mercoledì 19 giugno 2019

Juan Ruiz

L’ISOLA NEL TEMPO


                                            A lei – che sa come, che sa perché



1.                                  

Fu in quell’ora in quell’isola nel tempo,
fu sentendo la tua vita
affidarsi alle mie mani e il tuo corpo
abbandonarsi contro il mio;
fu quando scostai dalla tua fronte
una ciocca di capelli e sorpresi
le dita a meravigliarsi di quel gesto;
fu tenendo il tuo viso contro il mio
e toccando con la fronte la tua fronte,
respirando il tuo respiro;
fu sentendo le tue mani cercarmi
e toccare il mio corpo con strana
imbarazzata confidenza; fu quando
i nostri volti s’incontrarono
e cercandosi – oh ma timide impaurite – 
le bocche si trovarono; fu allora
che ti riconobbi, che ti seppi mia,
a dispetto del tempo e di te stessa.  


2.                      

La mia mano salì, mentre il tuo sguardo
ne seguiva il lento volo, fino
all’ombra dei capelli, al silenzio
delle labbra, poi discesa nell’ansia
del seno più lenta si aprì la strada
per golfi e pianure, per l’umida palude
dove scese in suo aiuto la lingua
e il desiderio si sciolse in affanno.
Fosti cieca e pronta, ti apristi
al morso e all’assalto, ti piegasti
all’oscuro riverbero del fuoco
nel tuo sangue, fosti ansimo e febbre.
Così t’abbandonasti, né pudore
né ricordo, all’intimo spasimo che
appaga e cancella, esiliandolo, il dolore.


3.                     

Quando le dita tracciarono la linea
aguzza dei tuoi fianchi, quando,
brune tortore tremanti, le punte
dei seni al tocco delle labbra
si alzarono in volo, quando il fuoco
pallido del tuo ventre si accese
e arse le morte foglie del pudore,
quando l’ansia fu spasimo, grido
muto, quando dal desiderio
generasti il piacere e le labbra
si schiusero per dirlo, quando l’esangue
fiore del tuo corpo finalmente si aprì
fra petali di febbre io ape assetata
mi posi saziandomi lasciandomi morire…


da Isola del tempo, raccolta inedita di prossima pubblicazione



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