venerdì 3 maggio 2013

George Gordon Byron


IL SOGNO


I

La nostra vita è duplice: ha un suo mondo
il Sonno che è confine tra le cose
in modo improprio nominate morte
ed esistenza: il Sonno ha un proprio mondo, 
sconfinato reame di realtà primitive. 
Sviluppandosi, i sogni hanno respiro, 
le lacrime, i tormenti e il senso della gioia; 
sui coscienti pensieri essi hanno un peso 
e alle fatiche del giorno lo tolgono, 
dividono il nostro essere e diventano
parte di noi e del tempo, rassomigliano
a araldi dell’eterno; simili a fantasmi 
del passato svaniscono, parlano come 
sibille del futuro; hanno il potere, 
la tirannia del piacere e della pena; 
fanno di noi quel che non fummo, a loro
piacimento, con visioni già passate 
agitandoci e il terrore di svanite ombre. 
Ma è questo che sono? Non è un’ombra 
anche il passato? Cosa sono? Invenzioni 
della mente? Capace di sostanza, 
sa creare pianeti, la mente, e popolarli 
d’ogni più luminoso essere mai esistito, 
e sa infondere vita a forme che alla carne 
sopravvivono. Ma una visione sognata
forse dormendo, vorrei ricordare, 
perché nato dal sonno un pensiero, 
anche un solo pensiero, in sé comprende 
anni e in un’ora racchiude una vita. 


II 
   
Due creature colorite di giovinezza 
vedevo su un’altura, una verde collina 
gentile, dolcemente digradante, 
come l’ultima fosse il promontorio 
d’una lunga catena, senza un mare 
che lo bagni ma con un vivace paesaggio, 
l’onda di boschi e messi, e con dimore
umane tutte sparse là intorno e spirali
di fumo che salivano dai rustici tetti; 
un insolito diadema d’alberi disposti
in cerchio, non da arbitrio di natura 
ma dall’uomo, incoronava la collina. 
I due, un ragazzo e una giovane donna, 
erano incantati: lei fissava la bellezza
(pari alla sua) che si stendeva in basso; 
lui, la giovane. Entrambi erano giovani, 
ma lei sola era bella; erano entrambi 
giovani, ma di gioventù diversa. 
Come la dolce luna appena all’orizzonte, 
la giovane era pronta a farsi donna; 
aveva meno estati il ragazzo ma il cuore 
superava i suoi anni e un solo volto
amato ai suoi occhi esisteva sulla terra
e su di lui splendeva, ora; l’aveva
guardato a lungo perché non potesse
dimenticarlo più; in lei sola aveva 
respiro e vita; lei era la sua voce: 
egli non le parlava, ma ogni sua parola 
lo faceva tremare; era anche la sua vista: 
seguiva con i suoi gli occhi di lei,
che a tutti gli oggetti davano colore,
e vedeva tramite loro; non viveva
più in se stesso: era lei la sua vita, 
e per il fiume dei pensieri l’oceano 
in cui tutto finiva. A ogni cambio
di tono, a ogni suo gesto, gli affluiva
e rifluiva il sangue dalle guance,
che subito cambiavano colore,  
senza che il cuore sapesse la causa
del tormento. Ma lei quei sentimenti 
tanto profondi non li condivideva, 
né per lui sospirava: era un fratello, 
e niente più; era – grazie all’amicizia 
giovanile – già molto per lei, senza 
fratelli, ultima e sola discendente  
d’illustre stirpe. Perché a lui quel nome 
piaceva e non piaceva? Quando lei
amò un altro, egli apprese dal tempo 
la profonda risposta. Anche ora amava 
un altro e dalla vetta del colle scrutava 
lontano se il destriero dell’amato 
volasse al passo della propria attesa.


III

Avvenne un mutamento nello spirito 
del sogno. C’era un’antica magione 
e davanti alle mura un destriero bardato. 
Pallido e solo, in un vecchio Oratorio,
il giovane che ho detto andava avanti 
e indietro; d’improvviso si sedette  
e presa una penna scrisse parole
che non so dirvi, poi chinò la testa
sulle mani, agitandosi sconvolto,
quindi si alzò e coi denti e con le mani 
tremanti fece a pezzi il foglio appena 
scritto; non sparse lacrime. Cercò
di calmarsi assumendo un’espressione 
quieta; in quel momento entrò la donna 
amata: sorrideva serena, pur sapendo
ch’egli l’amava, sì, e sapeva – basta 
poco a capire – che con la sua ombra 
oscurava quel cuore e vide come
fosse infelice, ma non vide tutto.
Egli si alzò e con fredda cortesia 
le prese e strinse una mano. All’istante 
sul suo volto s’incisero pensieri
indicibili, ma subito svanirono.
Lasciò andare la mano che stringeva 
e a passi lenti s’allontanò; ma senza 
dirsi addio si separarono e il sorriso
sulle labbra. Egli uscì dalla robusta 
porta dell’antica magione e salito 
a cavallo se ne andò per la sua strada; 
la vecchia soglia non varcò mai più. 


