mercoledì 30 luglio 2025

Domenico Ludovici

DOMENICO LUDOVICI 


Di Domenico Ludovici, il 21 ottobre 2011 avevo pubblicato, su questo blog  i tre sonetti intitolati Compianto, aggiungendo – in deroga a quanto faccio di solito – una breve nota esplicativa sull’autore, che qui non ripeto (e più sotto se ne comprenderà il perché).

        Qualche giorno dopo, l’autore della poesia mandò un lungo commento a quel post. La cosa mi sorprese e incuriosì. Il perché ognuno potrà intuirlo continuando a leggere questa nota. Infatti, mi è sembrato giusto non lasciarlo solo a margine di quella vecchia pagina e dunque di riproporlo ai lettori di queste poesie. Ho solo tagliato le righe finali che molto gratificano me e la mia poesia, ma poco interesserebbero chi legge. Prima, però, ritenni di spiegare a Ludovici come, grazie a Severino Fonte, allora scomparso da poco, conobbi il suo dattiloscritto. 

        Severino, fra le molte cose cui si dedicava, era consulente e lettore per una piccola casa editrice e in quella veste, diversi anni fa, ebbe tra le mani il dattiloscritto del libro di Ludovici, Sonetti del nostro adulterio. Ecco quel che mi scrisse, spedendomi il dattiloscritto: «Domenico Ludovici è uno pseudonimo. Era il nome di un erudito gesuita d’inizio Settecento (mai sentito? pare fosse un tuo compaesano), del quale si può leggere ne Le vite degli illustri aquilani di Alfonso Dragonetti; scrisse anche carmi in latino a imitazione di Tibullo, nei quali però, commenta Dragonetti, “indarno vi cercherete la dolce anima e l’ardente affetto del cantore di Delia”). Nessuno conosce la sua vera identità. L’editore è convinto che sia uno stimato professionista (avvocato? notaio?) operante fra L’Aquila e Roma. Il mio parere è stato favorevole alla pubblicazione (suggerendo solo di modificare il titolo), nonostante il linguaggio piuttosto spinto, quasi al limite della pornografia, se non fosse riscattato dalla delicatezza del tono e dalla sincerità della passione; ma l’editore all’ultimo momento ha avuto paura. Leggi un po’ tu e dimmi che ne pensi. P.S.: ho cercato di rintracciare l’autore, scrivendo alla casella postale che c’era sul dattiloscritto, ma la lettera m’è tornata indietro».

     Lessi, e restai un po’ sconcertato anch’io dalla crudezza del linguaggio, ma anche affascinato, perché le poesie mi sembrarono delicate, addirittura tenere e forse anche ingenue, a momenti. Glielo scrissi e la cosa finì lì.

     Dopo la sua scomparsa, quel dattiloscritto mi è tornato tra le mani e l’ho riletto. Rimuginando sulla stranezza della vicenda, ho cominciato a chiedermi se non fosse possibile che sotto lo pseudonimo di Domenico Ludovici si celasse il mio amico stesso; cosa davvero sorprendente, perché – non l’ho ancora detto – Severino Fonte era un sacerdote, ma troppe erano le coincidenze: lo pseudonimo, lo strano riferimento al gesuita del Sei-Settecento venuto fuori non si sa come, la casella postale non più attiva... Comunque, decisi di scegliere una poesia e di pubblicarla, come omaggio al mio amico. Il libro, come dice il titolo, è un breve canzoniere d’amore (rifacimento novecentesco di un qualunque petrarchista del Cinquecento, o moderno e più attuale riferimento ai bei sonetti di Berryman?) su un adulterio e termina con la morte prematura della donna che lo ispirò. Evitando le poesie più esplicite, scelsi l’ultima, un Compianto sulla scomparsa della donna, e la misi sul blog. Aggiunsi una nota che riproduceva quasi alla lettera il biglietto del mio amico, precisando che pubblicavo senza l’autorizzazione dell’autore perché impossibilitato a contattarlo.  

