DA UNA PIÙ CHIARA VOLONTÀ
Più si fa buia e più è luminosa
la vita quando se ne va
perché l’ultima
luce
nasce da una più chiara volontà
(inedita)
DA UNA PIÙ CHIARA VOLONTÀ
Più si fa buia e più è luminosa
la vita quando se ne va
perché l’ultima
luce
nasce da una più chiara volontà
(inedita)
QUALE LA DIFFERENZA
Quale la differenza
fra te e me
quale tra la vita e la morte
ti porto fiori, ne sei contento
ma li lasci sulla tomba
a chi passa, perché tu
vieni in me con me al paese
forse pure dove sei ora
non credi in Dio
mi somigli, vuoi gente uccelli
esci fuori dalla terra
porti legna, del figlio
indossi cranio e viso, padre mio.
da Anna sa, Il Labirinto, 2023
POEMETTO DELLA TREGUA
1
Le strade tutte alle spalle,
le irrisolte strade,
e il loro frastuono
quei lampi che segnarono
il cuore di furori
Rosse in un incendio
vi fiorirono tutte le cose
le rose della vita
2
La tregua:
la richiede il cuore
le sue tessiture
risultano dosaggio
di lente alchimie
Si muove
in una penombra di sangue ispessito
Precipizi
i suoi silenzi sempre più lunghi
3
E' questo il tempo (il luogo?)
delle quiete interrogazioni
se fuori
sui muri trapassa
un fiato di vento
il luminoso filo della luna
Tutto è al di là e oscuro:
vi trascorrono
in un incrinato specchio
terra e cielo,
si confondono
in un incastro di corrispondenze
Presiede alla notte
l'abrasa memoria delle cose
delle rose della vita
Da Tutte le poesie, Ghenomena, 2021
(infanzia)
Ecco che
mi vengono in sogno alberi alti come palazzi
stretti
dentro cortili, dentro i ricordi di un’infanzia
selvatica
e nuda.
Mi vengono
in mente
forse mi
seguivano con le loro stille
con i loro
getti scomposti dentro un’infanzia di gocce,
lacrime
d’ambra senza valore.
Si muovono
gli alberi, coi loro piedi pesanti di terra, coi loro legni asciutti
ed è tutto
un muoversi dentro
tutto un
rincorrersi di giardini parlanti.
Ho paura
di trovarmi intrappolata nei giardini
in quei
giardini chiusi, con alberi giganti e vivi
vivi, in
movimento, sussurranti
coi loro
gesti scomposti con le loro lacrime d’ambra.
(inedita)
ALLA MIA GATTA PARLO
Alla mia gatta parlo ˗ sono, le mie, lallazioni,
sproloqui, discorsi sulla salute, la politica,
l’economia, il clima, intime confessioni.
Per
carità lei dritta sul pavimento ascolta ˗ intenta ˗
però alla lunga sbadiglia, serra gli
occhi, li
schiude per richiuderli ancora ˗ definitivamente
˗
è ormai assopita. Così i miei più
impegnativi
discorsi non fanno che conciliarle il
sonno.
Ma a un tratto sgrana gli occhi, drizza le
orecchie
è un frullo d’ali fuori della finestra ˗ è
desta.
da Alla mia gatta parlo, Il Labirinto, 2024
IL LUNGO POEMA
Questo è il lungo poema che nessuno scrisse
che volle nascere da solo nel tiepido letto di belle
stagioni finite.
Nacque nella mente,
in una o più menti aperte nei dormiveglia domenicali
un poema di nuvole, assonnato
un poema per sonnambuli
adottato da tutti ché tutti avrebbero voluto scrivere
e che nessuno scrisse.
Fu il tragico di un giorno di riposo che ci portò improvvisa
alla coscienza
l’esistenza di parole inutili che non volevano essere
scritte.
