venerdì 30 maggio 2025

Rodolfo Di Biasio

 POEMETTO DELL’ATTRAVERSAMENTO



1.

Là dove il mare
si congiunge al suo cielo –
è quello il luogo del congiungimento? –
frana l’umano nostro tempo
vi si sperdono 
pensiero e accadimento
Si fa maceria
– e d’acchito –
l’opera di noi
artieri di faticosi sogni

2.

Solo camminanti
da sempre camminanti
dentro e fuori di noi
Le strade le attraversammo tutte:
ora solari strade
ora tagliate dal nevischio
dal vento demolitore

E le altre aggrumate
I grovigli di dentro 
ancora
tutti da sciogliere

3.

Nelle quiete notti
quando il silenzio
fascia e sillaba le cose
chi di esse ci farà innocenti?



lunedì 26 maggio 2025

Rodolfo Di Biasio

POEMETTO DEL VETRO

 

1.

È questo questo mio

un gesto che rimane vuoto

nella notte

Sul vetro s'infrange:

su esso trema pure la voce

da sempre di me

deformata immagine

Fuori non altro

che i graffiti del vivere

sotto un curvo cielo:

è questo il cielo dei deserti

che ci inchioda alla terra

ci svuota della residua luce

È al nostro tremore

che consegna il tragitto arcano

delle sue costellazioni

 

L'anima si fa spenta marea

 

2

Sul vetro raschia un sordo vento:

l'usuale vento dei vicoli

delle buie dimore

dei notturni cani nei crocicchi

Una nenia la sua

che scivola sul vetro

scivola sull'anima

e si sperde un attimo dopo

nello spessore desolato del silenzio

 

3

Un fiore esso pure

il dolore,

che il vento mi rifrange

e scompone poi

in moltitudine di petali

 

da Patmos, Stamperia dell'arancio, 1995



venerdì 23 maggio 2025

Rodolfo Di Biasio

 

POEMETTO DELLA TREGUA

 

1

 

Le strade tutte alle spalle,

le irrisolte strade,

e il loro frastuono

quei lampi che segnarono

il cuore di furori

Rosse in un incendio

vi fiorirono tutte le cose

                                 le rose della vita

 

2

 

La tregua:

la richiede il cuore

le sue tessiture

risultano dosaggio

di lente alchimie

Si muove

in una penombra di sangue ispessito

 

Precipizi

i suoi silenzi sempre più lunghi

 

3

 

E' questo il tempo (il luogo?)

delle quiete interrogazioni

se fuori

sui muri trapassa

un fiato di vento

il luminoso filo della luna

 

Tutto è al di là e oscuro:

vi trascorrono

in un incrinato specchio

terra e cielo,

si confondono

in un incastro di corrispondenze

 

Presiede alla notte

l'abrasa memoria delle cose

                                     delle rose della vita

 

Da Tutte le poesie, Ghenomena, 2021

mercoledì 21 maggio 2025

Rodolfo Di Biasio

 

POEMETTO DELLA NEVE

 

 

1

 

Attendo notizie, me le porti

lo sciogliersi della neve

su questo bilanciato silenzio

 

Dei fatti: incanutiscono nella breve ora di luce

li brucia un sole imbaldanzito

e una deriva li allontana li spazia

e inzavorrati calano in buchi neri

questa interna trama della tetra

che è poi il suo riprendersi

il soffio il fiato nostro

 

E di me: non mi tornano i gesti

le parole stesse si sfiorano

si chiude il tempo e traccia un suo cerchio

dolorosamente

persegue un suo disegno, ambiguo,

dove l’occhio si sperde

la rosa di luce che varca mare e cielo

ed essa mi cancella anche altre voci

le mie le vostre

perciò attendo notizie, un segno,

la spirale di fumo

i quieti rumori della casa

 

2

 

L’attesa s’affissa

allo sciogliersi della neve

che ripete il rito di primavera,

è l’orlo della vita

quando tornano alla terra i suoi colori

giallo e bianco

disseminati colori che l’occhio discopre

con meraviglia per noi ora

che forse nulla sappiamo

e non conosciamo

 

Dove il vento porta le nubi

o quando il sole taglia radente il verde delle querce

come sottilmente trama la terra il suo viaggio

 

Nella deriva gli anni accumulati

non colgono il responso:

per routine Sibilla

disperde bizzarre capovolte foglie,

magri segni persistono

sillabazioni che non ci dismalano

che solo ci inducono a percorrere esili tracce,

l’infisso tragitto

e non sappiamo se ospiti o figli

siamo destinati a durare

 

 

3

 

A questo punto solo resta

interrogare il già fatto:

ciglia filiformi capi?

