mercoledì 18 maggio 2016

Camillo Sbarbaro

PIANISSIMO, Prima parte, 4

Esco dalla lussuria.
                                    M’incammino
pei lastrici sonori nella notte.
Non ho rimorso e turbamento. Sono
solo tranquillo immensamente.
                                                          Pure
qualche cosa è cambiato in me, qualcosa
fuori di me.
                      Ché la città mi pare
sia fatta immensamente vasta e vuota,
una città di pietra che nessuno
abiti, dove la Necessità
sola conduca i carri e suoni l’ore.
A queste vie simmetriche e deserte
a queste case mute sono simile.
Partecipo alla loro indifferenza,
alla loro immobilità.
                                      Mi pare
d’esser sordo ed opaco come loro,
d’esser fatto di pietra come loro.
Ché il mio padre e la mia sorella sono
lontani, come morti da tanti anni,
come sepolti già nella memoria.
Il nome dell’amico è un nome vano.
Tra me e loro s’è interposto il mio
peccato come immobile macigno.
E se sapessi che il mio padre è morto,
al qual pensando mi piangeva il cuore
di essere lontano ora che i giorni
della vita comune son contati,
se mi dicesser che il mio padre è morto,
sento bene che adesso non potrei
piangere.

Son come posto fuori della vita,
una macchima io stesso che obbedisce,
come il carro e la strada necessario.

Ma non riesco a dolermene.

                                                    Cammino
pei lastrici sonori della notte.



Da Pianissimo, Marsilio, 2001

1 commento:

  1. leggere le poesie di Sbarbaro è sempre un occasione di riflessione sulle ragioni della vita e sull'innocenza perduta.
    Grazie Francesco per la frequenza con cui proponi questo grande poeta del 900. Sarebbe meritevole parlarne spesso anche altrove, per portare la sua flottiglia di navicelle poetiche ad una oceanica conoscenza.
    Un caro saluto
    Francesco

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