Sfidando l’abulico vuoto in cui galleggiava il testo
tra il sonno e la veglia le cogliemmo: parole anche garbate,
silenziose
meste
-e noi
volevamo farne rumore.
Questo è il lungo poema che nessuno scrisse
poiché risvegliati dal sonno ancora a lungo dormimmo.
E come pietra fu il nostro sogno una dura sostanza
atta a costruire un mondo in apparenza vero ma che no, vero
non fu mai.
Questo lungo poema che
nessuno scrisse somiglia già da ora
ad una donna bellissima che
tutti hanno amato e nessuno ha mai veramente voluto.
Il lungo poema è una donna
rimasta sola
che per non perdere la
faccia sorride misteriosa.
(inedita)
POSSIBILE CHE QUALCUNO ASCOLTI
Possibile che qualcuno ascolti
il nostro vocio
la parola
l'ininterrotto ronzio che facciamo
per misurare quello che c'è
e quello che non c'è
l'albero dell'io che continua a frusciare
a cicalare per il vasto mondo?
da Frammenti di nobili cose, Passigli, 2023
SE NOI SCORDASSIMO IL SOLE
se noi scordassimo il sole d'estate che ci
scortava se una strada di sabbia
verso la tela azzurrissima del mare
se avessimo già scordato il riflesso viola dell'acqua
gettata sugli scogli dai tagli del vento
se volontariamente ci scordassimo
di sperimentare la bellezza della terra o avessimo già scordato
tutti i pensieri d'amore che risucchiando il respiro
ci hanno fatto tremare
una volta almeno dovremmo girarci per guardare indietro
da Vivi al mondo, Vallecchi, 2023
XLIII
Neghittoso affondando nella più nera
accidia, cedo poteri e possessi: in un fascio
solo ricordi, pensieri - e mi lascio
la lussuria per sola chimera.
Torno al finito, al profano, alla carne.
Il tempo dei sortilegi gira in tondo
e fa di me, mentre rincanta il mondo,
un favoloso animale parlante.
da In quattro, Il Labirinto, 2006
LO SPIRITO, DICE IL SAGGIO
Lo spirito, dice il saggio, è la punta dell'anima.
La cuspide del cuore. Qualcosa
che riecheggia, dentro,
e che non smette di far luce.
Non c'è diavolo che tenga,
per quanto, cocciuti come lama,
i diavoli insistano a ripetere
che tutto si fa polvere e non vale,
gli invidiosi funamboli del niente,
i praticanti nel commercio della materia,
viziosi per rappresaglia contro la vita vera.
da Frammenti di nobili cose, Passigli 2023
PER MESI NON HO PIÙ SCRITTO
per mesi non ho più scritto
ho guardato il paesaggio dalle colline intorno a San Casciano
seguito il volo in bianco e nero delle gazze
il traffico di macchine sulla statale che porta all'autostrada
gli alberi da frutto gli ulivi vicino al casale
ho tenuto gli occhi aperti senza sbattere le palpebre
- sono stata eroica nella mia fissità -
anche se l'autostrada scorreva con un rumore d'acciaio
e le colline si coprivano di nebbia commemorando il passato
imitando il silenzio della fine
da Vivi al mondo, Vallecchi, 2023
IN GIARDINO
Provo imbarazzo mentre mi guardi
ché per guardarmi meglio ti metti di profilo.
Resto immobile nemmeno respiro
che questo incontro duri
che duri questa estate.
Mentre guardi e scopri la morte
come un parassita nelle mie piume nere
vedo la nostra età che si congiunge.
Provo imbarazzo per queste aperture
queste scissioni nel tempo
per tutti questi pezzi che mi cadono intorno.
Lo so che hai visto
e non vorrei deluderti
non ti somiglio ma potrei
potrei attraversare la striscia soleggiata
di questo mondo uguale
di questo istante ugualmente eterno
(inedita)
DICEMBRE
Tu mi hai sospinto
al centro del dolore melodioso
che dà la febbre del riposo
con gli occhi schiusi del perdono.