    Questa è la storia. Immaginatevi la mia sorpresa leggendo il commento al post. In un colpo solo scoprivo che Severino aveva torto a pensare – chissà? forse immaginando che l’autore non si sarebbe esposto a un riconoscimento, data la materia – che Domenico Ludovici fosse uno pseudonimo, che perciò quel gesuita non c’entrava niente; e che avevo torto anch’io a credere la storia una bella invenzione dello stesso Severino. Ma ecco ora il commento di Ludovici (al quale credo di non dover aggiungere altro).

 

    «Solo da poco, per una serie di (fortunate) circostanze, ho scoperto l’esistenza di questo blog e del particolare che una mia poesia vi era pubblicata. Ho letto divertito la nota che l’accompagna. Divertito perché essa, almeno per la prima metà, è assolutamente priva di fondamento. Tuttavia, essendo stata scritta assolutamente in buona fede, merita una spiegazione.

   La convinzione del curatore del blog che il mio nome, Domenico Ludovici, sia uno pseudonimo, si deve – in assoluta buona fede, ma non senza supponenza – a Severino Fonte. Immagino che nascesse dal fatto che, nelle poche righe con le quali accompagnavo il dattiloscritto dei miei Sonetti del nostro adulterio (titolo che ritenevo assolutamente provvisorio e che è diventato – ma non so se migliorando o peggiorando – Dell’amore, del sesso, della morte), ormai più di venti anni fa, manifestavo l’intenzione di pubblicarlo sotto pseudonimo, per preservare la privacy dei protagonisti (cosa ormai non più necessaria). Firmavo, però, col mio vero nome. Evidentemente, Fonte e l’editore stesso fraintesero, pensando che quello fosse già lo pseudonimo. Nessuno dei due credette necessario accertare quell’identità (sarebbe bastato davvero poco: vivo all’Aquila da sempre – ma sarebbe più giusto dire: vivevo, perché il terremoto mi ha lasciato ormai senza casa e senza le cose che vi erano raccolte; prime fra tutte, i libri – esercitando, ancora per poco, l’avvocatura e occupandomi sporadicamente di politica); quando poi la pubblicazione fu rifiutata, la cosa divenne superflua. Ma Severino Fonte si ricordò di quel gesuita d’inizio Settecento (invero, un antenato della mia famiglia) e, sembrandogli d’aver scoperto l’origine dello pseudonimo, ne informò Francesco Dalessandro inviandogli il dattiloscritto, stimato degno di lettura. Questo lo scopro ora, perché, per la verità, avevo sempre creduto che la bocciatura fosse dovuta anche a lui (oltre che letterato acuto e attento, il Fonte era prima di tutto un sacerdote), mentre fu solo l’editore (adesso è certo) a ritrarsi spaventato. Sebbene troppo in ritardo perché possa riceverle, porgo al Fonte le mie scuse, lusingato che ritenesse il libro degna opera di poesia, e ancor più lusingato che lo stesso giudizio sia stato espresso, implicitamente, da Dalessandro, che ringrazio».

                                                                                                                                        Domenico Ludovici

     Da parte mia, non credo di dover aggiungere altro, se non che ho deciso di pubblicare, durante questa settimana, tutto il canzoniere di Ludovici - che, nel frattempo, è diventato un buon amico, superando ogni remora d'ordine morale, di pudore o altro.