Incunaboli

appena il sole chiude il suo corso

e la notte coniuga vicissitudini

l’intreccio persistente di tremori remoti

 

Poi che ancora? Scivola un’alba da poco

e i chiari suoni li disperde la luce

 

La memoria si gonfia d’acque

per un verde che incrina i dorsali,

spezza d’acchito il bianco, è ancora la neve,

e si allarga in dimensioni astrali:

l’ombelico della vita

il dubbio

se siamo noi con le cose

o se camminiamo in cerca di che non sappiamo

il graffito dei giorni

che ingloba sole e azzurro

il fremito il guizzo del sangue

che si disfa in mondiglia

 

Da Altre contingenze, Caramanica Editore, 1999

lunedì 19 maggio 2025

Rodolfo Di Biasio

 POEMETTO DEI NAUFRAGI E DELLE ROTTAMAZIONI


  «Naviga. Verso dove ci è dato di navigare?»
                              A. Puskin

1

È un aspro mare
questo che batte la riva e la disfa
la disperazione del mare
consegna ancora
a noi
i suoi morti di un giorno

2

Il mare
ha oggi per me questa voce 
– voce d’alghe – 

Il sole e l’azzurto
non disperdono dentro
l’ossessione delle acque
e nella remotezza del cielo
si muta in nero di pece
la luce dei voli

3

Un tempo cupo
il cupo tempo delle rottamazioni:
poco importa
se di uomini o cose

Un tempo d’alghe ci incalza


NOTA. «Non so quanto abbiamo viaggiato. Quello che so è che la mia era una delle quattro o cinque barche sulle quali ci eravamo imbarcati in molti. Solo la mia è arrivata a destinazione: non so cosa sia stato degli altri. So solo che, nel Mediterraneo, a un certo punto, abbiamo visto tanti cadaveri in mare». Storia di Daniel, MSF News, 3, 2003

Rodolfo Di Biasio

 

LE MIE ORE BUONE SONO QUELLE DELL’ALBA

 

Le mie ore buone sono quelle dell’alba

la casa è piena di un suo silenzio

che solo il canto mattutino

dell’uccello dalla cava

per un attimo incrina

 

Il caffè la bollitura del latte

la routine che mi propizia il giorno

l’amuleto che la luce gialla di ginestre

mi mette nelle mani

 

Voi siete ancora quieti

e io posso consumarvi nel pensiero

aspetto la voce sonnolenta che mi chiama,

il mondo è fuori, nel sonno ancora,

i primi rumori sono slabbratura

né lo spessore dell’alba s’irrughisce

 

da Altre contingenze, Caramanica Editore, 1999

venerdì 16 maggio 2025

Eugenio De Signoribus

 DOPO


a ogni assenza patita

s'è spenta una parte di me


anche se nessuna è svanita

ma entrata nel più interiore...


e non sarò cedibile la lista

al mio turno d'uscita


(come un album in dono

o un libro d'ore)


perché il cuore decide da solo

imprevedibile, imperscrutabile


quando battere forte

e trattenere un volto


(e quando chiamo, o chiamano,

rispondono, rispondo


e il colloquio è in profondo

dove non c'è addio)


2020-2021


da Un manoscritto domestico, Portatori d'acqua, 2022

mercoledì 14 maggio 2025

Eugenio De Signoribus

  CASA PERDUTA, 5


qui, non visto, potrò stare

sopra la folla meccanica

nell'avantindietro senza sosta

àugure dal corpo d'uccello


e all'accomiatarsi d'ogni dì feroce

io senza sosta potrò prendermi la notte

e studiarne i buchi neri del consistere

in attesa di segnali luminosi


(ma voi, cerco di ricordare, barlume

che s'incugna nella testa

le vostre facce, dico, non mi sono

nuove né molto liete le vostre parvenze! ...)


da Case perdute, Marka, 1986

lunedì 12 maggio 2025

Eugenio De Signoribus

 (IL PASSAGGIO DEL DECENNIO)



mai del tutto tranquilli e mai
del tutto sazi
siedono sulle ore spinose della sera
con punte di piombo nello stomaco
in cerca d’una disperatamente
erotica visione
e una dialettica che non azzeri
il basso livello d’ossigeno

la comodità della sedia non annulla
il disagio della posizione
comunque si dispongano
il fumo staziona intorno al cervello
e copre sugli alti muri
crepe altrimenti visibili

frullano le parole
piumicole in libertà vigilata
a colpi di saliva si compongono contrasti
per autodifesa, percezione
di distanze remote
e mutazioni presenti
lungo tutta la linea terra-cielo
dove s’accumulano reperti per lo più disumani…

in questo spazio fondo come una vagina
batte la cicatrice del desiderio

e prima di rismarrirsi nella nebbia
ancora del non nato si dolgono

da case perdute, marka, 1986

venerdì 9 maggio 2025

Milo De Angelis

 DUNQUE, AMICA MIA SEI TU


Dunque, amica mia, sei tu questa gioia senza dio
che giunge a un tenero golfo stamattina
e mi dice al telefono ora so ora so
che dalla fine più violenta
può scaturire questo bene, una spiga
di atomi felici dove nasco
e vedo il chiarore infantile di un sentiero e noi siamo
il frutto di un contrasto magistrale
che prepara giorno dopo giorno la lettera d'amore.