Ed ora lasciami accogliere
la tua verità interdetta
nella mia fertile ferita.
Morirò sotto un olmo
tra il fruscio di sterpi non ancora riarsi,
risparmiati dal tenue raggelare
di un pietoso mattino di dicembre.
da La radice e l'ala, Edizioni del Leone, 2000
PARIDE E ELENA
(Iliade,
III)
Non riesco ancora
a credere al prodigio che accadde.
Vidi la morte in
faccia, in quegli occhi terribili. M’aveva
atterrato di colpo
e steso al suolo ero alla sua mercè,
impaurito,
aspettando che il bronzo della lancia
m’affondasse nel
collo. Mi sentii perso e credetti arrivata
l’ora in cui sarei
morto come un cane davanti
al grande Menelao,
l’implacabile atride. Ma ebbi invece
la fortuna incredibile
che in quell’ultimo istante
pietosa accorse a
salvarmi Afrodite. La dea dal dolce
sorriso avvolse il
mio corpo con un’oscura nebbia
in modo da evitare
che quell’uomo funesto scaricasse
addosso a me la
sua furia omicida. Sulle braccia
protettive mi
trasse per l’aria fino a Troia,
la mia città, e
lì, dolcemente, mi depose sul letto
fresco e soffice accanto
a Elena. Nella battaglia d’amore
subito
s’impegnarono i nostri corpi e come allora mai,
lo giuro, il
desiderio accese in noi un fuoco tanto vivo.
Mentre qui
giaccio, i guerrieri troiani
proseguono
instancabili la lotta senza fine con gli achei;
il fragore delle
armi ne ascolto e le orribili grida
degli uomini
morenti. Sembra eterna la guerra.
Dura già da nove
anni; ebbe, lo sanno tutti, la sua origine
nei fatti che riguardano
proprio me: il rapimento
che un giorno io
tramai di Elena, la più bella,
l’amatissima
moglie di Menelao di Sparta.
Non lo nego,
tradii il monarca magnanimo e clemente
e che con grandi
onori m’aveva accolto a corte.
No, non seppi né
volli negarmi al fascino indicibile
della giovane
sposa. Fu tutt’uno il vederla e l’arrendermi
ai suoi occhi, che
subito impararono a guardarsi
nei miei con il
mio stesso abbandono. È così
sempre: l’amore
non tarda a possedere chi vuole servirlo.
Poi, la fuga.
Giungemmo, dopo un viaggio difficile,
alla ben costruita
città del padre mio, Priamo il re,
la bellissima
Troia e di lì a poco ebbe inizio
questa guerra
cruenta, perché io non accettai
che Elena tornasse
in patria, come i nobili achei
pretendevano,
giunti fino a qui con gli eserciti
per riscattarla. Con
ciò m’attirai non solo l’odio
e il disprezzo dei
popoli riuniti d’Acaia,
ma anche la
ripugnanza degli stessi troiani;
che, sebbene al
momento, come me, conquistati
da Elena, s’opposero
tutti, ostinati, con fermezza
maggiore della
mia, a lasciarla partire con i suoi,
vedono in me la
causa del dolore e dei mali
atroci provocati
dalla guerra. Pensano tutti che
sono solo un
codardo, un presuntuoso seduttore,
che si spaventa a
battersi come un uomo, capace
solo delle battaglie
amorose con le donne.
Non tutto quel che
dicono di me è vero, ma certo
non sono qualità di
guerriero che prevalgono in me.
So che Ilio dovrà
essere distrutta: le sue mura
e le torri
cadranno; case e palazzi saccheggiati
e fino all’ultimo incendiati.
Impietose, le Parche
meditano a ogni
troiano una morte spaventosa.
Non era in mio
potere impedire che il popolo soffrisse,
con eroica
fermezza, disgrazie come queste.