                                               DOPO

 

 Nei miei sogni, bacio la tua fica, la tua dolce fica bagnata. Nei miei pensieri. faccio l'amore con te tutto il giorno. bagnata.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              Ian McEwan, Espiazione


LA SECONDA VOLTA

 

 

I – Tu

 

ah la seconda volta! anch’io, che credi?

aspettavo impaziente di vederti

uscire dalla curva e stavo in piedi

vicino alla finestra: avevo certi

 

pensieri e desideri! be’ ero in credito

con la fortuna no? voglio tenerti

dentro pensavo… perciò non ti vidi

arrivare e saltai quando suonasti

 

al citofono corsi aprii la porta

t’aspettai sulle scale già tremavo

di desiderio già m’ero bagnata

 

tutta là sotto e mentre t’abbracciavo

stretto pensai che così abbandonata

tra le tue braccia forse ero già morta

 

di piacere senza essermene accorta

 

 

II – Io

 

e io? ci credi? per tutto il tragitto

bloccato in mezzo al traffico impaziente

d’arrivare guidavo a cazzo dritto

immaginando che nuda e fremente

 

di desiderio m’aspettassi a letto

ma i minuti passavano accidenti

e l’ansia m’uccideva il cuore in petto

mi scoppiava alle sette meno venti

 

parcheggiai sotto casa e alzando gli occhi

ti vidi alla finestra corsi feci

le scale due alla volta entrai ti strinsi…

 

così mi ritrovai tra i tuoi ginocchi

alzati: so che appena te lo spinsi

dentro morimmo insieme come pesci

 

presi all’amo straziati ma felici 

       

 

 MATURITÀ

 

 se tu maturi e il calice matura

del fiore rosso sangue che ho potato

solo ieri se i petali hai paura

che cadano baciandoli e bagnato

 

porgi alle labbra il calice maturo

di rosse labbra dove alito un fiato

caldo di desiderio ardo e non duro

nel deliquio in un ansimo sfinito

 

e mi perdo e mi brucio nel tuo sangue

acceso come il fuoco di un’esangue

notte che dolcemente si smarrisce

 

con noi nel sonno e come noi patisce

furia e delirio ma si esala e muore

nel miele caldo che ti cola fuori

 

 

 


SOGNO

 

 

I

 

pargoletta mia cara t’ho sognata

che vestita di niente eri distesa

sopra un lenzuolo bianco abbandonata

alle carezze e ai miei baci arresa

 

a occhi chiusi tremavi conquistata

dal piacere e in silenzio nell’attesa

della mia lingua su di te eccitata

ti aprivi al desiderio e viva accesa

 

eri pronta ad offrirti come esca

succosa alla mia bocca e ai miei denti

affilati eri pronta al sacrificio

 

gaudioso della morte che dai sensi

eccitati si scioglie nel deliquio

e con la sua dolcezza manifesta

 

per te il tormento e l’estasi

 

 

II

 

la lingua guizza tra le labbra lesta

lesta e s’apre una via nel caldo sale

e nel languore d’umido la cresta

rossa la bocca la mia lingua assale

 

eccola amore è questa è questa è questa

la ferita che amo e mi è fatale…

«sii delicato fallo senza fretta

e con dolcezza oh mi fa quasi male

 

il piacere amor mio ma com’è bello

sentire la tua lingua ma ora vieni

sali abbracciami forte ora sui seni

 

baciami adesso oh sì voglio sentirlo

dentro lo voglio senti? senti il fuoco

là al fondo? non fermarti! a poco a poco

 

fammi morire tienimi!»

 

 


ANNIVERSARIO

 

 

I

era la sera di un anniversario

felice per noi due in un tardo aprile

ancora freddo e non primaverile

guidavo in mezzo al traffico nel vario-

 

pinto alternarsi delle luci file

d’auto e di moto lungo la Salaria

si muovevano lente e c’era un’aria

purgatoriale ma dentro gentile

 

il tuo sorriso mi faceva bene

dopo due mesi senza che t’avessi

più vista ti dicevo: «se sapessi

 

quanto mi sei mancata! chi mi tiene

dal mangiarti di baci qui e adesso?

e tu? di’, ma per te…» «per me è lo stesso»

 

guardandomi «lo sai, ti voglio bene»

 

II

 

«ti ricordi? era oggi…» rispondesti:

«oh bene…» «hai mai rimpianto il tuo rifiuto?»

