UN’ODE DI SAFFO
(in un “travestimento arcadico settecentesco” che non spiaceva a Leopardi)
Contento al par de’ Numi
parmi colui,
che siede
incontro
a’ tuoi bei lumi
felice
spettator;
che
sparse le tue gote
talor d’un
riso vede,
ch’ode le
dolci note
dal
labbro tuo talor.
Al riso,
a’ detti usati
il cor,
che s’innamora,
fra i
spiriti agitati
non osa palpitar.
Veggo il
tuo vago aspetto
e alle
mie fauci allora
non somministra
il petto
voce per
favellar.
Tenta la
lingua invano
d’articolar
parola,
corre un
ardore insano
di vena
in vena al cor.
Un denso
velo il giorno
alle mie
luci invola;
odo
confuso intorno,
ma non so
qual rumor.
Largo
sudor m’inonda,
spesso tremor
m’assale,
al par d’arida
fronda
comincio
a impallidir,
sì nelle
fredde membra
langue il
calor vitale,
che a me
vicin rassembra
l’istante
del morir.
Da Le
odi di Anacreonte e di Saffo recate in versi italiani da Francesco
Saverio De’ Rogati, presso Angiolo Martini, 1783
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