Non sono io il
colpevole, sebbene gli uni e gli altri
lo credano. Non
gli uomini decidono del loro
destino; solo gli
dèi eterni e capricciosi stabiliscono il corso
della nostra
esistenza. E Afrodite, la dèa di belle forme,
dispose, per me ed
Elena, fin dalla prima volta
che ci vedemmo a
Sparta, che sfolgorasse in noi
l’amore che ci
fece creature luminose, estranee a tutto
che non fosse
l’affanno e la fatica dolce di amarsi.
No, io lo so, non
è nostra la colpa; ché tramarono
i cieli quest’amore
e questa guerra.
Ancora s’ode
lo strepito
orribile degli uomini che senza tregua combattono
nell’immensa
pianura innanzi a Troia. Nel letto,
al mio fianco c’è
Elena. S’è appena addormentata.
Dopo l’amore, il
sonno s’è posato sui suoi occhi. Ora devo
vestire ancora le
armi per tornare in battaglia. Là mi aspettano.
Traduzione di Francesco Dalessandro
da La vida, Tusquets Editores, 1996
VOCI
S'udì, da qualche parte, un avviso,
come un pianto.
Di che? - i più accorti si chiesero -
Per quale sbando?
Seguirono troppe ipotesi,
tante che fu opportuno
rinviare il dilemma.
(Era una fine, un inizio,
lo stemma
di una sciagura sviata?)
Ciascuno tornò sui suoi passi
con un altro assillo,
nel cuore malfermo un rigo
d'ansia, un grido costretto,
forse un sigillo.
Roma, 1 febbraio 2020
da L'avventura di restare, Crocetti Editore
AL MATTINO
Risvegliarsi
un bel giorno per scoprire
che
la cupa minaccia che la morte
per
tanto tempo mise nella nostra
vita
ora non ci fissa più negli occhi,
coi
suoi occhi terribili.
Che accade?
Da
dove nasce in casa mia un silenzio
così
puro e una quiete fino ad ora
dimenticata?
Chi ha aperto il balcone
e
vi ha posato un vaso di gerani?
E
lentamente entra davvero il sole
nella
stanza e accarezza questa sedia,
il
pavimento, le mani, la testa,
il
petto grato, il mio cuore che canta?
Traduzione di Francesco Dalessandro
Da Las cosas como fueron, Tusquets Editores, 2018
ULTERIORI NOTIZIE DI ULISSE
"Tu lo ricordi il pastore,
Ulisse l'astuto amava definirsi,
guerriero di terza fila
che vantava qualche dio fra gli antenati
- come tutti noi, del resto -
e un regno a cui tornare?
E quelle voci, poi,
da lui create ad arte
di imprese improbabili,
di mostri e lutti atroci?
Ridevamo alle sue storie,
riempiendogli il bicchiere
e dandoci di gomito...
Adesso dicono che abbia attraversato il mare
per una terra in cui qualcuno
potesse dargli un nome e un luogo;
persi i compagni, rimasto solo e nudo
con sogni morti, ed aggrappato
a una menzogna ripetuta all'infinito
- Sono Nessuno, come tutti -
ad ogni passo più vischiosamente vera
mentre lui s'incamminava scalzo
verso il miraggio della sua Penelope."
da Seracchi e morene, Passigli, 2024
ANCORA LA POESIA
Era
da tempo ormai che la mia mano
non
scriveva più versi e mi dicevo
spesso:
“Può darsi che non tornerai
più a
scriverne; magari la poesia
non
vuole appartenerti o accompagnarti,
né
donarti il fervore che rendeva
bella
la vita; a volte è immeritato
ardere
in questo fuoco, pronunciare
le
parole che i cieli concedono a chi è degno
di
celebrare le cose del mondo
e
averne sulle labbra il sentimento”.