«è che avevo paura» sorridesti

imbarazzata «solo quello è stato

 

il mio rimorso ma allora ho pensato

ch’era un bene per tutti» «ora vorresti

farmi credere» dissi «che hai voluto

salvare capra e cavoli? facesti

 

la tua scelta non credo la più giusta

e l’ho pagata cara…» «anch’io, che credi?

in questi anni mi sono spesso chiesta

 

che sarebbe accaduto e se sarei

stata felice… ho rinunciato vedi

a chiedermelo ancora ma vorrei

 

tornare indietro – chissà? rifarei…»

 

 

III

 

«la stessa scelta? ma ora cosa importa?

tornare indietro non si può ma sei

ancora in tempo per…» fissavi assorta

la strada e le sue luci «dove sei?»

 

chiesi stringendo la tua mano «persa

nei miei ricordi…» «nostri» aggiunsi «bei

momenti o no?» ti chiesi «ero diversa

oggi ti piaccio ancora? non vorrei

 

che dicessi di amarmi e di volermi

ancora solo per tenere il punto

sono così cambiata!» «sei più bella

 

di prima» sussurrai, eravamo fermi

già sotto casa tua «lo vedi? appunto

per questo ho tanti dubbi perché quella

 

che vedi in me non sono io, confermi…»      

 

IV

 

«che ho voglia di baciarti di toccare

il tuo corpo di stringermelo addosso

nudo e fremente come allora, posso

farlo o vogliamo, anzi vuoi continuare

 

il gioco dei vorrei però non posso?

quel che è stato non conta, non ti pare

venuta l’ora di…» (m’ero commosso

la voce mi tremò tacqui) «di fare

 

una scelta» finisti tu la frase

«sì una scelta» anch’io dissi «forse siamo

maturi, no?» «va bene, e che facciamo?»

 

domandasti polemica «due case

e due famiglie due modi diversi

di amare siamo soli come pensi

 

perciò che cambierebbero le cose?»

 

 

V

 

«forse non cambierebbero ma è tardi

per avere altri scrupoli, non credi?»

e tu «hai ragione, basta coi riguardi

verso tutti…» accostandomi ti diedi

 

un bacio fra i capelli «è ora che guardi

un po’ a me stessa a noi…» tu continuasti

e poi «perché non sali? se ritardi

ti fa storie? che pensi?» domandasti

 

trepida «Manu è fuori con amici

e non torna che a cena, sali?» «credi

che potrei dirti no?» risposi aprendo

 

lo sportello dell’auto e sorridendo

salimmo in casa, nell’ingresso in piedi

già le mani cercavano felici      

 

i tesori nascosti nei vestiti

 

 

VI

 

eccolo il corpo amato tanto atteso

eccolo vivo nudo innamorato

eccolo bianco timido disteso

eccolo silenzioso abbandonato

 

eccolo il corpo bello offrirsi arreso

alle mie mani al tocco delicato

delle dita tremante eccolo acceso

di desiderio eccolo preparato

 

eccolo il tuo bel corpo che pudica-

mente m’invita (chiudi gli occhi offrendoti

alle carezze e ai baci che t’accendono

 

il sangue) eccolo aprirsi (sulla fica

già umida la lingua guizza lesta

e sente il fuoco che ti brucia «presto,

 

fa’ presto, amore, vieni!» la tua supplica).