da Incontri e agguati, Mondadori, 2015

mercoledì 7 maggio 2025

Giuseppe Conte

 

NON DIMENTICARE IL PIACERE

 

Mio corpo non dimenticare il piacere

che hai preso giorno dopo giorno

la delicata lussuria, il tremore

dei fianchi e delle ginocchia

gli occhi perduti sotto le palpebre

l’aprirsi tiepido di una bocca

la saliva il seme il sudore

insieme, col loro odore

inconfondibile, ed acre e squisito.

Le parole turpi e dolcissime

ripetute in amore all’infinito.

Noi detestiamo gli ipocriti

è vero, mio corpo? lo sappiamo

che il piacere è inutile, vano.

Eppure ancora ne vogliamo.

 

da Ferite e rifioriture, Mondadori 2006

lunedì 5 maggio 2025

Giuseppe Conte

 

L’AMANTE

 

Devoto deve essere l’amante

all’autunno. Non ai venti

torbidi, che fiaccano e fanno bianchi

di meli e di susini i cieli

né alla bonaccia nuda, distesa,

dalle grandi braccia di quiete.

È devoto all’autunno perché rimane

nei raggi obliqui e lunghi di ottobre

negli orti che si spogliano

lenti tra i muri delle case

in ombra, nell’odore

nuovo di pioggia tra i pini e gli allori

qualcosa della fervida spinta cieca,

qualcosa della placata vampa

ma come assottigliato, come fatto

finalmente nitido, in una stanca

matura ricchezza, acini dorati

dimenticati sulla vite, abbaglianti

soltanto l’attimo che incontrano

il sole.

 

[…]

 

Da Le stagioni, BUR, 1988

venerdì 2 maggio 2025

Giuseppe Conte

 IL POMERIGGIO D’AMORE DI DUE TARTARUGHE


Che violenta, sorda, cozzante pazienza
quella della tartaruga maschio, dal
piccolo guscio verde e marrone, che
per tutto il pomeriggio ha stretto al muro
della cunetta nel giardino la
tartaruga femmina, compagna
ben più grande di lui, quieta, pacatamente
ritrosa.
Con la sua testa vischiosa, retrattile
avanzava e le mordeva le
zampe anteriori, poi
quelle posteriori – e chi può dire
la dolcezza del mordere d’amore
di una tartaruga – le sollevava
il guscio, le si infilava
sotto, veloce e determinato più di quanto
gli consentisse la sua natura.
Faticando, ma irriducibile, preciso
tra brevi, ripetuti cozzi, sordi come
di scaglie di pietra, di cavità che si
incontrano, la stringeva al muro e la
mordeva, e se lei provava a fuggire, la
seguiva con un suo breve scatto a
zig-zag.
Poi d’improvviso alzava le sue zampe
anteriori sul guscio di lei, cercava come
un suo equilibrio nello spingere,
brutale ma elastico e di una
sua impensabile tormentata leggerezza.
Lei emetteva un grido
di paura, mai sentito da tartarughe, tanto
che abbiamo creduto subito che fosse
quello di un uccello ferito
caduto o sotto l’abete o tra le
rose del giardino; e Baffo il cane
da caccia correva qua e là senza degnare
la scena di uno sguardo.
Così sino al tramonto hanno giocato
le tartarughe, animali buffi ma capaci
di questo inesauribile cercarsi, di fatiche
immani, di movimenti di avvicinamento
tortuosi e minerali.
Quei gusci, e il loro battere, rintoccare,
pietre impazzite, pietre d’amore, e
quel contatto caldo, invisibile, e per il quale
nessuna, neppure la più aggirante manovra
era superflua. Infine hanno raggiunto il
piacere.
Noi dobbiamo parlare per cercarci, diventare
sguardi, e se fuggiamo insieme forse è per
tentare di morire senza toccarci: carezzare
è difficile per chi
crede di avere un’anima, e baciare
è difficile, o di una tenerezza
troppo facile, troppo raggiungibile
forse.

30 luglio, 9 agosto 1977


da L’ultimo aprile bianco, Società di Poesia, 1979