Spesso m’accompagnava
questo
pensiero nell’inquieto andare
solo
come un proscritto nella notte
che
non regge più il peso della colpa
né
il dolore d’esser stato scagliato
nell’ombra
da un mandato
severo
ed implacabile.
E
guardando quegli alberi che crescono
in
una vecchia piazza della città in cui vivo,
il
volo di un uccello ed i fulgori
misteriosi
di un corpo che s’abbandona sento
che
la parola non ha più il potere
di
riversare sulla carta bianca
la
grazia ed il tremore della vita.
Pure
infine stasera, d’improvviso,
mentre
il sole già stanco se ne andava
e
non immaginavo d’esser chiamato ancora,
ho
sentito una voce che diceva:
“Prendi
la penna, scrivi”.
Traduzione di Francesco Dalessandro
Da Las cosas como fueron, Tusquets Editores, 2018
da PAUL-JEAN TOULET
Oh, mio dolore
Tenero rovello
Venere in fiore
Dall'empio cuore
Dal culo bello
da La strada di Morandi, Passigli Poesia, 2024
CANZONETTA MORTALE
Finché ci arse il
fuoco
non importò
sapere
se era maschera o
volto
riflesso nello
specchio
però quando nel
gelo
morì l’ardente
cuore
la mente ne fu
vinta
si ravvivò il
dolore
SCORAGGIAVANO LA NOIA
Scoraggiavano la noia in quel passaggio di tempo artefatto - arrese le spalle di agosto all'afa, un poco respinta dalle persiane accostate. In penombra corpi e pensieri - nudi entrambi come le voci di bambini che salivano dal cortile e d'aria fresca riempivano la stanza. E loro lì ad aspettare, a sperare nell'abbraccio leggero di chi crede nell'attimo e nell'attimo adagia il suo domani. Sciolte sotto la lingua le parole, a poco a poco, si dissolvevano naufraghe com'erano, aggrappate a relitti di passate pronunce. Davanti alla loro fallita bellezza, l'intimità occhieggiava esclusa, né l'invitarono a entrare convinti bastasse quell'abbraccio. Scarna, dal soffitto, la lampadina era l'occhio delle cose e lo specchio macchiato dall'incostanza li guardava li guardava perplesso; la libreria di profilo ostentava indifferenza; l'armadio, piccolo, ma severo sospirava. La camicia azzurra di lui impaziente e languida abbracciata alla sedia; il vestito nero di lei malinconico e fiero adagiato sul tavolo accanto ai libri; le scarpe quiete sul pavimento; la foto audace di Helmut Newton sul retro della porta. E lei nel letto tra lui e la parete, cercava di smentire la sua fede diluendola col fiato del dubbio poiché sentiva che la profondità che lui cercava era oltre la moltitudine che lui soltanto sfiorava.
da Corpo di fondo, peQuod, 2024
LA BIANCA NEVE
da Guillaume Apollinaire
Gli angeli gli angeli nel cielo
Uno è vestito da ufficiale
Uno è vestito da cuoco
E gli altri cantano
Bell’ufficiale dal color del cielo
Dopo Natale a lungo la dolce primavera
D’un bel sole decorerà il tuo petto
D’un bel sole
Il cuoco spenna le oche
Ah! Nevica
Nevica e non ho io
Qui tra le braccia l’amor mio
Da La strada di Morandi, Passigli Poesia, 2024
LA POESIA
a Roberto Pagan
E la Poesia? No, per me non ha gioie
dolci
come un meriggio sonnolento
o sere colme del miele
dell’indolenza.
John
Keats, Ode sull’Indolenza
Te beato – gli scrivo – che
confini
i versi nel cassetto e alla
poesia
destini solo i resti della cena
e le concedi appena un’ora d’aria
ogni sera, beato se ti lecca
la mano con la quale la bastoni
invece io non riesco
a farmi una ragione della rabbia
con cui cerca di mordermi
se solo provo a farle una carezza
Non
è più la poesia che può salvarti
la
vita – mi risponde – non è più
la
parola il tuo balsamo, hai smarrita
l’ironia
la tua voce
s’è
arrochita non resta che il silenzio
SONO LIBRI DIFFICILI
vacillano le scale dell'inverno
A. Z.
Sono libri difficili, pagine oscure, ma non vuoi che ti basti
vivere con il pasto che aspetta coperto da un piatto
dopo la scuola, un futuro migliore di speranze non tue.