 

 


VII

 

«sì non ti lascio più» farfuglio, bacio

e lecco le tue labbra accese gonfie

di piacere intensissimo ora taci

e sospiri già arresa mentre compie

 

un breve viaggio la tua mano e aperta

mi tocca il fianco poi senza imbarazzo

scivola sul mio ventre e tocca il cazzo

duro lo stringe lo trattiene incerta

 

carezzandolo in punta allora m’alzo

e mi dispongo fra le cosce bianche

che tu aperte sollevi alzi i ginocchi

 

«ah…» guardandomi languida negli occhi

sospiri «ti amo tanto voglio…» «anche

io» t’interrompo e «non sarò mai sazio

 

di te prendi…» e tenendoti sulle anche

 

 

VIII

 

ti trafiggo deciso fino in fondo

e tu ansimando rantoli «così

così amore lo voglio ecco così

ora ti prego non fermarti…» affondo

 

in un vortice languido e profondo

di piacere intensissimo «ah così

così» m’inciti «amore amore sì

lo sento tutto tutto…» sono pronto

 

«ah com’è bello come… non fermarti

più sto venendo sì lo senti? batti

ancora vieni insieme a me anche tu

 

anche tu…» la tua voce affievolita

si spegne piano mentre con le dita

mi tieni sulle natiche e più giù

 

sentendo ora i miei spasimi contratti

 

COMPLEANNO

 

 

I

 

tu mi dici «che ho un figlio e anche due cani

a carico lo sai ma se n’è andata

ormai la gioventù sono invecchiata

presto, mi vedo brutta, che domani

 

sarà il mio? sono stanca più svogliata

e abulica nel fine settimana

che nei giorni feriali sono strana-

mente intontita sono anche ingrassata

 

troppo (divoro tutto ho sempre fame:

sostituisco il sesso con il pane?),

fra un po’ sarò rotonda: come fai

 

a provare per me per il mio corpo

ancora certe voglie? sono un rospo

e neanche tu baciandomi potrai

 

ritrasformarmi in principessa, dài!»

 

 

II

 

«non è vero» rispondo «anche rotonda

voglio tenerti nuda tra le braccia

chinarmi su di te sulla tua faccia

che sorride felice mentre affonda

 

il tuo corpo nel vortice amoroso

del piacere, piegarmi sui tuoi seni

e succhiarne il capezzolo succoso

e duro mentre tu sospiri: vieni

 

vieni amore ti voglio! ecco! già sono

arrivato al tuo centro sul tuo ventre

la lingua traccia scie di caldo umore   

 

e scende scende dentro dove prono

gusto il miele copioso il suo sapore…

poi t’apri tutta alzi i ginocchi mentre

 

io mi sollevo e te lo metto dentro»

 

 

III

 

«ah ma che dici!» esclami «dove trovi

in me tante attrattive? non tentarmi!

ma che ci fai con me? ma perché provi

a illudermi che puoi ancora amarmi?»

 

«ma è vero ti amo» io ti rispondo «covi

sempre pensieri tristi che vuoi farmi

credere? che per me invece non provi

amore e desiderio e vuoi lasciarmi?»

 

«ah non vorrei che tu mi amassi! cosa

riesco a darti di me? se però penso

che non mi vuoi e non sento il desiderio

 

quando mi tocchi…» «oh zitta non ha senso

quello che stai dicendo! ma sul serio

credi che sarei qui, se no, scontrosa

 

come sei? ridi su, voglio la…» «cosa?

IV

 

cosa?» (ecco brava scherza se sorridi

felice sei più bella) «voglio l’erba

scura cresciuta sul tuo ventre… ferma!

lasciamela toccare, non ti fidi

 

di me? voglio sentirne la dolcezza

nasconderci le dita e lentamente

oh sì pian piano molto cautamente

lasciare ch’esse sentano l’ebbrezza

 

della tua carne e affondino decise

tra le labbra bagnate, voglio darti

brividi di piacere, voglio farti

 

ansimare d’amore e poi paziente

scivolare là in basso e con sapiente

carezza della lingua dalle intrise

 

labbra succhiare il miele che mi uccide…»

 

 

V

 

«e vuoi farlo qui in macchina? ah ma dài

qui ci vedono tutti non è meglio

se andiamo a casa? oh amore là potrai

farmi quello che vuoi sì anch’io lo voglio

 

lo desidero anch’io che credi? sbagli

se ne dubiti andiamo sarà uscito

con la ragazza ma vuoi che mi spogli

davanti a tutti? ah ti prego quel dito

 

mi fa morire andiamo non resisto

più voglio averti voglio che mi prendi

come la prima volta voglio questo

 

tuo… duro oh così duro… ma lo senti

quello che dico? amore amore lesto!

lo capisci? straparlo! stringi i denti

 

e andiamo a casa muoviti fa’ presto!»

