia di pasti
a base di patate e cavoli fritti.
Mi dava le vertigini e la nausea,
e dalla pena sentivo nascere
una rabbia terribile e dal-
la rabbia un impegno solenne.
Oggi il male prospera pulito,
non devi prendere il tram
per incontrarlo, e è lo stesso
dovunque. Ma sono gli stessi
anche pena, rabbia e impegno. 



Traduzione di Francesco Dalessandro

da  The complete poems of Kenneth Rexroth, edited by Sam Hamill & Bradford Morrow, Copper Canyon Press, 2003 

Nessun commento:

Posta un commento