Viene luce più tardi. Il cielo rimena
macerie. L'erba è stremata. Tu non capisci tutto
ma sei sicuro che capiscono te
le parole che un uomo ha scritto e ti immagini
la sua vita, con quei pensieri, la pianura
e la città di ferro che ordina in cerchio l'inverno,
luce che piove amara, uno lo ferma per strada
vicino all'erba, ai container, parlano di quelle cose.
da Dove sono gli anni, Garzanti, 2022
È UNA SOLA, IN RITARDO
È una sola, in ritardo
segue un piccolo scarto e pare incredula
come chi la osserva, l’ala
si fa di colpo trasparente
ma è appena un passo
scrupoloso di danza uno di più
mentre ritrova
la consegna del nero, l’eleganza
veloce di grafia per una pagina
che ha luce di mattino e non si perde
da La strada di Morandi, Passigli Poesia, 2024
NEL GIORNO DEI MORTI
Nel mese più
stanco, nel giorno
dei morti – è già
un mese
che manchi –
giorno freddo
e assolato come
allora
sul crinale dei
monti sul rame
del bosco sui
tetti sull’erba
delle siepi sui
bordi
della strada dove
ora si scioglie
la brina notturna
«è il respiro
dei morti» quella
voce
inconoscibile fra
tante
«è il fiato perso
dei cari
morti: hanno
freddo e il loro
fiato gela…»
È
quella voce
flebile più del
vento fra le piante
e i muri a
chiarirmi quanta vita
e quanta morte sono
state
necessarie ai
sentimenti
e che fuoco può
perderci tutti
o affinare i
nostri sensi nel lento
maturare dei
giorni, ma a te
la coscienza (o
forse l’anima, se
potessimo
crederlo) a te parla
sotto il sole
scegliendo
come
il corvo tra i frutti avvelenati
dalle
piogge d’autunno le parole
non
dette, le vere…
«Perché,
se fu come il
saluto a chi parte
per un viaggio in
paesi lontani,
se fu solo per
questo che tutti
tutti ci unimmo
nel mattino
assolato di
ottobre, se il pianto
era giusto e dovuto
a te uscito
dai nostri giorni,
perché
come fosse una colpa
io perché
sentivo quel muto
lasciarti
andare?
Non c’era più tempo –
per me che
pensavo di avere
tutto il tempo – per
dirti
il bene taciuto
le segrete amarezze
di una muta adolescenza
senza voce e senza
ascolto
né amore o della
timida ricerca
del suo suono…
Perché
non restavano che
le parole
non dette l’ascolto
mancato
della voce il non
dire l’abbandono
del vero nel
silenzio
o non fu
il tuo riserbo di
padre
e d’uomo nato al
dovere nell’avara
solitudine di
questa terra
senza abbandoni?
Se è vera
l’immagine
dell’inquietudine
e oscura, che ne è
del-
l’orgoglio ferito
ma vivo
che accompagna questi
anni
e li consola? che
mai
ne sarà ti domando
sì che
ne sarà domani di
me
in tutto questo vuoto,
in tutto
questo silenzio e
quell’azzurro
senza voli? e che
cosa
mi resta da fare
(o non
fare) per non
cadere in ogni
sguardo per non
morire
solo a ogni passo
un giorno
dopo l’altro
un’ora dopo
l’altra?»