IV

Avvenne un mutamento nello spirito 
del sogno. Il ragazzo si fece uomo. 
In zone inospitali dai climi infuocati 
trovò casa e con l’anima beveva 
da quei raggi solari; intorno aveva 
gente di pelle scura e strano aspetto; 
egli stesso non era più quello
d’un tempo: errava per mare e per terra. 
Immagini molteplici premevano 
come onde su di me, egli in tutte 
aveva parte. Nell’ultima, disteso
giaceva riposando dall’afa meridiana  
tra colonne abbattute, all’ombra 
di muraglie in rovina sopravvissute 
ai nomi di coloro che le avevano alzate;
al suo fianco nel luogo dove stava 
dormendo pascolavano cammelli 
e accanto a una fonte erano legati
superbi destrieri; intanto un uomo 
con un largo costume era di guardia 
mentre molti altri della sua tribù 
dormivano là intorno sotto l’azzurra 
volta di un cielo così chiaro e terso 
e di bellezza così pura che solo 
lassù poteva essere visto Dio .



V

Avvenne un mutamento nello spirito 
del sogno. La donna amata era 
stata sposata a uno che non l’amava 
più di lui, e viveva in una casa 
mille leghe lontana, la stessa casa 
dov’era nata, e intorno le cresceva 
l’Infanzia, figli e figlie della bellezza.
Ma – vedete? – ha sul volto il colorito 
della pena, l’ombra decisa d’un rovello
interiore, occhi inquieti e bassi come 
avesse ciglia colme di lacrime non sparse.
Qual era la sua pena? Non aveva
tutto quello che amava? Chi l’aveva
tanto amata non era lì a turbare 
con speranze insensate o con cattivi
desideri o tormenti mal repressi
i suoi puri pensieri. La sua pena
qual era? Non l’aveva mai amato,
né per sentirsi amato ebbe motivo,
lui, né aveva parte in ciò che le assillava 
la mente: era uno spettro del passato.


VI

Avvenne un mutamento nello spirito 
del sogno. Il viaggiatore era tornato.
Lo vedevo davanti a un altare, 
e aveva al fianco una sposa gentile, 
con un volto adorabile: non certo 
la stella luminosa della sua fanciullezza.  
Là, stando in piedi davanti all’altare, 
sulla fronte gli apparve la stessa 
espressione, e tremò della stessa 
violenta emozione che nell’antico
Oratorio gli aveva scosso il cuore;
per un attimo sul volto, come allora,
s’incisero indicibili pensieri 
che subito svanirono; restò 
calmo e tranquillo, pronunciando i voti 
di rito, senza udirne le parole,
ed ogni cosa gli ruotava intorno. 
Non vide quel che accadde o doveva 
accadere. L’antica magione, le sale 
abituali, le stanze note, il luogo, 
il giorno, l’ora, ombra e luce del sole, 
le cose che a quel luogo e a quell’ora 
appartennero e lei, il suo destino: 
tutto gli tornò in mente e s’interpose 
fra sé e la luce. Che avevano da fare 
là, proprio in quel momento?    


VII

Avvenne un mutamento nello spirito
del sogno. La donna ch’egli amava…
ah, com’era cambiata! Come fosse
malata nell’anima. La sua mente 
s’era smarrita e gli occhi non avevano
più quel loro splendore, ma uno sguardo
non più terreno; era ormai la regina
di un reame irreale; i suoi pensieri
confondevano cose tra loro incoerenti;
impalpabili forme, a occhi normali 
invisibili, per lei erano familiari.
Un delirio: così lo chiama il mondo.
Ma la follia dei saggi è più profonda
ed è un dono terribile lo sguardo
della malinconia, un telescopio
di verità. Denuda la distanza
delle proprie illusioni, ci avvicina                              
la vita in tutta la sua nudità
e la fredda realtà fa più reale.


VIII

Avvenne un mutamento nello spirito
del sogno. Il viaggiatore come un tempo 
era solo. Chi prima lo attorniava
se n’era andato o adesso gli faceva
guerra; era bersagliato da sventura
e dolore, accerchiato dalle liti
e dall’odio; la pena era mischiata
a tutto quel che gli veniva offerto,
finché, come l’antico re del Ponto,
di quei veleni, resi inefficaci, 
prese a nutrirsi, ne fece il suo cibo:
visse così di quel che ad altri avrebbe
dato morte. Si fece amici i monti;
con le stelle e lo spirito vivente
dell’universo conversava e apprese
i loro magici misteri; il libro
della Notte per lui era spalancato
e voci dal profondo degli abissi
prodigi gli svelavano e misteri.
E così sia. 


IX

                   S’era concluso il sogno 
e più non ebbe mutamento. Strano 
come la sorte delle due creature 
fosse descritta in modo tanto reale:
una finita folle, e tutt’e due infelici.

Traduzione di Francesco Dalessandro

da Il sogno e altri pezzi domestici, Il Labirinto, 2008

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