CATTIVI TEMPI CHE FURONO
Durante l’estate
del diciotto
lessi The Jungle e The
Research Magnificent. In autunno
morì mio padre e
mia zia
mi portò a vivere
a Chicago.
Per prima cosa
presi il tram
che portava ai
recinti del bestiame.
Nel pomeriggio
d’inverno,
fetido e sporco,
camminavo
sulla neve sudicia
delle strade
squallide fissando
diffidente
le facce di quelli
che il giorno
restavano a casa. Facce
logore e corrotte,
cervelli
vuoti e
saccheggiati, facce
come quelle che si
vedono
nelle corsie dei
manicomi
o degli asili per
vecchi poveri.
Avide facce di
bambini.
Poi, non appena la
lurida luce
del crepuscolo
svaniva,
sotto i verdi
lampioni a gas
e le sfrigolanti
lampade ad arco,
le facce degli
uomini che tornavano
a casa dal lavoro,
qualcuno
ancora vivo, con
un ultimo sussulto
di speranza o di
coraggio,
alcuni diffidenti
e amareggiati,
altri svegli ma
stolidi, i più
ormai vuoti e
avviliti, non vita,
solo atroce
stanchezza,
sfruttati peggio
che animali.
Nelle strade
colava l’odore
sgradevole di
migliaia di pasti
a base di patate e
cavoli fritti.
Mi dava le
vertigini e la nausea,
e dalla pena
sentivo nascere
una rabbia
terribile e dal-
la rabbia un
impegno solenne.
Oggi il male
prospera pulito,
non devi prendere
il tram
per incontrarlo, e
è lo stesso
dovunque. Ma sono
gli stessi
anche pena, rabbia
e impegno.
Traduzione di Francesco Dalessandro
da The complete poems of Kenneth Rexroth, edited by Sam Hamill & Bradford Morrow, Copper Canyon Press, 2003
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