 

 

VI

 

ah dio com’è difficile aspettare

di poterti toccare come e dove

voglio come ti piace senza dare

scandalo per la strada! quanti? nove

 

dieci scalini appena alla tua porta?

mi sembra una scalata senza fine

poi finalmente vieni non m’importa

più niente ora ti stringo ti apri tieni

 

«ah» sospiri «ma tu… oh ma tu… non dici

niente ma mi desideri?» «lo senti

non lo senti?» – veniamo poi contenti

     

ci abbracciamo in silenzio siamo stanchi

ti bacio gli occhi t’accarezzo i fianchi

mi guardi «se è per essere felici

 

così, va bene anche soffrire» dici.  

 

 

 POSCRITTO FINALE

 

 

che stupido! se è vero – adesso che

oltre i rimorsi restano rimpianti –

che non sei più con me saremo amanti

solo davvero sulla carta e ne

 

tremo ma basta ancora meno, né

invoco più i ricordi a darmi pace

no perché fanno male un male atroce

ah e non so andare avanti come se

 

sperassi… cosa? mi manchi e vorrei

che udissi quando grido: dove sei

amore mio perduto? e la tua carne

 

più viva si svegliasse pur corrotta

o diventata polvere: sei morta?

ma resti viva in me: non posso farne

 

a meno: vorrei essere con te! 

 

 

 COMPIANTO

 

 

I

 

vorrei essere pietra, pietra bianca,

la pietra della tomba che ti chiude,

la pietra nera che oramai t’affranca

da pene e da fatiche, da salute

 

e malattia, da povertà e ricchezza,

da una vita infelice, da ogni amaro

suo giorno disperato, dall’asprezza

di notti solitarie e senza amore;

 

vorrei essere terra, terra scura,

la terra che t’avvolge e ti preserva

per sempre da dolore e da paura,

 

la terra bianca che oramai consuma

la carne amata e se ne nutre e serba

il tuo fresco respiro e ne profuma

 

come intorno alla pietra l’aria e l’erba

 

 

II

 

invece sono – ancora – carne stanca,

capelli bianchi, ventre pingue, cute

macchiata e palliduccia, ovvero manca

colore e fuoco alla mia vita, nude

 

e insonni le mie notti, con la sciatica

che mi tormenta e con il mal di schiena,

soffro per la tua assenza e disperati

cadono i giorni, smagrisce la vena

 

dei versi che ti dedico, si sfianca

anche la musa, amore mio, si stanca

a cercare una rima e per l’acuta

 

volontà di non crederti perduta

per sempre e di non piangerti s’impicca

al dolore che provo e che conficca

 

aculei di veleno nei precordi

ché soffrano e non restino mai sordi

 

 

III

 

al richiamo del volto ormai svanito

nella nebbia confusa della morte,

allo sguardo dolente e divertito

che nel ricordo mi reca conforto,

 

alla tua voce debole che il sonno

fa giungere attutita dal profondo

della coscienza, che però mi parla

chiara di te e di me, se l’ascoltarla

 

non risvegliasse il brivido reale

che suscita l’assenza e non tremassi

sgomento nel silenzio della notte,

 

se insieme alla presenza tua ideale

vivo il tuo corpo non desiderassi

stringere tra le braccia e in una morte

 

più piccola e violenta scivolare,

e perdermi ormai morto nella vita

che insieme a te io non ho mai vissuta




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