Ma sono
i pensieri il metronomo sordo
dei passi lungo la strada
polverosa dove altri camminano
con noi a coppie a gruppi
di tre di quattro sotto il sole
già alto che si alterna
con l'ombra delle piante nel giorno
della visita ai morti, a chi ora
dorme sonni insensati e
perfetti e non ricorda più affanni
o sogni.
LA TROVATA
né dove vele leggere sfioccano
levatissima luce e fermi duomi
insistono preziosi
suoni metallici.
Io ti farei
a pezzi, io con Catullo,
Orazio, Cavalcanti e Conrad,
a pezzi, Lesbia per tutte,
dentro una biblioteca grande
come l’inferno, con tutti gli altri
fratelli che recitano i nostri versi
a memoria, tutti i versi rimasti
per noi di catasta, assassini in
ritardo, in permuta, ammazzatissimi
da parole effimere, risorti a mala
pena nelle nostre tenaci, ignote
o meno, comunque impresse
su carta, lapidi, muri
di compassione, e poi morti
di crepacuore uno dopo
l’altro, in attesa di questa
fàida, di questo giudizio
di condannati.
Sarebbe un sabba schiacciante,
un antro immenso che fuma,
che fùlmina, GLI STREGONI
SIAMO
NOI, gli occhi
paonazzi di sangue, i nostri
cani latranti, le scuri
possenti, l’incanto
del sacrificio. Poi
il colonnello
Kurtz chiamerebbe il silenzio:
«Il buco nero sigillato dalla lava
vulcanica è aperto,
lo è sempre stato. Era una tenda
triste, intessuta da loro per
accecarci. Di là c’è il mare».
E andremmo uno
a uno dietro di lui, senza spingere
né commentare, perché l’abitudine
abitua, in una fila lunghissima
e dignitosa, poiché comunque
si è morti, di là dal buio
e dal velo su una spiaggia
bianchissima per calore
e cristalli, dove vele leggere sfioccano
levatissima luce e fermi duomi
insistono preziosi
suoni metallici.
«Je vois un
port rempli de voiles et de mâts»,
ridirebbe l’uomo morto di cancro
alla voce, «dovevamo saperlo, lo
sapevamo!». E correndo su e giù
per la fila, sfiorando e risfiorando
quell’acqua verde, come un cane di branco
arrivato al pascolo, ma più festoso
ancora di Argo, a tutti gli altri
Odissei l’urlerebbe, scuotendoli
per le spalle, carezzandone
le nuche, se li vedesse piangere
di commozione,
o rammarico.
da Tutte le poesie, Europa Edizioni, 2019
CONTENEVA PAROLE
Conteneva parole che non riusciva a vivere e vita che non riusciva a dire, fino a quando vivere e dire furono un tutt'uno e li sentì, in sé, scorrere abbracciati. Abbracciata lei alla promessa scambiata con se stessa di rendere applicabili le teorie che le suggeriva il silenzio e certi sguardi che le persone non sanno di avere. Sguardi staccati dal corpo e dall'anima in cui a volte si scorge l'ombra di un frullo d'ali, un balenio di luce limpida - avanzo intatto d'infanzia. Sguardi con mani e labbra perché sia possibile fare e predire il presente.
da Corpo di fondo, peQuod, 2024
PER ALBERTO TONI
I
Come dimenticare, amico, quella neve
caduta nell'inverno dell'85?
Il tuo timore per il gelo
che a me pareva invece una promessa
limpida, pungente come l'aria
del tempo non ancora trentenne, a Roma
in quell'inverno dell'85
II
Un giovane poeta
locuzione legata al mio incontrarti
eri tu un giovane poeta, ti ascoltavo
ammirato e pensavo: ma non erano
i tanti anni di una vita e di studio
a farne uno semmai? Rainer
Maria sembrava suggerirlo ma tu
leggevi il tuo "universo trentenne"
sotto gli angeli immobili del ponte
che rivedo riflessi
di notte nel fluire del Tevere
da La strada di Morandi, Passigli Poesia, 2024